Commento al Vangelo del 12 ottobre 2014 – Paolo Curtaz

Ventottesima domenica durante l’anno

Is 25,6-10/ Fil 4,12-20/ Mt 22,1-14

Invitati

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Il nostro Dio è generoso come il padrone della vigna che esce per chiamare dei braccianti a lavorare anche solo un’ora, per dar loro la possibilità di guadagnare il denaro sufficiente a mantenere la propria famiglia. È il Dio che affida alle nostre mani il Creato, la Storia, ma, che troppo spesso, riceve solo insulti e minacce.

Gesù, consapevole che la sua missione sta prendendo una pessima piega, chiede all’uditorio, diffidente e ostile, di giudicare il proprio comportamento. No, il padrone della vigna, davanti alla violenta ostinazione degli affittavoli, non invierà una missione punitiva ma, al contrario, invierà il figlio che, morendo sulla croce, manifesterà fino in fondo la volontà salvifica del Padre.

Il nostro Dio ha un cuore immenso e diventare suoi discepoli è come partecipare ad una bella festa di nozze.

http://www.cercoiltuovolto.it/wp-content/uploads/2014/10/28ordA.pdf

Banchetto nuziale

I rabbini contemporanei di Gesù parlavano spesso del giardino dell’Eden, un luogo di delizie in cui i giusti di Israele avrebbero pasteggiato in compagnia di Dio. Una visione straordinaria, portatrice di grande speranza, che richiama la bellezza della festa.

Gesù, per parlare del Regno, non usa l’immagine di una lunga veglia di preghiera e non richiama il silenzio austero di un convento, ma l’idea della festa, del banchetto. E, diversamente dai rabbini, non dice che quel banchetto avviene alla fine dei tempi ma che è già presente.

Siamo invitati alla gioia di Dio! L’incontro col Dio di Gesù è come una festa ben riuscita.

Non un dovere noioso.

Non un obbligo.

Non una penitenza per meritarci il Paradiso che, per giunta, è pure gratuito.

Non un legame parentale di cui vorrei tanto fare a meno.

Una splendida festa.

Accipicchia! Ma come abbiamo ridotto la fede, noi cristiani?

No, grazie

La parabola raccolta da Matteo mischia diversi piani, salta subito agli occhi, inserzioni derivanti, probabilmente, da altri detti di Gesù.

La prima parte racconta del rifiuto degli invitati, troppo occupati dalle cose di questo mondo per pensare seriamente a Dio. Matteo, probabilmente, si riferisce alla parte di Israele che non accetta l’invito (il tema del rapporto fra Dio e Israele come patto nuziale è molto presente nella Bibbia), della classe sacerdotale che, ora che il tempio è rinato, non sente alcun bisogno del Messia, ma possiamo benissimo attualizzarla: anche noi corriamo il rischio di essere troppo indaffarati per gioire.

I luoghi comuni, durissimi a morire e fomentati dai cattolici troppo devoti!, continuano a relegare la fede nelle attività doverose ma noiose, da fare il meno possibile. È giusto, credere, doveroso, certo, ma mortalmente noioso.

Meglio fare come gli operai dell’ultima ora, godere la vita e i suoi eccessi per poi pentirsi verso il tramonto della vita. Molti, anche fra noi cristiani, la pensano così: la vita vera è quella sballata, egoista, lussuriosa, strapiena di vizi ma noi, anime belle, compìti e penitenti, devoti e fedeli (che Dio ne tenga conto, cortesemente), rinunciamo a tutto per seguire, almeno approssimativamente, i comandamenti divini.

Fiamme

La città in fiamme interrompe il racconto, è Matteo ad avere inserito quella frase, come una chiave di lettura degli eventi cui ha assistito: l’assedio e al distruzione di Gerusalemme. È come se dicesse: il rifiuto, da parte della classe sacerdotale, della predicazione di Gesù ha provocato un indurimento del cuore, l’allontanamento da Dio che, come conseguenza, produce una catastrofe.

No, Dio non punisce, non scherziamo.

Ma se la nostra vita si gioca fuori dalla logica di Dio, se ostinatamente rifiutiamo di partecipare al banchetto nuziale, allora la nostra vita può sprofondare nelle tenebre.

Abiti strappati

L’inserzione finale di Matteo, derivata da un altro detto di Gesù, sull’invitato cacciato perché vestito in maniera inadeguata, cosa del tutto improbabile avendo appena raccolto gli invitati fra i mendicanti!, pare essere, invece, rivolta a noi discepoli, che ci siamo trovati seduti al tavolo senza averne diritto, figli acquisiti dopo il diniego di Israele.

Anche noi corriamo il rischio di abituarci alla festa, di cadere nella routine della fede.

Anche noi corriamo il rischio di gettare la nostra vita interiore dalla finestra, di non indossare la veste bianca che, pure, ci contraddistingue come discepoli.

Non commettiamo questo errore madornale.

Non rifiutiamo la felicità.

Cosa abbiamo di meglio da fare, oggi, del lasciarci amare da Dio?

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