Commento alle letture del Vangelo del 7 maggio 2017 – Carla Sprinzeles

Oggi nel Vangelo di Giovanni si intrecciano due metafore: quella della porta dell’ovile e quella del pastore. Dio è il pastore e Gesù è la porta attraverso la quale si entra e si esce.

Gesù ci chiede di prendere come riferimento della nostra vita la sua, come riferimento dei nostri giudizi e dei nostri pensieri il Vangelo. Questo non significa che tutti debbono diventare cristiani o entrare nella Chiesa per salvarsi, per avere vita piena, ma significa che è necessario che ci siano testimoni della verità del Vangelo, cioè che mostrino che le leggi che indica sono leggi di vita: che amare fino a giungere a donare la vita è la condizione perché l’umanità trovi la pace e realizzi la giustizia, che la violenza non conduce alla realizzazione del Regno di Dio, che la condivisione è una legge fondamentale per la crescita delle persone.

Queste leggi fondamentali devono essere mostrate vere soprattutto dove c’è l’odio, dove c’è la violenza, dove c’è l’attaccamento alle cose, lì ci devono essere comunità che mostrano la verità del Vangelo. Il Signore ci chiama a compiere questa missione, lì dove viviamo. Siamo disposti a compierla?

ATTI 2, 14-41
La prima lettura è tratta dagli Atti degli apostoli, dove la predicazione di Pietro proclama il messaggio centrale del cristiano: Dio ha manifestato a noi il suo volto di misericordia. Le ultime parole del discorso di Pietro proclamano Gesù come il Signore, indicando così che l’unica possibile relazione con lui è quella che riconosce il valore sempre attuale e permanente della storia di Gesù. E’ esattamente quanto intuiscono gli uditori del discorso dell’apostolo, che si sentono trafiggere il cuore dalle sue parole.
Il cuore trafitto, significa che la persona è stata colpita fortemente dalla parola ascoltata, e che si sente interpellata nella sua libertà (il cuore), provocata a dare una risposta che proceda dall’intimo della persona. Ciò che ha colpito il cuore non è stato certamente l’aspetto formale e retorico del discorso di Pietro, ma l’annuncio nuovo su Dio, su un Dio che si rivela nel Crocifisso. D’altra parte il cuore è trafitto anche perché è convinto del proprio peccato; in quella parola in cui si annuncia il Crocifisso viene dichiarata infatti anche la responsabilità degli uomini in quella morte. Il cuore trafitto è esattamente la libertà umana che si riconosce fallimentare, malata, che necessita di guarigione.
La domanda rivolta a Pietro e ai fratelli: “Che cosa dobbiamo fare?”, ha la risposta nella conversione sincera, in cui si riconosce la profondità del proprio peccato e si intraprende un nuovo esodo verso il Signore della propria vita. Pietro propone l’atto del battesimo come segno che sigilla un cammino di conversione e l’accoglienza della fede. Gesù è l’autorità sul cui nome la comunità celebra il rito del battesimo. Non è il battesimo di Giovanni, ma è il battesimo di Gesù: è lui che ha l’autorità di rendere vero questo gesto. Indica anche l’appartenenza al Signore. Nel battesimo si attua un nuovo esodo, visto come passaggio di proprietà dalla schiavitù del mondo ad una vita consegnata nelle mani di Cristo Gesù, vita in cui si dà il compimento della promessa. Il battesimo sigilla l’accoglienza della fede, che rende possibile vivere in una condizione nuova inaugurata dalla Pasqua di Cristo. E’ un rito che immette nella comunità dei credenti, nella Chiesa. All’inizio della comunità erano in tutto 120 persone, ora se ne aggiungono molte altre, come conseguenza dell’adesione alla parola della predicazione, adesione sigillata appunto dal battesimo che ne è seguito.
E’ interessante anche come il racconto di Luca su queste nuove adesioni metta il passivo: “e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone”, per sottolineare che è Dio ad aggiungerle alla comunità, e non in primo luogo la decisione personale dei singoli convertiti.

GIOVANNI 10, 1-10
Siamo stati creati dal grido di Dio: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”. Conosciamo dunque la voce del Verbo, la cui musica risuona nel silenzio della nostra unicità, appena accettiamo di essere noi stessi con i nostri limiti e la nostra libertà. Le mille dipendenze dalle quali ci lasciamo sedurre nascono dalla nostra paura di rimanere soli; sono esse i ladri e i briganti che devastano il nostro cuore, che ci fanno perdere la rotta e fuggire la realtà per approdare alla menzogna, all’illusione.
L’essere umano nasce uscendo dal recinto dell’uteroattraverso la porta che apre su una nuova forma di vita, ma egli in quel momento sente solo il proprio grido. Le voci degli altri ancora non instillano senso né sicurezza. Il fatto di abitare nella famiglia farà sì che l’orecchio si sintonizzerà con il suono delle parole per interiorizzare i valori sui quali strutturare l’esistenza. La scommessa della vita è passare da un recinto all’altro attraverso la porta giusta, individuando le voci liberanti per trovare in esse la forza di andare oltre, lasciandosi guidare dalla parola rivelatrice di verità, quella del vero pastore.
La clausura delle monache è quel recinto emblematico, che simboleggia la necessità di raccogliere le energie, senza sprecarle su pascoli effimeri, per trovare la forza di varcare una nuova soglia verso la pienezza del Regno. Tuttavia, a che cosa serve la vita religiosa, se non apre all’infinito, dove il Risorto aspetta tutti, oltre il tangibile, oltre il tempo e lo spazio? Chi entra in clausura dovrebbe poter diventare un invito per tutti a seguire il Pastore verso l’interiorità, dove risuona la sua voce che chiama tutti per nome, nella perfetta comprensione e stima dell’unicità di ciascuno, con il peso di eredità che configura la sua bellezza e la sua debolezza.
Tutti abbiamo bisogno di uno spazio, piccola clausura dell’interiorità, dove ritrovare se stessi e uscire da ogni evento dietro il Pastore che ne apre la dimensione di bene. Ognuno si porta dentro il sogno di un recinto, che lo separi dai sussurri seduttori, ma finché, come Ulisse, vogliamo goderci il canto delle sirene, restiamo legati al palo dei nostri desideri, rinchiusi nel tempo e nello spazio, non siamo in grado di fidarci della voce del Pastore, che ci apre orizzonti di eternità e che ci invita a seguirlo nella festa della vita.

Amici, il Signore Gesù instaura con ognuno un rapporto personale, ognuno esperimenta cosa significhi essere conosciuti nel profondo: noi conosciamo il timbro della sua voce e solo attraverso di lui entriamo nel mistero d’amore del Padre. Gesù è la porta, il passaggio che conduce al volto di Dio e ne rivela la misericordia senza limiti. Entriamo attraverso di lui alla gioia e alla pace del nostro pellegrinaggio terreno.

A cura di Carla Sprinzeles | via Qumran

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IV Domenica del Tempo di Pasqua

Gv 10, 1-10
Dal Vangelo secondo Giovanni

1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. 7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 07 – 13 Maggio 2017
  • Tempo di PasquaVII, Colore – Bianco
  • Lezionario: Ciclo A | Salterio: sett. 4

Fonte: LaSacraBibbia.net

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