Commento al Vangelo di domenica 17 dicembre 2017 – ElleDiCi

DONO E TESTIMONIANZA

Per chi viene?

La domanda sembra superflua. Noi stessi vi risponderemo fra poco nella recita del Credo: «Per noi uomini e per la nostra salvezza»; dunque Gesù viene per tutti. S. Paolo dichiara che egli è salvatore di tutti, che vuol salvare tutti gli uomini. Tuttavia le parole del profeta hanno pure un significato: «Il Signore… mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri». Parole che Gesù stesso riprenderà e applicherà a sé all’inizio del suo ministero, parole che costituiranno un tema fondamentale della sua predicazione da quando comincerà proclamando beati i poveri, gli afflitti, i miti, i perseguitati.
Se questa presentazione del Salvatore è suggerita dall’ambiente in cui parlava il profeta, un popolo duramente provato dalla schiavitù e dall’oppressione, il suo messaggio ha un valore perenne nel segnare i rapporti di Dio con gli uomini. Vi farà eco il salmo responsoriale do-ve Maria dichiara: «Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi». Si tratta di poveri che si riconoscono tali, piccoli davanti a Dio, fiduciosi nella salvezza che viene da lui. Cristo viene per tutti, ma coloro che si fanno vanto della ricchezza, del potere e del piacere, che contano su di sé anziché su Dio, che guardano gli umili dall’alto in basso, rifiutano il Salvatore povero che viene per i poveri. Rifiutano di accogliere Cristo piccolo e umile anche coloro che presumono di sé ritenendosi giusti, disprezzando gli altri come peccatori. Un noto uomo politico scriveva a un sacerdote: «Preghi per me perché diventi un po’ cristiano». E la sua testimonianza di cristiano l’aveva data lottando per la causa della libertà e della giustizia, soffrendo in carcere e trovandosi ora privo di mezzi di sussistenza.

Perché viene?

A guarire le nostre piaghe, a liberarci, a portarci la misericordia e il perdono. Viene, dice s. Paolo, come Dio della pace per santificarci fino alla perfezione, cioè per comunicarci la grazia e la vita divina, per aiutarci ad essere fedeli alla vocazione cristiana così da tenerci pronti per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Viene per portarci la gioia: «Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio»; quella gioia di cui vibrerà la Vergine Maria: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore»; quella gioia a cui s. Paolo esorta i Tessalonicesi: «State sempre lieti». Una gioia, certo, che non può cancellare la sofferenza nostra, che non può farci dimenticare la sofferenza dei fratelli, poveri o malati, oppressi ed emarginati, soli e dimenticati, ma che tuttavia ci dà forza per affrontare giorno per giorno il nostro impegno.

Che cosa si esige da noi?

I doni di Dio attendono da parte nostra corrispondenza e collaborazione. C’è un compito che riguarda ciascuno di noi, che è l’adempimento della «volontà di Dio in Cristo Gesù» verso di noi: l’ascolto dello Spirito che opera illuminando e infondendo vigore; l’attenzione a fuggire il male in tutte le sue espressioni e invece avanzare giorno per giorno nel cammino del bene. Per questo s. Paolo esorta a «pregare incessantemente», perché solo colui che ci chiama, Dio, potrà realizzare in noi i suoi disegni.

S. Paolo ci invita a riconoscere la presenza dello Spirito nella comunità, a esaminare ogni cosa, per tenere ciò che è buono. Capita troppo spesso d’incontrarci in cristiani che non solo sono sicuri della loro fede – dobbiamo esserlo! -, ma sono convinti d’avere in tasca, loro soli, la soluzione di tutti i problemi, e pretendono d’imporla agli altri, anche quando si tratta di questioni opinabili, di «opzioni temporali», in cui, come osserva il Concilio, è legittimo che si confrontino scelte diverse.

Per il fatto che un cattolico ha fatto la scelta di un orientamento del suo impegno religioso o politico-sociale, in materia, ripeto, opinabile, ha forse il diritto di presentare la sua come l’unica bandiera sotto cui tutti devono marciare e di considerare gli altri come estranei o avversari? La Chiesa è grande, i bisogni sono immensi, i carismi e le attitudini dei singoli sono estremamente diversi, così che c’è posto per tutti senza scontrarsi o guardarsi in cagnesco. L’incontro e il dialogo vanno sempre cercati nella comunione di fede e di amore sincero, e a ogni costo va evitata la diffidenza, il sospetto, la derisione, il monopolio da una parte, l’isolamento dall’altra.

La presenza di Giovanni il Battezzatore ha nella liturgia di oggi un posto di singolare rilievo. Anche da lui possiamo apprendere il modo di prepararci all’incontro con Gesù nel Natale. Giovanni era venuto per dare testimonianza del Messia, luce del mondo. Egli testimonia nell’umiltà e nella verità: nega di essere il Cristo, Elia, il Messia e si presenta come «voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore». Ma quello che a lui importa è far conoscere Gesù che già è in mezzo al suo popolo che non lo conosce. Davanti a lui egli si sente piccolo e indegno. Alla testimonianza della parola si aggiunge quella della vita: esempio di austerità, di rifiuto di tutto ciò che è denaro, ambizione e piacere, di assoluta fedeltà alla sua missione.

Rimane purtroppo vera anche oggi la parola di Giovanni: « In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete». Tocca a noi farlo conoscere, secondo la nostra vocazione e le nostre possibilità, con la parola, ma soprattutto con la vita. Tutti ricordiamo quello che il patriarca Atenagora disse di papa Giovanni: «Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni».

La prima testimonianza data a Gesù è quella che abbiamo sentito ora dalle labbra di Maria: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore». Solo la luce dello Spirito Santo poteva far comprendere allora a Elisabetta il significato di queste parole, con cui la cugina «profetizza per la Chiesa», come dice s. Ireneo, proclamando la venuta del Salvatore ch’essa portava al mondo. La preghiera di lode e di ringraziamento è una testimonianza. La contemplativa che canta, con la voce e nel silenzio, le lodi di Dio è testimone a nome di tutti del primato di Cristo, della sua grazia e del suo amore.

È la testimonianza, che verrà ripresa nel modo più esplicito da Giovanni, al momento in cui Gesù Cristo darà pubblicamente inizio alla sua missione. E c’è la testimonianza della sequela di Cristo, camminando sulle sue orme, nella povertà e nell’umiltà, che la Chiesa è tenuta a dare al suo Capo attraverso i secoli. Ce l’ha ricordato il Concilio: «Come Cristo ha compiuto la sua opera di redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza» (Lumen Gentium, 8); «Lo spirito di povertà e d’amore è la gloria e la testimonianza della Chiesa» (Gaudium et Spes, 88).

Ma si tenga presente che poco servirebbe deplorare le ricchezze vere o presunte della Chiesa se non si ricordasse che, mentre chi esercita l’autorità deve precedere con l’esempio, il dovere della povertà e dell’umiltà non tocca soltanto la Chiesa nel suo insieme e le alte gerarchie, ma ognuno che vuole chiamarsi cristiano. Non vi sembra che vi sia materia di meditazione e di esame di coscienza? Anche tra coloro che vengono abitualmente in chiesa ritenete che tutti abbiano la coscienza a posto se si interrogano sul come hanno realizzato certi guadagni, certi «colpi di fortuna», come trattano gli affari, come si comportano nei rapporti di lavoro, come gestiscono il denaro pubblico che sono chiamati ad amministrare, come sanno manovrare nell’interesse personale o del partito o del gruppo certi responsabili della cosa pubblica o di aziende di vario tipo facili al compromesso?

Come rispondere al disegno divino, come dare una testimonianza autentica della fede che ora stiamo per professare nel Credo? S. Paolo c’incoraggia: «Colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo». Confidiamo dunque in lui! Nella preghiera sulle offerte supplichiamo perché «l’offerta di questo sacrificio, che attua il santo mistero da te istituito, con la sua divina potenza renda efficace in noi l’opera della salvezza».

 Fonte

Tratto da “Omelie per un anno 1 e 2 – Anno A” – a cura di M. Gobbin – LDC

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III Domenica di Avvento – Anno B

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Gv 1, 6-8. 19-28
Dal Vangelo secondo Giovanni

6Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.

19Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». 20Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». 21Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. 22Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». 23Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia». 24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». 26Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 17 – 23 Dicembre 2017
  • Tempo di Avvento III
  • Colore Viola
  • Lezionario: Ciclo B
  • Salterio: sett. 3

Fonte: LaSacraBibbia.net

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