Commento alle letture di domenica 24 Giugno 2018 – don Jesús GARCÍA Manuel

Il commento alle letture di domenica 24 Giugno 2018 a cura di don Jesús GARCÍA Manuel.

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Prima lettura: Isaia 49,1-6

Nel libro di Isaia sono inseriti quattro brani lirici, detti i canti del servo, i quali presentano un servo di Dio perfetto, adunatore del suo popolo e luce delle nazioni, che predica la vera fede, che espia con la sua morte i peccati del popolo ed è glorificato da Dio.
Riguardo a questi quattro poemetti gli esegeti non sono d’accordo sulla loro origine e sul loro significato; anche l’identificazione del Servo è molto discussa; vi si è visto la figura della comunità di Israele, ma le caratteristiche individuali sono molto accentuate; perciò altri esegeti, che sono attualmente in maggioranza, riconoscono nel servo un personaggio storico, del passato o del presente. In questa prospettiva l’opinione più probabile è quella che identifica il servo sofferente con Isaia stesso. Alcuni pensano di poter combinare le due interpretazioni, considerando il servo come un individuo che incorpora i destini del suo popolo.

In ogni caso il servo è mediatore della salvezza futura, il che giustifica l’interpretazione messianica che è stata data a questi passi. Gesù ha evocato questi passi applicandoli a se stesso e alla sua missione (Lc 22,19-20.37; Mc 10,45).

Il brano della lettura costituisce il secondo dei canti del servo.

Questo secondo canto riprende i temi del primo (Is 48,1-8) insistendo su alcuni aspetti della missione del servo; la sua predestinazione (Is 49,1,5), la missione estesa non al solo Israele che il servo deve riunire, ma anche alle nazioni che deve illuminare (Is 49,6). Egli deve compiere una predicazione nuova che scuote (Is 19,2), che porta luce e salvezza (Is 49,6). Si accenna anche a un insuccesso del servo (Is 49,4) e viene esaltata la sua fiducia in Dio solo (Is 49,4-5) che si conclude con il trionfo finale. Il fatto che nel testo sia nominato Israele nella frase: «Mio servo sei tu, Israele» suggerisce l’ambivalenza della figura del servo, che ora è Israele, cioè tutta la comunità del popolo eletto, ora il suo capo e salvatore.

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Seconda lettura: Atti 13,22-26

I capitoli 13-15 degli Atti sono come il cuore del libro; in essi avviene il passaggio dell’annuncio evangelico dai Giudei ai pagani, in modo tale che ciò che era accaduto già con Pietro nella predicazione in casa di Cornelio, ora diventa prassi abituale, e il concilio di Gerusalemme sancisce la dottrina ufficiale sulle relazioni tra i credenti in Cristo di origine ebraica. Come Pietro dopo il discorso inaugurale di Pentecoste si era rivolto dapprima agli Ebrei di Gerusalemme e poi ai pagani presenti nella casa del centurione Cornelio per annunciare il messaggio di fede su Gesù, lasciandosi condurre dagli avvenimenti provvidenziali e dall’iniziativa di Dio in essi operante, così l’apostolo Paolo prima si rivolge ai membri del popolo eletto per annunciare il messaggio della risurrezione di Gesù, poi di fronte al loro rifiuto, si rivolge ai pagani.
    Il brano della lettura è una sezione del primo grande discorso di Paolo agli Ebrei della diaspora in Antiochia di Pisidia, il secondo sarà rivolto ai pagani, ai Greci dell’areopago di Atene. Con la presente allocuzione si può dire che inizia la missione e l’opera dell’apostolo nella Chiesa primitiva, dopo quella di Pietro. Si va realizzando il programma enunciato da Gesù (At 1,8): dopo Gerusalemme e la Giudea, l’evangelizzazione si avvia verso gli estremi confini della terra. Nasce così la comunità di Antiochia di Siria (At 11,19-26) che a partire da questo momento diviene anch’essa centro di spinta missionaria. Da Antiochia di Siria parte l’avventura missionaria di Paolo che si spinge fino all’altra Antiochia, quella di Pisidia città nell’interno dell’altopiano anatolico per raggiungere la quale era necessario un viaggio lungo, faticoso e pericoloso. L’intero discorso di Paolo, che può ritenersi un paradigma della sua predicazione ai Giudei, si trova perciò collocato in un tempo forte per la Chiesa nascente.

    La prima parte traccia un compendio della storia di salvezza, dall’elezione del popolo al periodo dei giudici, al tempo della monarchia (At 13,16-21). La seconda parte da Davide passa direttamente all’annuncio di Gesù, è l’evangelo su Gesù (At 13,22-37). La terza parte proclama il perdono dei peccati e la giustificazione mediante la fede. Il passo della lettura appartiene alla seconda parte (At 13,38-41).

    L’intera seconda parte del discorso è incentrata su Gesù e la sua risurrezione. La sezione che costituisce il brano della lettura è incentrata sulla persona di Giovanni Battista, precursore di Cristo. Egli è presentato come colui che ha predicato il battesimo di penitenza; le frasi su di lui rivelano che il Battista appartiene al tempo dei profeti che preparano la venuta di Gesù. Luca ripete le frasi con le quali nel vangelo il precursore aveva presentato se stesso e insieme aveva presentato Cristo: «Ma ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di slacciare i sandali» (At 13,25).

    Questo annuncio è denominato come «parola di questa salvezza» (At 13,26). Nella persona di Gesù infatti si è realizzata la salvezza che costituiva la grande attesa della fede del popolo eletto.

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B
NATIVITA’ DI SAN GIOVANNI BATTISTA

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 24 Giugno 2018 anche qui.

Battezzate tutti i popoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 1, 57-66.80

Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Parola del Signore

Fonte: LaSacraBibbia.net

LEGGI ALTRI COMMENTI AL VANGELO

Commento al Vangelo: Luca 1,57-66.80

Esegesi

Dopo il duplice quadro delle annunciazioni — a Zaccaria del concepimento e della nascita di Giovanni Battista, a Maria del concepimento e della nascita di Gesù — ecco ora il quadro della nascita di Giovanni e della sua circoncisione, ricco di riferimenti biblici all’antico Testamento. Con il fatto della nascita di Giovanni avviene il compimento della promessa fatta a Zaccaria suo padre nell’annunciazione datagli dall’angelo Gabriele.

L’economia della salvezza è giunta a un momento decisivo con la venuta nel mondo del precursore di Gesù; l’atmosfera di gioia e di benedizione che inquadra tutta la scena prepara l’espansione dell’allegrezza messianica e della glorificazione di Dio che sta per avvenire con la nascita di Gesù.

Il passo evangelico si struttura nel modo seguente: il parto di Elisabetta, la reazione gioiosa dei parenti e vicini; la circoncisione e imposizione del nome al bambino, la fine del mutismo di Zaccaria, la reazione dei vicini. A questo insieme, dopo la proclamazione dell’inno di Zaccaria, va congiunta la notizia finale sull’infanzia e la vita nascosta di Giovanni nel deserto.

La nascita di Giovanni: «Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio» (Lc 1,57). Con la nascita di Giovanni viene dato compimento alla promessa dell’angelo a Zaccaria: «tua moglie ti darà un figlio» (Lc 1,13). L’espressione sul compiersi del tempo indica l’attenzione dell’evangelista all’aspetto temporale storico degli avvenimenti salvifici; l’azione di Dio a favore degli uomini entra nel ritmo temporale, si accompagna alla loro storia, l’assume e così eleva il tempo e la storia degli uomini all’altezza dell’eternità. È questa la dialettica del mistero divino: entrare nell’umano, nello storico, per comunicare il divino e l’eterno.

La gioia dei parenti e dei vicini: «I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei» (Lc 1,58). Dio rende grande la sua misericordia come manifestazione del suo favore, della sua grazia, che opera la salvezza umana. I parenti e i vicini di Elisabetta non avevano ancora appreso la notizia della sua maternità durante il tempo della sua gravidanza perché la donna si era tenuta nascosta (Lc 1,24). I parenti e i vicini di Elisabetta ascoltano la notizia della nascita, vengono messi ora di fronte a una espressione della bontà e della grandezza di Dio e partecipano alla gioia che si diffonde e diviene comune.

La nascita del bambino è immersa nella gioia; si realizza ciò che l’angelo aveva detto a Zaccaria: «avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita» (Lc 1,14). Nel caso di Giovanni si tratta di un bambino nato da una donna anziana ritenuta sterile. Trattandosi del compimento della volontà divina di salvezza anche San Paolo invita i cristiani a partecipare alla sua gioia per il servizio e il sacrificio apostolico: «anche voi godetene e rallegratevi con me» (Fil 2,18). Il tema della gioia è caratteristico per il vangelo dell’infanzia e per l’intera opera di Luca.

Circoncisione e imposizione del nome: «Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati (Lc 1.59-63).

Secondo il comando di Dio ad Abramo, ripreso nella legge di Mosè, un bambino doveva essere circonciso l’ottavo giorno dalla sua nascita (Gn 17,12; Lev 12,3). La circoncisione richiama a Dio la sua alleanza e all’uomo la sua appartenenza al popolo eletto con gli obblighi che ne derivano. Per i singoli Israeliti maschi la circoncisione era il segno della dignità di membri del popolo sacerdotale regale e profetico, era la garanzia di partecipare alle benedizioni promesse da Dio e il segno distintivo dai non Israeliti.

Viene elaborata tutta una dottrina teologica riguardante la circoncisione; san Paolo la interpreta come «sigillo della giustizia nella fede» (Rm 4,11), cioè segno di una giustizia che consiste nel credere con fede vissuta. La circoncisione poteva venire eseguita da qualunque israelita; la sua importanza dispensava perfino dalla legge rigorosa del riposo sabbatico.

Nel nostro testo, secondo la consuetudine del tempo, con il rito della circoncisione è congiunta la imposizione del nome. Il passo che consideriamo costituisce una concentrazione della teologia del nome. È precisamente sulla imposizione del nome che l’evangelista fissa la sua attenzione. Il testo è costruito sulla opposizione tra la proposta umana e la scelta divina. Coloro che vengono per circoncidere il bambino seguendo le consuetudini, propongono di dare un nome presente nell’ascendenza fa-  miliare, in questo caso il nome del padre Zaccaria. Il piano di Dio è un altro, esso si rivela nell’accordo che emerge tra Elisabetta e Zaccaria, senza che fra di loro sia avvenuta comunicazione a causa del mutismo di Zaccaria. L’accordo dei genitori sullo stesso nome da assegnare al figlio esprime la loro volontà di ricordare a tutti che quel bambino indica l’iniziativa libera e gratuita di Dio; il nome sarà Giovanni, che significa: Dio è favorevole, nome che era stato rivelato dall’angelo a Zaccaria durante la visione avvenuta nel tempio (Lc 1,13). Tale nome del bambino apre uno spiraglio di luce sul segreto della sua missione futura, la benevolenza, la grazia, il favore divino verso i credenti avranno in lui l’inizio della realizzazione definitiva.

Il passo si conclude con l’annotazione: «tutti furono meravigliati». Viene così annunciato un altro tema caratteristico, la meraviglia gioiosa, l’ammirazione per le opere di Dio. La gioia e la meraviglia sono il clima operato dal dispiegarsi dell’agire salvifico di Dio entro la dimensione dello spazio e del tempo umano per realizzare il suo piano attraverso coloro che egli manda; qui il mandato da Dio è Giovanni, il precursore di Gesù.

Fine del mutismo di Zaccaria: «In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio» (Lc 1,64). Gli eventi annunciati dall’angelo a Zaccaria durante il servizio liturgico nel tempio ottengono ora il loro ultimo compimento; si tratta del segno che Zaccaria aveva domandato all’angelo e l’angelo aveva accordato dicendogli: «Sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole le quali si adempiranno a loro tempo» (Lc 1,20).

Adesso il figlio è nato, il nome stabilito è stato dato, perciò finisce per Zaccaria l’impossibilità di parlare, la sua bocca si apre, la sua lingua si scioglie, egli parla. Aveva perduto improvvisamente la parola, la riacquista ora improvvisamente e come il mutismo aveva assunto anche l’aspetto di punizione per la mancanza di fede, ora la guarigione è il segno che la sua fede è piena e matura. Questa infatti si espande in lode di Dio. La nascita di Giovanni fa sì che la bocca di suo padre si apra ed egli possa proclamare la meravigliosa azione di Dio benedicendolo. Il parlare di Zaccaria benedicendo Dio è testimonianza per tutti gli ascoltatori della sua fede e delle gesta divine.

La reazione dei vicini: «Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui» (Lc 1,65-66). Coloro che erano testimoni di questi eventi furono ripieni di timore e di riverenza, comprendendo che attraverso tutti questi segni stava accadendo un singolare prodigio e intervento di Dio.

Avevano conosciuto Elisabetta sterile e anziana, diventare madre; avevano veduto il vecchio sacerdote reso muto, divenire padre; avevano assistito all’imposizione di un nome inconsueto e inatteso, dichiarato dalla madre e confermato dal padre; erano stati spettatori dell’improvvisa loquela di Zaccaria; tutti questi fatti generavano negli animi un profondo sentimento religioso di riverenza. Tale infatti è il senso del «timore», tema frequentemente ricorrente nel vangelo di Luca. Il timore del Signore non è principalmente il sentimento della paura; esso implica anche l’amore pieno di riverenza e la disposizione d’animo alla obbedienza verso ciò che Dio comanda; esso è l’inizio e il coronamento della sapienza di fede in cui si sviluppa la relazione interpersonale tra i credenti e Dio in modo che timore e amore, sottomissione e confidenza filiale convergono fino alla coincidenza.

Questo sentimento della ristretta cerchia dei parenti e dei vicini di Zaccaria ed Elisabetta si diffonde con la notizia degli eventi in tutta la regione della Giudea. Il messaggio percorre spazi più vasti del solo ambiente in cui si è verificato l’intervento diretto di Dio; chi lo accoglie se ne fa egli stesso araldo e in tale modo di bocca in orecchi, e di orecchi in bocca l’annuncio viene divulgato. Coloro che ascoltano ripongono nel loro cuore, nella loro memoria, nella loro riflessione il contenuto del messaggio e vi trovano il nutrimento per la loro fede e la loro pietà. Così Giovanni appena nato è costituito nella sua persona un segno manifestativo, una orientazione di tutti verso Dio. La sua presenza, il suo esistere nel mondo, anche se ancora protetto dall’infanzia, è già sulla bocca e nell’animo della gente. Di lui dicevano: « Che sarà mai questo bambino?» (Lc 1,66) esprimendo un sentimento di intensa ammirazione.

L’ultima espressione: «La mano di Dio stava con lui» (Lc 1,66) significa l’efficace presenza, assistenza, protezione di Dio e la certezza dell’esito felice del compito affidato a Giovanni. La mano del Signore nella sacra Scrittura è il simbolo della forza di Dio, della sua onnipotenza che salva. Da tutti gli eventi raccontati appare che Dio assume il fanciullo sotto la sua speciale provvidenza come strumento del suo piano salvifico, le espressioni che seguono confermano e illustrano nella vita nascosta di Giovanni questa presenza e questo speciale governo divino.

La vita nascosta di Giovanni: «Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele» (Lc 1,80). Questa descrizione sulla vita dell’infanzia di Giovanni abbraccia tutto il periodo che va dalla circoncisione e imposizione del nome fino all’inizio del ministero pubblico del precursore. Viene indicata la crescita fisica e spirituale, la scelta del deserto come luogo di residenza abituale. La maturazione corporale segue le leggi della natura, ma in Giovanni lo Spirito di Dio che aveva già preso possesso di lui fin dal seno della madre (Lc 1,15) e lo aveva mosso nel sussulto dentro il seno materno al momento del saluto di Maria ad Elisabetta (Lc 1,41,44) ora prosegue la sua azione fortificandolo in ordine alla missione pubblica.

Anche la scelta del deserto come ambiente di soggiorno può ascriversi alla mozione dello Spirito, come sarà per Gesù stesso (Lc 4,1). Essendo Giovanni figlio di famiglia sacerdotale la sua destinazione ordinaria sarebbe stata quella di dedicarsi al servizio liturgico del tempio; ma la chiamata di Dio lo destina al compito di essere l’araldo dell’epoca messianica, il precursore di Cristo. La permanenza nel deserto come luogo di solitudine in cui si è più vicini a Dio costituisce la preparazione di Giovanni alla sua missione.

Meditazione

L’evento della nascita di Giovanni Battista illumina gli altri testi biblici: il testo di Isaia ne diviene profezia («il Signore mi ha plasmato suo servo fin dal seno materno»: Is 49,5), mentre il passo degli Atti è sintesi del ministero di Giovanni e accenna alla sua  «nuova nascita», se così possiamo chiamare il suo diminuire per lasciar crescere il Messia di cui egli è il precursore (At 13,25).

L’importanza capitale di Giovanni nell’economia cristiana appare dal fatto che solo di lui e di Maria (oltre che, ovviamente, di Gesù) la chiesa celebra liturgicamente la nascita.

Giovanni, il cui nome significa «il Signore fa grazia», è figlio della vecchiaia e figlio della grazia. Vecchiaia dei suoi genitori e sterilità della madre sono l’alveo di impotenza su cui si posa la grazia del Signore, la sua misericordia: «Il Signore aveva esaltato in Elisabetta la sua misericordia» (Lc 1,58). Giovanni, con il suo venire al mondo, narra la misericordia di Dio ai suoi genitori: il suo nascere è per Zaccaria ed Elisabetta dono insperato che giunge contro ogni attesa e previsione. E l’esperienza della grazia, quando si abita nell’impotenza, infonde coraggio. Il coraggio con cui Elisabetta, contro ogni consuetudine famigliare e uso sociale, impone il nome «Giovanni» al bambino. E Zaccaria appoggia la moglie contro le contestazioni del parentado. Da dove vengono il coraggio della vecchia donna che era chiamata «la sterile» (Lc 1,36) e la lucidità amorosa del vecchio sacerdote reso muto? Forse è il coraggio che nasce dall’aver traversato molte tribolazioni, dall’essere stati umiliati e provati, arrivando a conoscere ciò che nella vita di fede è veramente essenziale: la misericordia di Dio.

I genitori di Giovanni sono uomini resi poveri e umili dalla vita: sono dei «poveri di sé», dei «poveri in spirito», cioè persone libere, che non hanno un ego da difendere e che sanno dunque vedere la realtà e se stessi con occhi semplici e sguardo puro, non inquinato. Questa lezione dell’essenziale, di ciò che è veramente prezioso, è spesso appresa da chi ha conosciuto la fatica e la durezza del vivere e le ha sopportate con pazienza. E conoscere l’essenziale dona parresia e forza, capacità di affrontare con libertà e coraggio ostacoli, contestazioni e diffidenze.

Giovanni è anche figlio della fede provata. Elisabetta e Zaccaria erano «giusti davanti a Dio» (Lc 1,6) ed erano rimasti giusti anche in mezzo alle prove. Noi certamente pensiamo che per loro deve essere stato difficile discernere la giustizia di Dio: perché quella sterilità? Perché quella vecchiaia senza futuro? Giovanni è anche il figlio di questa fede che accetta di perseverare, di questa fedeltà che a noi può sembrare folle o eroica, ma che per i due genitori era forse semplicemente il quotidiano cammino da percorrere senza tante storie e lamenti, senza accuse rivolte a Dio o all’ingiustizia della vita.

Certo, Zaccaria ha conosciuto anche cedimenti nella fede: in lui mutismo e uso della parola accompagnano rispettivamente incredulità e fede (cfr. Lc 1,18-20; Lc 1,63-64). Impossibilitato a benedire il popolo al termine della liturgia al Tempio (Lc 1,22), ora egli benedice Dio avendo riconosciuto il suo intervento (Lc 1,64).

Credere all’intervento benedicente di Dio nella miseria della propria vita è la condizione per trasmettere agli altri la benedizione di Dio.

Nel rapporto genitori-figli, generare implica anche il dare il nome. E dare il nome è fare una promessa e assegnare un compito: tu vivrai la tua vita, vivrai nel tuo nome, realizzerai la tua unicità. Dare il nome è esercitare un potere e un’autorità disponendosi a spogliarsi di tale autorità e di tale potere.

Se Giovanni crescerà nel deserto (Lc 1,80) e nel deserto svolgerà il suo ministero e la sua predicazione annunciando l’imminenza del Regno e della visita di Dio, egli era già il figlio dell’intervento di Dio nel deserto simbolico della vecchiaia e della sterilità dei suoi genitori. E come i suoi genitori avevano saputo imparare l’essenziale da ciò che patirono e soffrirono, anch’egli saprà discernere e mostrare l’essenziale ai suoi contemporanei indicando in Gesù di Nazaret il Messia.

don Jesús GARCÍA Manuel | Curriculum
Professore straordinario di Teologia Spirituale fondamentale (2016/2017)

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