Commento al Vangelo del 25 maggio 2014 – Congregazione per il Clero

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VI DOMENICA DEL TEMPO DI PASQUA

Ascoltiamo oggi il Vangelo della concretezza, quello che ci ricorda che l’amore “abita” nelle azioni, nei comportamenti concreti e che, soprattutto, i comandamenti non sono vincoli o pesi da portare ma segni e strumenti di questo amore.

«Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama», dice il Signore, indicando la via per la quale la fede e l’amore penetrano nella nostra vita. C’è prima un ascolto, una conoscenza, quella che avviene quando qualcuno, con la parola o con l’esempio, ci annuncia il Regno di Dio ed un modo di vivere, di stare al mondo, ad esso confacente. I comandamenti sono il modo con cui diamo forma concreta, in piccole concrete cose quotidiane, all’immenso amore che Dio ci dona. Essi ci vengono incontro, non come regole, ma come proposta di vita e richiedono di essere da noi accolti; questa è la grandezza di un Dio che non vuole servi, intorno a Sé, ma figli, che liberamente amano.

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L’accoglienza, però, può limitarsi all’entusiasmo o alla lode di qualche esempio edificante, col serio rischio di vanificare il dono che Dio ci ha fatto. Osservare i comandamenti, prima ancora che obbedienza ad una legge, è il modo per vivere cristianamente, per dare forma concreta al Vangelo con la nostra vita. La vita cristiana infatti non è qualcosa di astratto ed impalpabile, non è fumosa e relegata nel campo dell’astrazione; è vita da vivere, da provare. È il modo con cui tutti – secondo il ripetuto invito di Papa Francesco – in virtù del battesimo ricevuto, partecipiamo alla missione evangelizzatrice, affidata da Cristo ai suoi discepoli. Non occorre saper fare grandi discorsi o possedere doti particolari, per essere annunciatori del Vangelo è sufficiente vivere da cristiani, mostrando che la vita cristiana, secondo i comandamenti, non solo è possibile, ma è anche più felice e più umana.

È sempre un buon esame di coscienza quello che si può fare sui comandamenti; è il modo con cui mettiamo di fronte a Dio la nostra vita intera e, soprattutto, è il modo in cui ci rendiamo conto di quali siano le “leggi” che governano la nostra giornata, che ispirano il nostro agire. In questo senso, i comandamenti sono come “specchi”, che ci restituiscono la reale immagine della nostra vita, a confronto con la vita offertaci da Gesù, per essere rincuorati nel bene che già facciamo e sentirci incitati a progredire dove siamo più deboli.

Questo è anche il modo di «rendere ragione della speranza» che è in noi, fine che raggiungiamo con una piena testimonianza di vita. Certo, tale resa di ragione ha una componente “dottrinale”, perché è necessario conoscere gli elementi fondamentali della fede, i pilastri sui quali poggia la nostra fede, la cosiddetta “fides quae”, cioè il contenuto della fede – il Catechismo ed il successivo Compendio ne presentano un’esposizione molto chiara ed accessibile a tutti!

Ma rendere ragione della fede non è solo un atto intellettuale, come un dibattito accademico, quanto piuttosto mostrare con la vita, con la serenità, con il coraggio, con la carità, la nostra fede. Possiamo pensare qui a quel bellissimo passaggio della Lettera di Giacomo, «mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede» (2, 18), che si può considerare un eccellente “motto” e un invito per ogni cristiano.

Rivolgiamo il pensiero conclusivo a Maria, chiedendo per sua intercessione di saper accogliere le chiamate che Dio continuamente ci rivolge, disposti a comprenderle sempre meglio, alla luce della Sua Parola – e qui viene a proposito un altro tema caro a Papa Francesco, la lettura quotidiana di una pagina di Vangelo – perché la nostra vita sia in tutto unita a quella di quel Cristo, di cui, come battezzati, portiamo il nome.

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