Commento alle letture del 30 agosto 2015 – CPM-ITALIA

Il commento di CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie – famiglie) alle letture di domenica 30 agosto 2015.

cpm

Dt 4, 1-2. 6-8; Sal.14; Gc 1, 17-18. 21-27; Mc 7,1-8.14-15.21-23

I farisei radunati attorno a Gesù – come ci racconta Marco nel 7 capitolo del suo Evangelo (vv. 1-23) – sono molto religiosi. La loro attenzione scrupolosa alle prescrizioni della Legge, in particolare per quanto riguarda i temi degli alimenti, dell’igiene e delle tradizioni, rasentava, e ancora oggi rasenta presso gli Ebrei osservanti, la forma della nevrosi ossessiva. Erano, si potrebbe dire, “schiavi” della Legge e delle numerosissime leggi date direttamente da Jahvè, il Dio dei loro padri: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi…» (Dt 4,1). L’ebreo osservante, dunque, mettendo in pratica la legge di Jahvè, tiene un comportamento eticamente corretto, gradito a Dio. Come nota acutamente Emmanuel Lévinas, amare la legge di Dio più che il Dio della Legge, dire cioè di Dio “Io lo amo, ma amo di più la sua Legge” non è una bestemmia, ma “la protezione contro la follia di un contatto diretto col Sacro senza la mediazione della ragione”. Paradossalmente, un’asserzione di laicità. E tuttavia il rischio è quello di dividere le persone tra osservanti e non osservanti, creando separazioni. Non è un caso che la parola “fariseo” significhi appunto “separato”. La missione dei farisei era quella di rendere “santa” la gente attraverso l’osservanza perfetta delle leggi. Il loro stupore di fronte alla presunta “irreligiosità” dei discepoli di Gesù è dunque legittima. “Perché i tuoi discepoli non ubbidiscono alla tradizione religiosa dei nostri padri e mangiano con mani impure?” – chiedono al Rabbi venuto dalla Galilea.

[ads2]Il tema di questa domenica è appunto quello della purezza. Seguiamo l’evangelo di Marco per cogliere le due modalità alternative di vivere questa virtù. Quella tradizionale (farisaica, togliendo come dicevamo a questo aggettivo ogni connotazione dispregiativa) e quella innovativa, portata da Gesù.
Ai tempi di Gesù non c’era la televisione, né Internet, ma le voci su questo Rabbi che operava miracoli e che non era tenero con il potere costituito si era sparsa ugualmente sul territorio della Palestina. Un gruppo di farisei e di scribi, dunque, parte da Gerusalemme e raggiunge Gesù e i suoi discepoli. Tra i compiti dei farisei c’era anche quello di far rispettare la legge, con le buone e se necessario con le cattive. C’è una velata minaccia, dunque, dietro a quella domanda: «Perché i tuoi discepoli prendono cibo con mani impure?» (cioè, senza essersi lavate accuratamente le mani e senza aver fatto le abluzioni rituali…).
La reazione di Gesù non si fa attendere. E qui troviamo la modalità innovativa di vivere la purezza. Prima cita Isaia: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» (Is 29,13). Verrebbe da dire che spesso la religione – intesa come adesione formale ai precetti delle varie religioni storiche – può essere addirittura di inciampo per la fede. Ma Gesù prosegue ancora e dopo aver messo in evidenza la loro ipocrisia, lancia l’accusa più pesante: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». E infine, utilizzando questo episodio per uno spunto pedagogico, si avvicina alla folla e dice: «Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro».
Proviamo a cogliere da questo episodio almeno due considerazioni e un’applicazione pratica per la coppia e la famiglia.

1) Gesù propone un nuovo modello di religiosità rispetto a quella antica: quella era fondata su una forma di sacro che (etimologicamente) separava: da una parte i buoni, coloro che osservavano letteralmente la legge; dall’altra i “cattivi” che non osservavano la legge e che quindi erano nel “peccato”; questa del Maestro, invece, inaugura un modello nuovo; si tratta di una religiosità che, anziché separare, unisce perché apre a feconde relazioni tra gli esseri umani. Anche come coppia e come famiglia possiamo passare da una religiosità rituale, fatte di osservanze tradizionali, di abitudini, e in genere un po’ triste, a una religiosità gioiosa, in cui fondamentale è l’incontro con il Signore e con i fratelli, gli uomini e le donne che condividono il nostro stesso percorso di fatica.
2) Gesù propone un nuovo modello di etica. Ciò che è impuro non viene dentro di noi dall’esterno, ma viene fuori dall’interno. Gesù, cioè, colloca ciò che è puro ed impuro al livello del comportamento etico. Molte coppie e famiglie “benpensanti”, e spesso la stessa comunità cristiana, non accettano di “contaminarsi” con coppie e famiglie cosiddette “irregolari” che dunque vengono emarginate non essendo ritenute “degne”. Sì, la paura della contaminazione è ancora molto forte nella Chiesa. Gesù ci insegna, tuttavia, che solo un cuore ospitale e libero può valutare ciò che è buono e degno, e ci chiede di accogliere tutti, senza paura di contaminarci. Ci insegna, in definitiva, a passare da una religione della forma a una religione della persona. Un’autentica rivoluzione.

Ma, a nostro giudizio, è possibile dedurre un’applicazione ancora più concreta a riguardo della coppia e della famiglia. Si entra qui in uno dei punti nodali dell’esistenza di ogni essere umano, e non solo degli uomini e delle donne di fede.
La nostra è una società in cui vengono adorati gli idoli più strani – denaro, carriera, bellezza, sesso – eppure si fa strada un’insistente domanda religiosa. C’è nelle coppie e nelle famiglie che incontriamo sul nostro cammino un tentativo serio e sofferto di ricerca di un’identità nella quale riconoscersi, di una comunità alla quale aderire per superare la solitudine e l’isolamento. Un isolamento che interessa tutti, ma che è particolarmente avvertito dalle coppie giovani, spesso lasciate sole, nell’anonimato livellante e triturante delle grandi periferie urbane e sociali, proprio nel periodo più delicato della loro esperienza di coppia, quando la difficoltà di riconoscersi e di accettarsi nelle reciproche differenze può rendere più difficile il cammino verso una relazione adulta e matura.
A queste persone, con le quali instauriamo un rapporto di accompagnamento, non possiamo proporre una religiosità semplicemente formale. La loro è un’autentica domanda religiosa, perché è una domanda di senso destinata però spesso a rimanere nel vago. Prevale in essa quel bisogno di sacro “che atterrisce e affascina”. Altre volte, però, essa assume la forma di interrogazione lancinante a Dio, come quella di Giobbe dal suo luogo di segregazione e di sofferenza, o quella di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?“. È interpellare Dio per chiedergli ragione dell’esistenza, ma in fondo anche per affidargliela; è ricercare una pienezza di vita, dare ad essa un valore ed un senso per dischiudere prospettive di significato anche là dove esso parrebbe negato. Così il religioso – “questo” religioso – diventa il fondamento del vivere morale, per cui nell’esperienza cristiana non esiste mai una frattura tra il momento etico e quello religioso: e l’interrogazione assume una sua pienezza proprio quando è impegnata ad una risposta: questo è il momento della fede.
Anche la fede degli sposi – ancorché credenti – non è mai la sovrapposizione della loro fede precedente all’incontro di coppia, ma è la scoperta – assieme, pur nel rispetto dell’incatturabile mistero dell’altro – del piano di Dio su di loro, e del cammino che, insieme, essi sono chiamati a compiere per restare fedeli, nel quotidiano che ci è dato in sorte di vivere, a questo disegno.
In questo senso, la Parola di Gesù è parola di salvezza nei confronti di ogni schiavitù e di ogni idolatria del Tempio e della Legge. E già nel Deuteronomio (4,1ss.) emerge questa prospettiva. La Legge è per la salvezza del popolo. Nessun’altra nazione – dice Mosé in quello che potrebbe essere considerato un discorso di commiato – per quanto forte e potente, ha un Dio così vicino a noi…
Occorre dire alle coppie e alle famiglie che incontriamo che non c’è opposizione tra religione e vita – una religione “del cuore” che non fa distinzione tra “osservanti” e “non osservanti”, ed una vita nella quale scrutare la presenza arcana del Dio-Liberatore – né tra “sacro” e “profano”, tra Legge e cuore, o coscienza. La Parola di Dio non può essere barattata con le “tradizioni degli antichi”, perché ha radici nel cuore, e questo radicamento fa sì che l’integralismo, ogni integralismo di qualsiasi colore, non possa essere considerato una fedeltà.
Scrive Giacomo nella sua lettera: “Tutto ciò che abbiamo di buono e di perfetto viene dall’alto: è un dono di Dio, e Dio non produce tenebre” (1,17). E aggiunge che “questa è la religione che Dio considera pura e genuina: prendersi cura degli orfani e delle vedove che sono nella sofferenza” (1,27). Gli orfani e le vedove sono una categoria linguistica per dire tutti coloro che fanno più fatica, anche e particolarmente nella coppia e nella famiglia, e qui sta la saldatura tra religione ed etica, tra fede e Legge. Spesso le coppie e le famiglie che incontriamo vorrebbero ascoltare da noi una parola di conforto, vedere confermata quella verità che sentono, forse confusamente, nel cuore. E colui che dice la verità che ha nel cuore, dice il salmo 14, abiterà (anzi, già abita) nella casa del Signore.

Per la nostra revisione di vita:

– Come coppia e come famiglia che cosa facciamo concretamente per seguire il nuovo cammino religioso e etico che Gesù ci indica per arrivare a Dio? Sappiamo leggere la presenza di Dio nel nostro rapporto di coppia? Quanto c’è di formalistico nel nostro rapporto di coppia?
– Che rapporto abbiamo con coloro che si definiscono “non praticanti”? Diamo loro “ospitalità”? Ci sentiamo uniti a loro, oppure separati? Il nostro comportamento li avvicina o li allontana?

Luigi Ghia – Direttore della rivista dei CPM “Famiglia Domani”

via Qumran

XXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Mc 7,1-8.14-15.21-23
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

Fonte: LaSacraBibbia.net

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