Commento alle letture di domenica 26 Maggio 2019 – Carlo Miglietta

Il commento alle letture di domenica 26 Maggio 2019 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.

Dio chiede ascolto

La creazione, secondo la Bibbia, avviene per la forza della Parola di Dio (Dabar IHWH)[1]. Fin dagli inizi, nel giardino dell’Eden, Dio parla agli uomini: “Udirono la voce del Signore Dio che camminava nel giardino alla brezza del giorno, l’uomo, con sua moglie” (Gen 3,8-10). Dio si manifesta a Mosè nel roveto parlandogli[2]. La rivelazione al Sinai è un evento incentrato essenzialmente sull’ascolto; sul monte, Dio si rivela facendo udire la sua voce[3]. Così Dio continuamente parla ad Israele per mezzo dei suoi profeti[4]. La parola di Dio in alcuni testi[5] è vista addirittura come persona; è identificata con la Torah, la Legge, e con la Sapienza stessa di Dio[6]. La Parola di Dio interpella tutti gli uomini nelle profondità di loro stessi: “Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: <<Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire?>>. Non è di là dal mare, perché tu dica: <<Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire?>>. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica” (Dt 30,11-14[7]).

La Parola di Dio si fa addirittura carne nel Figlio: “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,1-3.14).

La Scrittura ci parla anche della voce di Dio nei cieli. Paolo racconta di essere stato “rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare” (2 Cor 12,4). Così Giovanni nell’Apocalisse racconta di avere udito in cielo la voce di Gesù[8] e quella di moltitudini di angeli[9].

Dio parla, si rivela, ma chiede ascolto. “Ascolta (Shema‘), popolo mio, ti voglio ammonire; Israele, se tu mi ascoltassi!” (Sl 8,9). “Fa’ attenzione, popolo mio, ora parlerò… Io sono Dio, il tuo Dio!” (Sl 50,7). L’ascolto costituisce la condizione primaria per relazionarci con Dio: “Se davvero ascolterete la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli…! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19,4-6)

Il verbo shama’ (come viene reso in ebraico il verbo italiano “ascoltare”) è nella Bibbia il verbo della “contemplazione” e dell’“interiorità”. Il Deuteronomio, titolo che in greco significa “Seconda legge”, è chiamato nella Bibbia ebraica “Le parole”, perché in essa i libri prendono nome dai vocaboli con cui iniziano[10]. Questo libro è un martellante invito all’ascolto della Parola di Dio: dice un suo passo, che il pio ebreo ripete più volte al giorno: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte” (Dt 6,4-9). E Gesù, a chi gli chiede qual è “il primo di tutti i comandamenti”, risponde: “Il primo è: <<Ascolta, Israele>>” (Mc 12,28-31).

Ma ormai l’ascolto della Parola di Dio sarà ascolto di Gesù, come proclama il Padre alla Trasfigurazione: “Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!” (Mc 9,7). E le pecore di Gesù sono quelle che “ascoltano la sua voce” (Gv 10,16.27). Chi non ascolta Gesù non viene da Dio: “Voi non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo… Chi è da Dio ascolta le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio” (Gv 8,43-44.47). L’ascolto di Gesù diventerà poi quello della Chiesa: “Chi ascolta voi ascolta me” (Lc 10,16). Ecco l’importanza di conoscere, amare, approfondire le Parole di Gesù, che la Chiesa ci trasmette nei secoli.

“Ascoltate e vivrete!”

L’ascolto del Signore è fonte di vita, di pienezza, di pace: “Porgete l’orecchio e venite a me; ascoltate e voi vivrete” (Is 55,3). Il Deuteronomio esprime benissimo questa rivelazione dilungandosi a spiegare[11] che se si ascolterà la Parola del Signore, fonte della Vita, si avrà ogni benessere e felicità; se non gli si darà ascolto ci si incamminerà in vie di negatività e di morte: è quella che viene chiamata la “teologia delle due vie”: “Se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrarti davanti ad altri dei e servirli, io vi dichiaro oggi che certo perirete, che non avrete vita lunga…; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, ascoltando la sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità” (Dt 30,15-20).

Il non ascoltare Dio è causa solo di infelicità:

“Dice il Signore tuo redentore,

il Santo di Israele:

<<Io sono il Signore tuo Dio

che ti insegno per il tuo bene,

che ti guido per la strada su cui devi andare.

Se avessi prestato attenzione ai miei comandi,

il tuo benessere sarebbe come un fiume,

la tua giustizia come le onde del mare.

La tua discendenza sarebbe come la sabbia

e i nati dalle tue viscere come i granelli d’arena;

non sarebbe mai radiato né cancellato

il tuo nome davanti a me>>” (Is 48,17-19).

Dice il Signore: “Chi ascolta me vivrà tranquillo e sicuro dal timore del male” (Pr 1,32), perché “Dio parlerà di pace al suo popolo e ai suoi fedeli” (Sl 85,8).

Gesù ribadisce con forza il rapporto tra l’ascolto di Dio e la vita, citando proprio Dt 8,3: “Sta scritto: <<Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio>>” (Mt 4,4). E proclama addirittura la beatitudine dell’ascolto: “Beati… i vostri orecchi, perché odono!” (Mt 13,16); “Beati quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica!” (Lc 11,28).

Dice Gesù: “Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia” (Mt 7,24); e perciò Gesù esorta: “Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti” (Lc 8,8).

E’ quindi fondamentale per Israele “conservare” e “custodire” la Parola di Dio: questi due verbi sono, nella Bibbia, sinonimi di “ascoltare”. Come Maria, la donna dell’ascolto, che “conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19[12]).

Ascolto è obbedienza

La parola greca che indica l’obbedienza, upakoè, è formata da up, “sotto” e akouo, “ascolto”; anche il latino ob-audire (ob, “verso”; audire, “sentire”), l’italiano “udire – obbedire”, il tedesco horen – gehorchen richiamano l’ascolto. Ascoltare in molte lingue vuol dire insieme udire ed obbedire. Ascoltare implica un atteggiamento attivo dell’uditore. Paolo parla della “upakoè pìsteos” (Rm 1,5), che non è “l’obbedienza alla fede”, come a volte traduciamo, ma l’“obbedienza della fede”, cioè quella fede che si identifica con l’obbedienza. Quando Dio parla sul Sinai, il popolo risponde: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo e lo ascolteremo!” (Es 24,7). Maria, nuovo Israele, a Cana dirà: “Fate quello che (Gesù) vi dirà” (Gv 2,5). I cristiani, secondo Pietro, sono i “figli dell’obbedienza (tèkna upakoès)” (1 Pt 1,14).

L’ascolto quindi deve coincidere con l’obbedienza, come esplica il Salmo 81 con un tipico parallelismo, che mette in equivalenza i due termini: “Il mio popolo non mi ha ascoltato, Israele non mi ha obbedito” (Sl 81,12).

Ci ammonisce Gesù: “Fate attenzione a quello che udite” (Mc 4,24); “Attenti dunque a come ascoltate” (Lc 8,18). C’è infatti sempre il rischio di essere di quelli che “pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono. E così si adempie per loro la profezia di Isaia[13] che dice:

<<Voi udrete, ma non comprenderete,

guarderete, ma non vedrete.

Perché il cuore di questo popolo

si è indurito, son diventati duri di orecchi,

e hanno chiuso gli occhi,

per non vedere con gli occhi,

non sentire con gli orecchi

e non intendere con il cuore e convertirsi,

e io li risani>>” (Mt 13,13-15).

Giacomo afferma nella sua lettera: “Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s’è osservato, se ne va, e subito dimentica com’era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla” (Gc 1,22-25). E Paolo: “Perché non coloro che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati” (Rm 2,13).

Stefano, negli Atti, esclama: “O gente testarda e incirconcisa nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo!” (At 7,51): per aprirsi alla voce dello Spirito occorre quindi non la circoncisione della carne, ma quella del cuore e delle orecchie[14].

È quindi necessaria un’obbedienza pronta alla Parola del Signore. Nella Bibbia c’è un vocabolo che sintetizza questo atteggiamento di ascolto disponibile: “Eccomi!”. E’ la risposta di Abramo alla richiesta di Dio di sacrificargli il figlio Isacco: “Dio mise alla prova Abramo e gli disse: <<Abramo, Abramo!>>. Rispose: <<Eccomi!>>” (Gen 22,1); così all’ordine di sospendere il sacrificio: “Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: <<Abramo, Abramo!>>. Rispose: <<Eccomi!>>” (Gen 22,11); è la risposta a Dio di Giacobbe: “L’angelo di Dio mi disse in sogno: <<Giacobbe!>>. Risposi: <<Eccomi!>>” (Gen 31,11[15]); è la risposta a Dio di Mosè[16], di Samuele[17], di Isaia[18], di Anania[19]; è quella di Maria all’angelo: “Allora Maria disse: <<Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto>>” (Lc 1,38).

Un cuore che ascolti

Salomone è gradito a Dio perché invece di chiedergli potenza e ricchezza gli domanda: “Da’ al tuo servo un cuore docile (lev shomèa)” (1 Re 3,9). Le nostre Bibbie in genere traducono “docile”, o “intelligente”; ma letteralmente la preghiera del re è di avere “un cuore capace di ascolto”, “un cuore che ascolta”.

E’ questa la migliore preghiera: perché “ascoltare è meglio dei sacrifici” (1 Sam 15,22). Il termine discepolo (limmud) è una forma passiva del verbo imparare, insegnare (lamad): il discepolo è colui che ha la Parola sigillata nel cuore: “Si sigilli questa rivelazione nel cuore dei miei discepoli” (Is 8,16).

E’ l’ascolto obbediente che ci mette in comunione profonda con Dio: “Ascoltate la mia voce! Allora io sarò il vostro Dio e voi sarete mio popolo” (Ger 7,23): “Io sarò il vostro Dio è e voi sarete il mio popolo” è la cosiddetta “formula di reciproca appartenenza”, che esprime un amore totale, come quello tra l’Amato e l’Amata nel Cantico dei Cantici: “Il mio diletto è per me e io per lui” (Ct 2,16). Perciò “chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 3,6).

Il vero discepolo è colui che si lascia aprire, forare, l’orecchio da Dio. Tante volte le nostre traduzioni parlano di “aprire l’orecchio”, nel senso di fare attenzione a chi parla; ma in realtà nel testo biblico il riferimento è ben più profondo e impegnativo. La foratura dell’orecchio era il gesto pubblico con cui un ebreo accettava di essere per sempre schiavo di un altro, rinunciando al diritto di essere liberato dopo sette anni: “Se lo schiavo dice: <<Io sono affezionato al mio padrone, a mia moglie, ai miei figli; non voglio andarmene in libertà>>, allora il suo padrone lo condurrà davanti a Dio, lo farà accostare al battente o allo stipite della porta e gli forerà l’orecchio con la lesina; quegli sarà suo schiavo per sempre” (Es 21,6[20]). Era la promessa solenne di servire per sempre un altro, anche rinunciando alla propria libertà. I testi biblici che parlano quindi di “aprire l’orecchio” non sono solo un invito all’ascolto, ma all’impegno di diventare per sempre fedeli servi del Signore, che a lui donano la propria vita: “Il Signore Dio… ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come gli iniziati. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro” (Is 50,4-5[21]); “Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Allora ho detto: <<Ecco, io vengo>>. Sul rotolo del libro di me è scritto, che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore” (Sl 40,7-9). Non quindi solo ascolto, ma obbedienza, fedeltà, servizio perseverante.

Ma occorre anche stare attenti a chi si ascolta: “Non ascoltate le parole dei falsi profeti che profetizzano per voi; essi vi fanno credere cose vane, vi annunziano fantasie del loro cuore, non quanto viene dalla bocca del Signore” (Ger 23,16). Ci mette in guardia Gesù: “Guardate che nessuno vi inganni; molti verranno nel mio nome, dicendo: <<Io sono il Cristo>>, e trarranno molti in inganno… Allora se qualcuno vi dirà: <<Ecco, il Cristo è qui>>, o: <<È là>>, non ci credete. Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti” (Mt 24,4-5.23-24). E Paolo: “Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole” (2 Tm 4,3-4).

Tante volte Gesù ha fatto udire i sordi[22]: e segno dell’avvento del Messia è proprio che “i sordi odono” (Lc 7,22). Che il Signore apra i nostri cuori all’ascolto della Parola. E in questo mondo confuso da tante parole vuote e spesso cattive, si realizzi presto la profezia del profeta Amos:

“Ecco, verranno giorni,

– dice il Signore Dio –

in cui manderò la fame nel paese,

non fame di pane, né sete di acqua,

ma d’ascoltare la Parola del Signore” (Am 8,11).

……….

LA VENUTA DEL PARACLITO

Nell’Antico Testamento troviamo spesso esempi di relazioni strette tra due personaggi, di cui uno muore o scompare di scena e l’altro ne prende il posto raccogliendone lo spirito: Mosè e Giosuè (Dt 34,9), Elia ed Eliseo (2 Re 2,9.15)… Alla sua morte in croce, Gesù effonde lo Spirito sui credenti (Gv 19,30: “Emise lo Spirito”; cfr 7,38-39); ed è lo Spirito il grande dono del Risorto (Gv 20,22; At 1,9-11; 2,33).

Per Giovanni, colui che egli chiama “un altro Paraclito” (Gv 14,16) è un altro Gesù. E sé il Paraclito può venire solo quando Gesù se ne va (Gv 16,7), il Paraclito è la presenza di Gesù quando Gesù è assente. Il termine paràkletos può avere più significati: come passivo di parakalèin è il “chiamato vicino”, l’avvocato difensore o meglio, in Giovanni, il testimone a favore in un processo; in forma attiva parakalèin è “colui che si fa vicino”, il protettore, l’amico, il consolatore; correlato a paràklesis, è colui che esorta, che incoraggia. Non è casuale che Girolamo, traducendo il Vangelo in latino nella cosiddetta Vulgata, abbia preferito mantenere la semplice translitterazione dal greco, paracletus, per mantenere tutti i significati. Lo Spirito procede dal Padre, che lo invia nel nome di Gesù (Gv 14,16.26): ma anche Gesù lo invia autonomamente (Gv 15,26; 16,7): i Concili Ecumenici cattolici concluderanno che “procede dal Padre e dal Figlio”.

Lo Spirito Santo inabita nei cuori dei cristiani; in Gv 14,16-17, in uno stupendo crescendo, non solo si afferma che Egli è con (metà) i credenti, ma che è presso (parà) di loro, anzi in (en) loro: essi sono così diventati “Pneumatofori”, “Portatori dello Spirito Santo” (Rm 8,9-11; 1 Cor 3,16-17; 6,13-20; Ef 2,22; 4,30; 1 Pt 4,14; 1 Gv 3,9). La Chiesa stessa è “tempio vivo dello Spirito” (Pref. VIII per annum; cfr Ef 2,20.22).

LA TRINITÀ E LA SUA INABITAZIONE NEI CREDENTI

Gesù applica a sé le prerogative divine e soprattutto il nome divino (6,35.51; 8,12; 10,7.9; 10,11.14; 11,25; 14,6; 15,1.5; 6,20; 18,5; 8,28.58; 13,19)… In che senso dice allora: “Il Padre è più grande di me” (v. 28)? Sé il Figlio è generato e il Padre no, sé in quanto uomo incarnato è inferiore al Padre, sé “un messaggero non è più grande di chi lo ha inviato” (13,16). Non solo lo Spirito Santo inabita nei credenti (vv. 16-17), ma anche il Padre e il Figlio (v. 23): siamo templi viventi di Dio!

IL DONO DELLA PACE

Il termine ebraico shalòm non corrisponde alla semplice assenza di guerra del greco eirène o alla sicurezza basata su patti bilaterali del latino pax: shalòm deriva dalla radice slm, che significa essenzialmente “completamento”, “pienezza”, anche nel senso di “riparazione”, “restitutio ad integrum”. Shalòm significa quindi ogni benessere (Gdc 19,20), fortuna e prosperità (Sl 73,3), salute fisica (Is 57,18; Sl 38,4), contentezza e soddisfazione (Gn 15,15; 26,29; Sl 4,9), piena intesa tra popoli e persone (1 Re 5,26; Gdc 4,17; 1 Cr 12,17.18), salvezza  totale (Ger 14,13; 29,11; Is 45,7): la pace è in qualche modo l’essenza stessa di Dio, il cui nome è proprio “JHWH SHALOM”, “Dio Pace” (Gdc 6,4).  Israele attende perciò un regno di pace escatologico (Is 54,10; 62,1.2), che sarà realizzato dal Messia, “principe della pace”, sotto il cui dominio “la pace non avrà fine” (Is 9,5-6; cfr Is 11,1-9; 42,1-4; 49,6).

Questa speranza si è realizzata proprio nel dono che Dio, “il Dio della pace” (Rm 15,33; Eb 13,20; 2 Ts 3,16), fa di sé agli uomini, Cristo stesso. Solo aderendo a Cristo l’uomo trova pace con Dio (Ef 2,14-17). Ed è appunto la pace il grande tema che racchiude tutta la vita di Gesù, dall’annuncio degli angeli a Betlemme (Lc 2,14) all’ingresso finale in Gerusalemme (Lc 19,38). “Pace!” è offerta da Gesù ai malati (Mc 5,24), ai peccatori (Lc 7,50), ai discepoli dopo la Resurrezione (Lc 24,36; Gv 20, 19.21.26), come salvezza e riconciliazione piena con Dio (Rm 5,10; 2 Cor 5,18; Col 1,20-22) e tra gli uomini (Ef 2,14-16). E’ la “sua” pace, non come “la dà il mondo” (Gv 14,27): è la pace “in lui” (Gv 16,33), che deriva dall’accoglierlo nella nostra vita (Col 3,15; Fil 4,7).

[1] Gen 1,3.6-7.9.11.14-15.20-21.24.26-27; Sl 33,6-9; Sap 7,22.27; 9,10; Sir 24

[2] Es 3,1-4,27

[3] Es 19,19b; Dt 4,10-12

[4] Ne 9,30; Bar 2,20; Ez 38,17; Os 12,11; Zac 7,12; Rm 1,2; Eb 1,1

[5] Is 55,10-11; Sap 18,15-16

[6] Sap  8,30; 9,9; Sir 24,3

[7] Rm 10,8

[8] Ap 1,10

[9] Ap 5,11

[10] Dt 1,1

[11] Dt 28; 30

[12] Lc 2,51

[13] Is 6,9-10

[14] Rm 2,29; 1 Cor 7,19; Gal 6,15

[15] Gen 46,2

[16] Es 3,4

[17] 1 Sam 3,4

[18] Is 6,8

[19] At 9,10

[20] Dt 15,16-17

[21] Is 48,8

[22] Mc 7,37; 9,25

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