Commento al Vangelo del 4 maggio 2014 – Congregazione per il Clero

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III DOMENICA DEL TEMPO DI PASQUA

È celebre e famigliare la vicenda dei due discepoli che incontrarono Gesù sulla via di Emmaus, una delle prime manifestazioni del Risorto. La condizione in cui i due si trovano ci è famigliare; avevano creduto in Gesù e lo avevano seguito, nutrendo grandi aspettative circa quello che Egli avrebbe fatto. Ma le cose erano andate assai diversamente, con la condanna e la morte di Gesù e con la “sconvolgente” notizia della sua risurrezione, difficile da accettare. È quanto capita ad ognuno di noi quando seguiamo Gesù, cercando di imbrigliarlo nei nostri schemi e nelle nostre attese. Crediamo che ci ama e ci vuole aiutare, ma anche inconsciamente, abbiamo la pretesa che ciò debba avvenire a modo nostro. La nostra fede, come quella dei discepoli di Emmaus, diviene in questo modo “condizionata”, limitata; resta fede solo se le cose vanno in un certo modo.

Ma Gesù ha detto che la verità ci farà liberi, anche da noi stessi, dalla nostra precomprensione delle cose, a volte troppo stretta, e ci viene incontro, sempre, ma a modo suo e secondo i suoi tempi. Essere discepoli perciò richiede una grande libertà interiore, una “elasticità spirituale” che permetta di riconoscere il Signore quando ci si presenta dove e quando non lo attendiamo.

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Come può avvenire questo? Il racconto del vangelo odierno ci permette di trovare una risposta. Dobbiamo distinguere tra il Gesù dei nostri pensieri, la nostra “personale” immagine di Gesù, ed il Gesù vero, quello che oggi ci viene incontro nella sua Parola e nei Sacramenti. Un “Gesù privato” è facilmente limitato, inadeguato a rispondere ai bisogni reali della vita, si manifesta solo quando serve e, soprattutto, quando non disturba i nostri piani; un “Gesù privato” è un Messia comodo, che ci asseconda in tutto e non ci invita mai davvero a conversione.

Viceversa, il Gesù vero, quello che la Chiesa annuncia e testimonia da sempre – lo vediamo nella prima lettura – e che si rende presente nei Sacramenti e nella Parola continua a fare ciò che faceva al tempo della sua esperienza terrena. Incita, accoglie, riprende, sostiene, insomma guida il suo popolo sulla via da lui aperta verso il Regno dei Cieli. Senza l’ascolto della Parola e senza i Sacramenti, cioè, rischiamo che Gesù sia una bella foto, appesa al muro, che ogni tanto guardiamo e che ci fa venire in mente qualche pensiero edificante. Attraverso la preghiera – personale e comunitaria – attraverso la lettura della Parola di Dio – che il Santo Padre ha con efficace semplicità richiamato come strumento quotidiano della nostra vita spirituale – attraverso i Sacramenti – che ci donano la Grazia, la forza e la pace di Dio…siamo in relazione con la persona di Gesù risorto, uniamo la nostra vita alla sua e, attraverso una familiarità che sempre si rinnova, sappiamo riconoscerlo nella vita di tutti i giorni, nei poveri, nei bisognosi, anche in persone “moleste” e semplicemente poco simpatiche.
Il tempo della Pasqua è quindi il tempo della memoria e della testimonianza. Facciamo memoria di ciò che Cristo ha fatto per noi, per tutti gli uomini, una memoria che non è un semplice atto intellettuale, bensì un fatto esistenziale. Infatti, ricordiamo la Risurrezione di Cristo prima di tutto con le nostre parole e le nostre azioni, con le nostre scelte e comportamenti quotidiani. In questo modo, lo annunciamo agli altri e lo ricordiamo a noi stessi.

Chiediamo per ciascuno di noi la semplice fermezza di Pietro. Noi cristiani siamo custodi di un messaggio unico, che ci tramandiamo da duemila anni da persona a persona; Cristo è risorto, le porte del cielo sono aperte, andiamo verso di esse insieme, come fratelli. Questo è il cuore della nostra testimonianza, ciò che ci fa seguire Gesù e, per amore, ci porta a trasformare la nostra vita.

Chiediamo anche la grazia di sapere ogni domenica – ed ogni altra volta che partecipiamo alla Santa Messa o che ci confessiamo – di saper riconoscere Gesù presente accanto noi, costruendo così una relazione vitale con la sua persona, e non coltivando uno sbiadito ricordo della sua immagine.

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