Commento al Vangelo per domenica 7 Giugno 2020 – p. Raniero Cantalamessa

La Trinità, mistero vicino

“La grazia del Signore Gesù Cristo,
l’amore di Dio
e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”.

Questo è il saluto che san Paolo rivolge ai cristiani di Corinto nella seconda lettura della festa della Santissima Trinità. Si tratta di un saluto trinitario; in esso vengono infatti menzionate le tre divine persone: il Padre (Dio), il Figlio (Gesù Cristo) e lo Spirito Santo.

La vita cristiana si svolge tutta quanta nel segno e in presenza della Trinità. All’alba della vita, fummo battezzati “nel nome del Padre e del Figlio dello Spirito Santo”, e alla fine, se avremo la grazia di morire cristianamente, accanto al nostro capezzale verranno recitate queste parole: “Parti, anima cristiana, da questo mondo: nel nome del Padre che ti ha creata, del Figlio che ti ha redenta e dello Spirito Santo che ti ha santificata”.

Tra questi due momenti estremi, si collocano altri momenti cosiddetti “di passaggio” che, per un cristiano, sono contrassegnati tutti dall’invocazione della Trinità. È nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo che gli sposi vengono congiunti in matrimonio e si scambiano l’anello e i sacerdoti vengono consacrati dal vescovo. Una volta nel nome della Trinità iniziavano i contratti, le sentenze, ogni atto importante della vita civile e religiosa.

La Trinità è il grembo in cui siamo stati concepiti, perché Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere suoi figli a immagine del suo Figlio (cfr. Efesini 1,4), ed è anche il porto verso cui tutti navighiamo; è “l’oceano di pace” da cui tutto sgorga e in cui tutto rifluisce.
Non è vero dunque che la Trinità è un mistero remoto, irrilevante per la vita di ogni giorno. Al contrario, queste sono le tre persone che ci sono più “intime” nella vita: non sono infatti fuori di noi, per quanto care, come la stessa moglie o il marito, ma sono dentro di noi. Esse “dimorano in noi” (Giovanni 14, 23), noi siamo il loro “tempio”.

Perché i cristiani credono nella Trinità? Non è già abbastanza difficile credere che c’è Dio, per aggiungerci anche che egli è “uno e trino”? Ci sono oggigiorno alcuni a cui non dispiacerebbe lasciar da parte la Trinità, anche per poter così dialogare meglio con Ebrei e Musulmani che professano la fede in un Dio rigidamente unico.

La risposta è: i cristiani credono che Dio è trino, perché credono che Dio è amore. È la rivelazione di Dio come amore, fatta da Gesù, che ha costretto ad ammettere la Trinità. Non è una invenzione umana. Se mi seguite con un po’ di attenzione, non dico che vi spiegherò in che consiste la Trinità (essa non si può spiegare razionalmente, proprio perché non è un prodotto della ragione umana), però credo che potrò almeno farvi capire come è “naturale” che il Dio cristiano sia uno e trino. Come non possa non esserlo.

Dio è amore, dice la Bibbia. Ora è chiaro che se è amore, deve amare qualcuno. Non c’è un amore a vuoto, non diretto ad alcuno. Bene, allora ci domandiamo: Chi ama Dio per essere definito amore? Una prima risposta potrebbe essere: ama gli uomini. Ma gli uomini, sappiamo, esistono da alcuni milioni di anni, non più. Prima di allora chi amava Dio, dal momento che è definito amore? Non può infatti aver cominciato ad essere amore a un certo punto del tempo, perché Dio non può cambiare. Seconda risposta: prima di allora amava il cosmo, l’universo. Ma l’universo esiste da alcuni miliardi di anni. E prima, chi amava Dio per potersi definire amore? Non possiamo dire: amava se stesso, perché amare se stessi non è amore, ma egoismo o, come dicono gli psicologi, narcisismo.

Ed ecco la risposta della rivelazione cristiana che la Chiesa ha raccolto ed esplicitata. Dio è amore in se stesso, prima del tempo, perché da sempre ha in se stesso un Figlio, il Verbo, che ama di un amore infinito, cioè nello Spirito Santo. In ogni amore ci sono sempre tre realtà o soggetti: uno che ama, uno che è amato e l’amore che li unisce.

Il Dio cristiano è uno e trino perché è comunione d’amore. Nell’amore si riconciliano tra loro unità e pluralità; l’amore crea l’unità nella diversità: unità di intenti, di pensiero, di volere; diversità di soggetti, di caratteristiche, e, nell’ambito umano, di sesso.

La teologia si è servita del termine natura per indicare in Dio l’unità e del termine persona per indicare la distinzione. Per questo diciamo che il nostro Dio è un Dio unico in tre persone. La dottrina cristiana della Trinità non è un regresso, un compromesso tra monoteismo e politeismo. È al contrario un passo avanti che solo Dio stesso poteva far compiere alla mente umana.

Tra l’altro questo ci aiuta a mettere in luce la contraddizione profonda del moderno ateismo. Secondo C. Marx e in genere tutti gli atei moderni, Dio non sarebbe che una proiezione dell’uomo. Non Dio avrebbe creato l’uomo a sua immagine, ma l’uomo avrebbe creato Dio a sua immagine. In altre parole, dietro il termine Dio non ci sarebbe se non l’idea che l’uomo si fa di se stesso, come uno che scambia per una persona diversa la propria immagine riflessa in un ruscello.

Tutto questo può essere vero nei confronti di ogni Dio, ma non del Dio cristiano. Che bisogno avrebbe avuto l’uomo di scindere se stesso in tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo, se veramente Dio non è che la proiezione che l’uomo fa di se stesso? La dottrina della Trinità è, da sola, il migliore antidoto all’ateismo moderno.

Quello che ho detto vi è parso troppo difficile? Non ci avete capito molto? Direi: non vi preoccupate. Quando ci si trova sulla riva di un lago o di un mare e si vuol sapere cosa c’è sull’altra sponda, la cosa più importante non è aguzzare la vista e cercare di scrutare l’orizzonte, ma è salire sulla barca che porta a quella sponda. Nei confronti della Trinità, la cosa più importante non è speculare sul mistero, ma rimanere nella fede della Chiesa che è la barca che porta alla Trinità.

Scendiamo dunque a qualche considerazione più pratica. La Trinità è il modello di ogni comunità umana, dalla più semplice ed elementare, che è la famiglia, fino alla Chiesa universale. E vediamo proprio cosa una famiglia può imparare dal modello trinitario. Se leggiamo con attenzione il Nuovo Testamento, dove la Trinità si è rivelata, notiamo una specie di regola. Ognuna delle tre persone divine non parla di sé ma parla dell’altra, non attira l’attenzione su di sé, ma sull’altra.

Ogni volta che Dio Padre parla nel Vangelo è sempre per rivelare qualcosa del Figlio: “Questi è il mio figlio diletto. Ascoltatelo”; oppure: “L’ho glorificato e lo glorificherò”. Gesù a sua volta non fa che parlare del Padre. Lo Spirito Santo, quando viene nel cuore di un credente, non comincia con proclamare il suo nome. Il suo nome in ebraico è Ruah. Ma egli non ci insegna a dire: Ruah! Ci insegna invece a dire Abba!, che è il nome del Padre e a dire Maranatha, che è un’invocazione diretta a Cristo e vuol dire “Signore, vieni!”

Provate a pensare cosa produrrebbe questo stile se trasferito nella vita di una famiglia. Il padre che non si preoccupa tanto di affermare la sua autorità, quanto quella della mamma. La mamma che, prima ancora di insegnare al bambino a dire mamma, gli insegna a dire papà. È la legge dell’amore! Maria mostra di averla assimilata alla perfezione. Rivolgendosi a Gesù, dopo il ritrovamento nel tempio, gli dice: “Tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo”. Mette l’angoscia dello sposo prima della sua. “Tuo padre ed io”, non “Io e tuo padre”.

Sembra una cosa da niente e invece quante cose cambierebbero se questo stile fosse imitato nelle nostre famiglie e comunità! Esse diventerebbero davvero un riflesso della Trinità sulla Terra, luoghi dove la legge che regola tutto è l’amore. Piccoli paradisi sulla terra.
Dicevo all’inizio che la Trinità ci accompagna lungo tutto il corso della vita. C’è un piccolo segno che ci ricorda questa presenza e ci aiuta a metterci in contatto con essa ed è il segno della croce. In esso, con il gesto che compiamo, tracciando la croce, ricordiamo la Passione e morte di Cristo, mentre con le parole che pronunciamo: ”Nel nome del Padre, e del figlio e dello Spirito Santo”, proclamiamo la Trinità. Dobbiamo riscoprire la bellezza e l’efficacia di questo piccolo gesto. Ogni volta che facciamo un bel segno di croce, con calma e dignità, non storpiato e a metà, quasi vergognandoci, noi ci affidiamo alla Trinità, invochiamo la sua protezione su di noi contro i nemici interni ed esterni, ravviviamo la nostra fede. Miracoli sono avvenuti con il semplice segno della croce.

È così bello vedere un papà o una mamma che insegna al proprio bambino a farsi il segno della croce. Quel segno li proteggerà anche dove essi non arrivano più a farlo di persona, nei mille pericoli che insidiano la vita dei piccoli nel mondo d’oggi. Terminiamo, perciò, facendo, chi vuole, un bel segno di croce: “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”.

Fonte: il sito di p. Raniero


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