Commento alle letture di domenica 8 Dicembre 2019 – Carlo Miglietta

Il commento alle letture di domenica 8 dicembre 2019 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.

LUCA TEOLOGO DI MARIA

Il grande narratore e teologo di Maria è l’evangelista Luca. A lui dobbiamo gli splendidi quadri dell’Infanzia in cui la figura della Madre svolge un ruolo da protagonista. Luca, più di ogni altro evangelista, dedica attenzione a Maria; non solo descrive molti episodi della sua esistenza, ma soprattutto sviluppa un’autentica teologia mariana, presentando Maria come la figura del vero discepolo e del vero credente. Nella visione del terzo evangelista Maria è la prima “cristiana”, il modello del cristiano.

Il racconto lucano è un “midrash”, cioè una riflessione sapienziale sui fatti storici dell’infanzia di Gesù, frutto della contemplazione pneumatica post-pasquale. Da Spinetoli afferma che il messaggio del “Vangelo dell’infanzia” va colto a un triplice livello:

  1. teologia esplicita: i “titoli”, le affermazioni a tutte lettere;
  2. teologia implicita: le rivelazioni proposte attraverso espedienti narrativi, il senso profondo degli avvenimenti esposti;
  3. teologia allusiva: mentre Mt 1-2 narra l’infanzia di Gesù segnalando il compiersi in essa delle profezie veterotestamentarie (Mt 1,22-25; 2,5-6…), Luca comunica il mistero di Gesù attraverso il midrash, cioè leggendo implicitamente i fatti storici secondo il modello biblico, e proponendo con ciò, a lettori che conoscono la Scrittura, valori e rivelazioni profonde.

IL DITTICO DELLE ANNUNCIAZIONI

Sia l’annunciazione a Zaccaria (1,5-25) che quella a Maria (1,26-38) sono descritte secondo il genere letterario biblico degli “annunci di nascita”, con cui viene  precomunicato ai genitori il concepimento di Ismaele (Gen 16,11-16), di Isacco (Gen 17,4.15-22;21,1-3) e di Sansone (Gdc 13,2-24). Lo schema è:

  1. a) un angelo annuncia la nascita e riferisce un vaticinio sul nascituro;
  2. b) turbamento del destinatario;
  3. c) obiezione;
  4. d) promessa di un segno rassicuratore.

L’annuncio a Maria affonda le sue radici anche:

  1. nel modello dei “racconti di vocazione”, come quello di Mosè (Es 3,7-14;4,1-17), di Gedeone (Gdc 6,11-23), Isaia (Is 6), Geremia (Ger 1), secondo lo schema:
  2. a) apparizione;
  3. b) timore;
  4. c) messaggio divino;
  5. d) obiezione;
  6. e) segno e nome
  7. negli annunci profetici di salvezza a Israele: in tal modo Luca fa di Maria la personificazione del popolo eletto. Maria,con il suo “sì”, è l’Israele obbediente (Es 24,3.7);
  8. nei racconti della creazione e del peccato della Genesi: Maria è la nuova Eva che si contrappone alla disobbedienza antica (Gen 3): con Gesù inizierà una nuova creazione, riconciliata con Dio;
  9. nel modello apocalittico di Daniele 8-10: la somma dei dati cronologici che scandiscono gli avvenimenti è di 490 giorni (6 mesi tra l’annunciazione a Zaccaria e quella a Maria (1,26.36), cioè 180 giorni,nove mesi tra l’annunciazione a Maria e la nascita di Gesù, cioè 270 giorni, 40 giorni tra il Natale e la presentazione di Gesù al tempio (Lv 12,3), pari alle 70 settimane di giorni di Dn 9,24 dopo le quali il Messia sarebbe entrato nel Tempio per “espiare l’iniquità, portare una giustizia eterna”;
  10. nel tema, presente fin dall’Esodo, della nube-Spirito-Presenza di Dio (Es 13,21; 14,20; 16,10; 19,9.16; 34,5…).

Dittico degli annunci:

  1. Gabriele appare a Zaccaria nel tempio (1,11), a Maria in una “città della Galilea” (1,26) “dei pagani” (Mt 4,14), in “casa”(1,28): passaggio dalla religiosità cultuale riservata ad Israele ad una fede interiore, aperta a tutti i pagani.
  2. Maria è l’ultima delle grandi “sterili” della Bibbia: la “teologia della sterilità” ricorda come “dono del Signore sono i figli, sua grazia il frutto del grembo”(Sl 127,3). Qui la sterile Elisabetta diventa madre perchè “è stata esaudita la preghiera” del marito (1,13), Maria per libera iniziativa di Dio.
  3. L’obiezione di Zaccaria esprime dubbio (1,18),e viene punita con il mutismo, quella di Maria è richiesta di illuminazione (1,34), e premiata con la grazia fecondante dello Spirito (1,35).

Dittico dei figli:

  1. L’angelo afferma che Giovanni “sarà grande davanti al Signore” (1,15), quasi in senso relativo (“il più grande tra i nati di donna”: 7,28), mentre di Gesù dice che “sarà grande” (1,32) in senso assoluto, come  si dice di Dio (Is 48,11; Sl 48,2; Ger 10,6).
  2. Giovanni è “pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre” (1,15), ma è pur sempre figlio naturale di Zaccaria ed Elisabetta, Gesù è “pieno di Spirito Santo”(4,1) ma frutto dello Spirito Santo nel grembo di Maria (1,35).
  3. Giovanni è “profeta dell’Altissimo” (1,76), Gesù “figlio dell’Altissimo” (1,32).
  4. Giovanni ha la missione di “preparare al Signore un popolo ben disposto” (1,16), a Gesù “Dio darà il trono di Davide suo padre, e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” (1,32-33).

L’ANNUNCIO A MARIA

Luca presenta Maria in una scena inaugurale che ha il preciso compito di caratterizzare il ruolo della madre: abitualmente si parla del racconto dell’annunciazione, ma, secondo il genere letterario proprio del brano, sarebbe meglio chiamare questo testo “la vocazione di Maria” (Lc 1,26-38). Si tratta, infatti, di un racconto di vocazione, molto simile a quello in cui è narrata la chiamata di Gedeone (Gdc 6,11-24): Dio, per mezzo di un suo messaggero, chiede la collaborazione ad una persona umana per la realizzazione di una grande impresa. A Gedeone e a molti altri personaggi dell’Antico Testamento Dio aveva chiesto di collaborare con lui per liberare il popolo di Israele da qualche difficile situazione. L’annunciazione coinvolge Maria, la ragazza nazaretana chiamata a un’avventura umana e spirituale unica (Lc 1,26-38).

Un francescano archeologo, Bellarmino Bagatti, ha trovato una traccia antichissima della devozione delle origini in una casa nazaretana adibita allora a luogo di culto dai giudeo-cristiani: “Nell’intonaco si trovò un’iscrizione in caratteri greci. Essa recava in alto le lettere greche XE e, sotto, MAPIA. È ovvio riferirsi alle parole greche che il Vangelo di Luca mette in bocca all’angelo annunziatore: “Chàire Maria”. Ebbene, attraverso quella comunicazione angelica, segno di una rivelazione trascendente, si delinea nel testo di Luca come un piccolo Credo che offre una perfetta definizione dell’identità di Cristo.

A Maria Dio chiede la disponibilità e la collaborazione per l’evento decisivo della liberazione di tutta l’umanità. Il filosofo Johann G. Fichte in una predica pronunziata nella festa dell’annunciazione a Maria, il 25 marzo 1786, esclamava: “Ci sembra poco che fra tutti i milioni di donne della terra soltanto Maria fosse l’unica eletta che doveva partorire l’Uomo-Dio Gesù? Ci sembra poco l’esser madre di Colui che doveva rendere felice l’intero genere umano e grazie al quale l’uomo sarebbe divenuto un’immagine della divinità e l’erede di tutte le sue beatitudini?” (Ravasi).

Analizziamo ora il testo dell’annuncio a Maria.

28: “Rallegrati, trasformata dalla grazia: il Signore è con te!”

Rallegrati      

Maria deve “rallegrarsi” (“kàire”) perchè è l’incarnazione dell’Israele antico, che deve esplodere di gioia perchè è giunto il Messia: meglio che l’”Ave” latina è la traduzione “Gaude” dei padri greci. “Maria infatti è salutata da Gabriele con le parole di gioia (1,28) con le quali  i profeti Zaccaria (2,14-17; 9,9-10), Sofonia (3,14-20) e Gioele (2,21-27) avevano invitato alla a speranza la “figlia di Sion”, cioè il resto di Israele (Is 10,20) che, tornato dall’esilio, avrebbe  ricostruito la “casa  di Giacobbe”, della quale Gesù sarà il re (Lc 1,33)” (M. Masini):

“Gioisci, esulta, figlia di Sion, perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te – oracolo del Signore -. Nazioni numerose aderiranno in quel giorno al Signore e diverranno suo popolo ed egli dimorerà in mezzo a te e tu saprai che il Signore degli eserciti mi ha inviato a te. Il Signore si terrà Giuda come eredità nella terra santa,Gerusalemme sarà di nuovo prescelta. Taccia ogni mortale davanti al Signore, poiché egli si è destato dalla sua santa dimora” (Zc 2,14-17);

“Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra” (Zc 9,9-10);

“Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non vedrai più la sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: “Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente. Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa”. Ho allontanato da te il male, perchè tu non abbia a subirne la vergogna. Ecco, in quel tempo io sterminerò tutti i tuoi oppressori. Soccorrerò gli zoppicanti, radunerò i dispersi, li porrò in lode e fama dovunque sulla terra sono stati oggetto di vergogna. In quel tempo io vi guiderò, in quel tempo vi radunerò e vi darò fama e lode fra tutti i popoli della terra, quando, davanti ai vostri occhi, ristabilirò le vostre sorti, dice il Signore” (Sf 3,14-20).

“Non temere, terra, ma rallegrati e gioisci, poichè cose grandi ha fatto il Signore. Non temete, animali della campagna, perchè i pascoli del deserto hanno germogliato, perchè gli alberi producono i frutti, la vite e il fico danno il loro vigore. Voi, figli di Sion, rallegratevi, gioite nel Signore vostro Dio, perchè vi dá la pioggia in giusta misura, per voi fa scendere l’acqua, la pioggia d’autunno e di primavera, come in passato. Le aie si riempiranno di grano e i tini traboccheranno di mosto e d’olio. Vi compenserò delle annate che hanno divorate la locusta e il bruco, il grillo e le cavallette, quel grande esercito che ho mandato contro di voi. Mangerete in abbondanza, a sazietà, e loderete il nome del Signore vostro Dio, che in mezzo a voi ha fatto meraviglie. Voi riconoscerete che io sono in mezzo ad Israele, e che sono io il Signore vostro Dio, e non ce ne sono altri: mai più vergogna per il mio popolo” (Gl 2,21-27).

Dio viene “in mezzo a noi”, a rendere fertile la nostra sterilità, a portare la salvezza e l’abbondanza: un grande messaggio di speranza, di gioia, di felicità.

Graziata

Amata

Maria è la “kecharitòmene”, la “graziata”, resa amabile (non “piena di grazia”, sarebbe stato “plerès charitòs”, come in At 6,8 riferito a Stefano). E’ la favorita per amore, l’Israele scelto per misericordia: “Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio… Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Os 11,1-4). E’ l’eletto reso bello per grazia: “Passai vicino a te e ti vidi; ecco, la tua età era l’età dell’amore; io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità; giurai alleanza con te, dice il Signore Dio, e divenisti mia. Ti lavai con acqua, ti ripulii del sangue e ti unsi con olio; ti vestii di ricami, ti calzai di pelle di tasso, ti cinsi il capo di bisso e ti ricoprii di seta; ti adornai di gioielli: ti misi braccialetti ai polsi e una collana al collo: misi al tuo naso un anello, orecchini agli orecchi e una splendida corona sul tuo capo. Così fosti adorna d’oro e d’argento; le tue vesti eran di bisso, di seta e ricami; fior di farina e miele e olio furono il tuo cibo; diventasti sempre più bella e giungesti fino ad esser regina. La tua fama si diffuse fra le genti per la tua bellezza, che era perfetta, per la gloria che io avevo posta in te, parola del Signore Dio” (Ez 16,8-14). E’ Israele fatto sposo di Dio: “Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore” (Os 2,21-28; CdC).

Eletta 

Nel linguaggio della Bibbia “grazia” significa un dono speciale, che secondo il Nuovo Testamento ha la sua sorgente nella vita trinitaria di Dio stesso, di Dio che è amore (1 Gv 4,8). Frutto di questo amore è l’elezione  – quella di cui parla la Lettera agli Efesini (Ef 1,2-23) – da parte di Dio: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto, nella sua benevolenza, aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra” (Ef 1,3-10).

Questa elezione è l’eterna volontà di salvare l’uomo mediante la partecipazione alla sua stessa vita (2 Pt 1,4) in Cristo: è la salvezza nella partecipazione alla vita soprannaturale. L’effetto di questo dono eterno, di questa grazia dell’elezione dell’uomo da parte di Dio è come un germe di santità, o come una sorgente che zampilla nell’anima come dono di Dio stesso, che mediante la grazia vivifica e santifica gli eletti. In questo modo si compie, cioè diventa realtà, quella benedizione dell’uomo “con ogni benedizione spirituale”, quell’”essere suoi figli adottivi… in Cristo”, ossia in colui che è eternamente il “Figlio diletto” del Padre.

Quando leggiamo che il messaggero dice a Maria “piena di grazia”, il contesto evangelico, in cui con fluiscono rivelazioni e promesse antiche, ci lascia capire che qui si tratta di una benedizione singolare tra tutte le “benedizioni spirituali in Cristo”. Nel mistero di Cristo ella è presente già “prima della creazione del mondo”, come colei che il Padre “ha scelto” come Madre del suo Figlio nell’incarnazione, affidandola eternamente allo Spirito di santità. Maria è in modo del tutto speciale ed eccezionale unita a Cristo, e parimenti è amata in questo Figlio diletto eternamente, in questo Figlio consostanziale al Padre, nel quale si concentra tutta “la gloria della grazia”. Nello stesso tempo, ella è e rimane aperta perfettamente verso questo “dono dall’alto” (Gc 1,17). Come insegna il Concilio, Maria “primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza” (Redemptoris Mater, 8). Come afferma il Concilio, Maria è “Madre del Figlio di Dio, e perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo; per tale dono di grazia esimia precede di gran lunga tutte le altre creature, celesti e terrestri” (Redemptoris Mater, 9).

Nuovo Abramo 

La fede di Maria può essere paragonata a quella di Abramo, chiamato dall’Apostolo “nostro padre nella fede” (Rm 4,12). Nell’economia salvifica della rivelazione divina la fede di Abramo costituisce l’inizio dell’Antica Alleanza; la fede di Maria nell’annunciazione dà inizio alla Nuova Alleanza. Come Abramo “ebbe fede sperando contro ogni speranza che sarebbe diventato padre di molti popoli” (Rm 4,18), così Maria, al momento dell’annunciazione, dopo aver indicato la sua condizione di vergine (“Come avverrà questo? Non conosco uomo”), credette che per la potenza dell’Altissimo, per opera dello Spirito Santo, sarebbe diventata la Madre del Figlio di Dio secondo la rivelazione dell’angelo:. “Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35).

Tuttavia le parole di Elisabetta: “E beata colei che ha creduto” (Lc 1,45) non si applicano solo a quel particolare momento dell’annunciazione. Certamente questa rappresenta il momento culminante della fede di Maria in attesa di Cristo, ma è anche il punto di partenza, da cui inizia tutto il suo itinerario verso Dio, tutto il suo cammino di fede. E su questa via, in modo eminente e davvero eroico – anzi con un sempre maggiore eroismo di fede – si attuerà l’”obbedienza” da lei professata alla parola della divina rivelazione. E questa “obbedienza della fede” da parte di Maria durante tutto il suo cammino avrà sorprendenti analogie con la fede di Abramo. Come il patriarca del popolo di Dio, così anche Maria, lungo il cammino del suo “Fiat” filiale e materno, “ebbe fede sperando contro ogni speranza”. Specialmente lungo alcune tappe di questa via la benedizione concessa a “colei che ha creduto”, si rivelerà con particolare evidenza. Credere vuol dire abbandonarsi alla verità stessa della parola del Dio vivo, sapendo e riconoscendo umilmente “quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie” (Rm 11,33). Maria, che per l’eterna volontà dell’Altissimo si è trovata, si può dire, al centro stesso di quelle “inaccessibili vie” e di quegli “imperscrutabili giudizi” di Dio, vi si conforma nella penombra della fede, accettando pienamente e con cuore aperto tutto ciò che è disposto nel disegno divino.

“Come Abramo, Maria trova grazia presso Dio, genera un figlio in modo miracoloso, è benedetta per la sua fede, nella sua persona si realizzano le promesse fatte ad Abramo per il popolo d’Israele” (A. Serra). “Da questo momento Abramo diventa espressamente il padre di tutti i credenti e Maria, come dirà espressamente Gv 19,25-27, ne diventa la madre” (G. Bruni).

Bellissima

Se Eva aveva disobbedito a Dio, Maria le si contrappone con il suo “sì” (Lc 1,38), e con il suo invitare a “fare quello che lui vi dirà” (Gv 2,5), come l’Israele obbediente al Sinai. Al Sinai, infatti, c’è una nuova creazione e Israele, al sesto giorno della Teofania, è fatto manducare dell’albero (il monte Sinai), che produce le Parole sante della Torah, e risponde: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo” (Es 19,8; cfr 24,3.7), nell’obbedienza contrapponendosi al peccato di Eva. E il popolo, che secondo i Rabbini era di minorati fisici, oppresso dalla schiavitù, diventa la sposa bella e senza macchia del Cantico dei Cantici: “Io non t’infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitte agli Egiziani, perché io sono il Signore, colui che ti guarisce!” (Es 15,26). E il giudaismo leggerà il Cantico dei Cantici come il poema d’amore dello Sposo-Dio che bacia nel giardino la sua sposa dandogli la Torah sul Sinai: “Mi baci egli con i baci della sua bocca” (Ct 1,2).

Maria è anche la nuova Eva, la prima delle “madri” di Israele, che nella tradizione rabbinica era bellissima. I rabbini, parafrasando Gen 2,22, vedono in Dio il paraninfo che la agghinda di splendore per presentarla ad Adamo. Tale bellezza, perduta con il peccato, è riflessa in Sara la bellissima, in Abisag la Sunamita di Davide (1 Re 1,4), nella madre dei Maccabei, ma soprattutto nell’Israele fedele che nel giardino del Sinai accoglie la Torah. Maria, dirà Giustino (+165 circa), è la nuova Eva, che con il suo “sì” è fatta bellissima. Ai piedi del nuovo albero della vita, la Croce, sarà perciò costituita “madre” dei discepoli (Gv 19,25-27), e potrà, come Eva, esclamare: “Ho acquistato un uomo dal Signore” (Gen 4,1).

Ma è anche figura della Chiesa, che nasce dall’obbedienza, è fatta bella dallo Spirito, diventa sposa di Cristo.

“Il Signore è con te”

E’ termine proprio dei racconti di vocazione. Maria è modello del credente, chiamato a stare con il Signore.

29: “A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto”

Maria è turbata, riflette, domanda: entra in crisi. La sua è Fede matura che nasce dall’ascolto di una Parola che è segno di contraddizione, che è sempre chiamata a uscire, a convertirsi, all’esodo.

30: “L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio”

Ella, la graziata, diventerà madre del Messia

34: “Allora Maria disse all’angelo: “Come è possibile? Non conosco uomo””

L’obiezione di Maria rappresenta un elemento normale nello schema biblico degli annunzi. Si tratta quindi di un semplice passaggio redazionale oppure d’una reale difficoltà avanzata da Maria? Le opinioni sono discordanti.

  1. a) Secondo numerosi esegeti, soprattutto cattolici, Maria aveva intenzione di restare vergine, nonostante il suo fidanzamento con Giuseppe. Il senso dell’obiezione in tal caso sarebbe: “Come posso diventare madre del Messia dal momento che ho deciso di non aver rapporti matrimoniali con Giuseppe?”. L’idea di un “voto di verginità”, certamente lontana dalla mentalità ebraica, che vedeva nella procreazione l’unico modo di perpetuarsi e di inserirsi nell’attesa messianica (unica eccezione, gli Esseni di Qumram…), si fa strada solo con Origene (185-254) e poi soprattutto con Agostino (354-430).

Gli Esseni a Qumràn praticavano il celibato come forma ascetica di purificazione, in attesa del regno di Dio. Lo stesso facevano delle donne. Anche i sacerdoti erano tenuti all’astensione sessuale prima delle celebrazioni liturgiche. L’astensione temporanea è descritta in altri passi della Bibbia come esigenza spirituale per qualche missione. Paolo consiglia la verginità come condizione migliore del matrimonio per una consacrazione totale al Signore (1 Cor 7,25ss.). Ora, tenendo conto dei particolari carismi di cui era certamente dotata, secondo questi esegeti, non è impossibile ammettere che Maria per una particolare illuminazione dello Spirito Santo abbia voluto consacrare interamente la sua vita a Dio, rinunciando persino alle gioie forti della maternità, quale forma estrema di spogliazione, per suo amore. La risposta dell’angelo (v. 35) si colloca bene in quest’ordine di idee. Sopra l’evangelista aveva presentato Maria come “vergine” (v. 27). Ora Maria manifesta l’intenzione di non avere rapporti matrimoniali. Scrive Ortensio da Spinetoli: “Ella protesta di non conoscere non un uomo, ma nessun uomo… Il testo fa senz’altro pensare a una situazione particolare di Maria, a un suo rifiuto o a una sua impossibilità di avere un figlio, nonostante che sia già sposata”. Per Laurentin il verbo “non conosco” è “un presente di stato, come quando diciamo: non bevo, non fumo. È quindi un proposito quello ch’essa esprime”. E più avanti: “Maria esprime il disegno o proposito, la volontà o risoluzione, o come dir si voglia, di rimanere vergine”.

Contro l’interpretazione tradizionale, è ritenuto oggi arbitrario e anacronistico pensare che Maria avesse fatto un voto di verginità: contrarre il matrimonio con Giuseppe, ma con la ferma intenzione, cioè con il proposito, di non consumarlo. Questa determinazione sembra assurda in un ambiente giudaico, dove la verginità non era apprezzata e la mancanza di prole era considerata una vergogna, un castigo di Dio. Come può Maria, una fanciulla di dodici anni circa (l’età del matrimonio in Israele), essere giunta a una tale decisione? Ogni donna ebrea allora aspirava alla maternità, anche per un dovere religioso, cioè per non ritardare la nascita del Messia con il proprio disimpegno.

  1. b) Altri esegeti affermano che dal testo lucano si può dedurre soltanto che Maria intendeva contrarre un matrimonio normale con Giuseppe, aperto alla prole. Il senso dell’obiezione riguarda la sua situazione di fidanzata, quando i rapporti matrimoniali erano considerati sconvenienti, non però illegittimi, perché il fidanzamento aveva il medesimo valore giuridico del matrimonio. Maria avrebbe frainteso le parole dell’angelo, pensando di dover diventare subito madre del Messia. Aveva capito il “concepirai” come “tu stai concependo” oppure “tu hai già concepito”. Perciò obietta, secondo Schürmann: “Poiché io non sono ancora stata introdotta nella casa di mio marito e non ho avuto alcun rapporto sessuale, e, come fidanzata, neanche nel prossimo futuro… ne avrò”, come posso diventare madre del Messia?
  2. c) Altri esegeti rifiutano entrambe le spiegazioni perché partono da presupposti psicologici o storicizzanti. L’obiezione di Maria costituisce semplicemente un elemento redazionale, previsto negli schemi degli annunci. Luca se ne serve per approfondire l’identità del nascituro e non per descrivere la situazione psicologica e storica di Maria. Mentre nei vv. 31-33 ha affermato il fatto della nascita del Messia, ora nei w. 34-35 ne illustra il modo con cui sarà concepito. Non si può pensare al dialogo tra l’angelo e Maria come a una registrazione, perché si tratta soltanto d’un montaggio redazionale, secondo il modello letterario degli annunzi, che “prevede un’obiezione da parte di colui che riceve la visione” (R. Brown). Con l’artificio del dialogo l’evangelista non intende ricordare l’atteggiamento psicologico di Maria, ma piuttosto l’ascendenza davidica e la filiazione divina di Gesù: Dio con un intervento diretto, con un atto creativo rende fecondo il grembo verginale di Maria. Viene così sottolineata l’origine soprannaturale di Gesù.

L’interesse prevalente dell’evangelista è certo cristologico, ma con questo non si può escludere aprioristicamente la possibilità di un’eco nella tradizione d’una realtà sublime, che si è verificata in Maria, dietro il suo libero consenso, cioè dell’incarnazione del Figlio di Dio. In ogni caso, bisogna “sottolineare  che il testo… invita ad andare oltre alla disputa circa la verginità fisiologica o meno di Maria. La curiosità deve lasciare il posto alla teologia, le questioni marginali al cuore di un annuncio sempre più esplicitato dalla riflessione orante della Chiesa primitiva: da una terra vergine Dio creò Adamo mediante il suo soffio, da una carne incontaminata Dio creò Gesù, il nuovo Adamo, mediante il suo Spirito” (G. Bruni).

Verginità tipo della chiamata a liberarci dalla contaminazione data dal matrimonio con gli idoli. Verginità del cuore a cui tutti, sposati e celibi, sono chiamati e dalla quale, in definitiva, trae senso quella fisica.

Ma anche verginità che sottolinea la straordinarietà del piano di Dio, che dona il Messia al di là di ogni merito o capacità umana.

35°: “Lo Spirito Santo verrà su di te, su te stenderà la sua nube la potenza dell’Altissimo

“Spirito Santo” non è preceduto dall’articolo e si riferisce a un attributo divino, alla sua forza,  ma c’è un’allusione allo spirito di Dio (“mah ‘Elohim”) che “aleggiava sulle acque” del caos primitivo per la creazione del cosmo (Gen 1,2).

Maria è santa perchè è stata assunta dallo Spirito Santo: la sua maternità divina la pone in contatto diretto con Dio Spirito Santo: lo Spirito Santo si personalizza in Maria. “Essa fu creata nello Spirito in modo che possiede una connaturalità eterna con lui…  Se diciamo che Maria sarebbe stata assunta dallo Spirito, che  lo Spirito avrebbe preso forma storica in lei, possiamo allora dire che lo Spirito Santo è la madre divina dell’uomo Gesù” (L. Boff)!

In Maria si incarna la Presenza – Shekinah di Dio. C’è assonanza tra il verbo greco “episkiàzein” (= adombrare) e l’ebraico “shakàn”: da questo deriva anche il termine rabbinico Shekinàh, usato al posto del nome di Dio; può indicare l’Altissimo, la Dimora, il Luogo santo. Il medesimo verbo ricorre nella trasfigurazione, in riferimento alla nube, indicante la presenza di Dio, che avvolge i tre discepoli (epeskìasen = coprì, in Lc 9,34). Al momento dell’annunciazione, Dio prende veramente possesso del grembo di Maria, che diviene la sua dimora vivente, quale figlia di Sion, cioè rappresentante del nuovo popolo eletto.

La Shekinah era la colonna di fuoco che illumina di notte e nube che ripara di giorno. E’ questa Presenza che dà sicurezza al turbamento di Maria (Lc 1,29), che dà forza per superare la sua obiezione: “Come è possibile?” (Lc 1,34). A nessuno ciò si addice meglio che a Maria, la “chiamata” per eccellenza, il luogo dove il Verbo stesso è diventato Emmanuele, Dio con noi, ha posto la sua tenda in mezzo a noi (Gv 1,14), ella che sarà coperta dalla sua ombra – nube –  Shekinah. Quando Giovanni afferma che il Verbo “alzò una tenda” usa il greco skenè (= tenda), che richiama ancora l’ebraico Shekinà, la Presenza reale di Dio in mezzo al suo popolo (Es 40,34-38,1; 1 Re 8,10s), sinonimo di Kabòd, Gloria.

È la stessa proclamazione dell’incarnazione, cioè dell’incontro tra il divino e l’umano in Gesù, che è espressa da Giovanni nella frase essenziale “Il Logos si è fatto carne” (Gv 1,14). È per questo che Maria è allusivamente rappresentata come l’arca dell’alleanza del tempio di Sion su cui si stendeva l’“ombra” della presenza divina ed è interpellata dall’angelo come “kecharitomène”, cioè come “ricolma di grazia” da parte di Dio. Suo figlio sarà, come dice il poeta tedesco Novalis nei suoi Inni alla notte scritti tra il Natale 1799 e l’Epifania 1800, “frutto infinito di misterioso amplesso”.

35b: “Colui che nascerà sarà dunque (“dià kai”) santo e chiamato Figlio di Dio”

La stessa maternità di Maria, costituisce già in se stessa un evento di salvezza e di divinizzazione, e non è solo strumentale alla nascita del Figlio. “Colui che nascerà sarà dunque (“dià kai”) santo e chiamato Figlio di Dio”: Maria non è solo un tempio vuoto in cui arriva la Presenza di Dio, ma “Maria fu predestinata fin da tutta l’eternità a essere l’abitazione dello Spirito che per mezzo di lei e in lei avrebbe cominciato la creazione rinnovata” (L. Boff).

38: “Eccomi, sono la serva del Signore

Maria poi è la “schiava di IHWH” (Lc 1,38: non la “serva”), cioè la madre dello Schiavo (“ebed”) di IHWH trafitto per i nostri peccati (Is 53,5): anche a lei una spada trafiggerà l’anima (Lc 2,35). Come diranno i Padri, è “l’Agnella che partorisce l’Agnello” (Lc 2,35). Le parole di risposta di Maria esprimono una coscienza di relazione.

Il Vangelo utilizza proprio il termine “dùle”, schiavo; ciò fa pensare ad un rapporto servile. In verità dal punto di vista biblico esprime qualcosa di più profondo. Le parole di Maria sono risposta all’espressione di Isaia: “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio” (42,1). C’è assonanza tra le parole di Isaia e le parole di Maria nel suo: “Eccomi sono la serva”, e in ciò che dice l’angelo: “Hai trovato grazia presso Dio”.

Maria dunque si definisce in relazione con Dio, perché Lui ha scelto di mettersi in relazione con lei, relazione di scelta, compiacenza, sostegno. Un’altra assonanza: “Ho posto il mio spirito su di lui” (Isaia 42,1b); “Lo Spirito Santo verrà su di te” (Luca 1,35). Maria perciò nella sua risposta si colloca nel quadro delle predilezioni di grazia e di missione in cui si collocava la figura del Servo di IHWH. La sua coscienza è quella di un fedele servitore, amato da Dio, prescelto da lui, per riempirlo del suo spirito.

Maria accoglie dunque nella fede il progetto di Dio: “Eccomi, sono la serva del Signore: avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). Con il titolo di serva Maria riconosce di essere stata incaricata di un grande compito, sa di essere al servizio del Signore e si dichiara completamente disponibile.

“Avvenga di me quello che hai detto”

Non solo: Maria esprime l’entusiasmo e la gioia di questa disponibilità. Il verbo greco tradotto con “avvenga” (“gnoito”) è un ottativo, cioè una forma che esprime un desiderio ed una gioia: Maria non accetta con rassegnazione, ma accoglie con entusiasmo e dice in sostanza: “Sono proprio contenta che avvenga quello che hai detto, non desidero altro!”. Ecco il modello del credente e del discepolo.

Maria esplicita l’opzione fondamentale “secondo la tua parola”, “katà to rèma tu”. La stessa espressione è in Luca 2,29: “Ora lascia andare il tuo servo, Signore, secondo la tua parola, nella pace”, Simeone sembra chiedere qualcosa: “Ora lascia”; in verità il verbo dice: “Ora tu stai sciogliendo i miei legami”. Simeone dice che il Signore gli ha fatto toccare il culmine della pienezza nella contemplazione di quel Bambino che ha tra le braccia. È un riverbero del “‘sì” di Maria che ha la pienezza nella maternità divina. E tutto tende al grande “sì” di Gesù: “Ora Padre, nelle tue mani affido il mio spirito” (Luca 23,46).

 


Read more

Local News