Commento al Vangelo di domenica 7 Aprile 2019 – Paolo Curtaz

Il commento al Vangelo di domenica 7 Aprile 2019 – Anno C, a cura di Paolo Curtaz. Qui di seguito il testo ed il video.

Postala nel mezzo

Dobbiamo farne di cambiamenti.

Conversioni che richiedono una vita. Passare da dio a Dio, purificare l’idea spesso approssimativa, limitata e limitante che abbiamo di Dio. Anche noi cattolici. Anche noi discepoli di lungo corso.

E osare.

Osare amare. Nella misura di Dio che come un padre “deve” far festa quando un figlio torna, quando un figlio non si perde. Imitare la misura senza misura di questo immenso e folle Dio.

Siamo liberi, dicevamo. Anche di perderci.

Ma, questa è la buona notizia, Dio non si stanca. Insiste, se vogliamo.

Come il navigatore che, quando ci perdiamo, ricalcola il percorso.

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Luci rosse

È una pagina talmente forte che i primi cristiani, come annota sant’Agostino, l’avevano cancellata dalla memoria e dai testi. È la pagina insostenibile dell’adultera colta il flagrante adulterio. E perdonata senza condizioni.

Non ha nome, né mai lo avrà, che importa? È solo una peccatrice, non ha una storia, non sappiamo nulla di lei, non capiamo la ragione di ciò che è accaduto. È solo un’adultera, un peccatrice, una prostituta.

È fidanzata? Sposata? Felice? Con chi è stata colta in flagrante adulterio?

In realtà della donna non interessa niente a nessuno.

Perché è una donna e perché è una poco di buono, il resto sono smancerie.

Colta in flagrante adulterio, diranno i delatori pronti ad uccidere nel nome di Dio.

Qui la cosa si complica. La Scrittura afferma che una persona può essere accusata alla presenza di due testimoni. Dove sono? Chi sono? Tutto passa in secondo piano, anche il fatto che manca il complice del peccato.

Forse è scappato o, forse, in quanto uomo, gli è riservato un altro trattamento…

Le emozioni travolgono la misura, la legge, brandita come un’arma, è maltrattata. Nessuna equità, nessun equilibrio in questa squallida storia: prevale la rabbia che annebbia le menti.

Nel mezzo

Postala in mezzo, gli dicono.

È nel mezzo, la donna. Il luogo del giudizio, davanti a giudici.

Ed ecco la richiesta, stralunata, insulsa, enigmatica.

Gesù è chiamato ad esprimere un suo parere in quanto rabbì.

Ma i conti non tornano: è presentata come un’adultera, quindi è già stata giudicata! Allora a che serve il giudizio di Gesù? Oppure ancora non ha subìto un processo, allora a che titolo viene coinvolto il Nazareno che non fa parte del sinedrio?

L’evangelista precisa che è un tranello: se Gesù dice di non lapidarla contravviene alla legge di Mosè. Se dice di lapidarla contravviene alla norma romana, entrando a far parte della nutrita schiera degli anti-romani. E, quel che è peggio, smentisce la sua visione di un Padre benevolo.

Un applauso alla perfidia dei presenti.

Della giustizia a loro non importa molto, ancor meno importa della donna e delle conseguenze delle loro decisioni. Qui si tratta di fermare un tale che si è improvvisato profeta e che raduna attorno a sé numerose persone.

Peccatori, perlopiù, come questa donna.

Frequenta brutta gente, Gesù, è amico dei pubblicani e delle prostitute (Mt 11,19).

Geroglifici

Gesù, però, chinatosi, tracciava dei segni per terra con il dito.

Tace. Sa bene che è una trappola.

Si china e in quella posizione resterà. Si siede a riflettere. Inizia a scrivere.

La folla che si è radunata non ha ragionato, ha lasciato parlare la pancia, ha dato libero sfogo alla rabbia. Gesù no, pone una distanza, si raccoglie, pensa e scrive. Cosa?

Si pensa che l’usanza di scarabocchiare in terra, ampiamente documentata presso i popoli semiti, fosse un modo per raccogliere i propri pensieri o per trattenere l’irritazione.

Suggestiva anche la riflessione spirituale di chi vuole vedervi un riferimento al dono della Torah: Gesù non scrive nella polvere, come ci immaginiamo, ma traccia segni sulla pietra, sul selciato del tempio, così come Dio aveva tracciato i comandamenti con il suo dito sulle tavole di pietra (Dt 9,10). Dio aveva dato quelle parole per la vita, gli accusatori le usano per donare la morte.

Tant’è: cosa stia facendo Gesù resta un mistero.

Ma la sua risposta è un pugno nello stomaco dei presenti.

La prima pietra

Resta seduto e alza lo sguardo (così nel testo greco). La sua frase è diventata proverbiale.

Certo, questa donna ha peccato, ovvio.

Ha sbagliato, ha commesso un errore. Ma chi fra noi non ha mai sbagliato? Chi può dire di non avere mai peccato? Chi può, con onestà, ergersi a giudice contro di lei?

Gesù spiazza tutti, non nega la validità del precetto, non dice che va bene ciò che ha fatto, né entra nella delicata questione sulla giurisdizione. Va oltre. Va prima. Riporta tutti all’origine della norma che è fatta per l’uomo, non per opprimerlo.

È vero: questo donna ha sbagliato, come tutti.

Ma la donna non si identifica con il suo sbaglio, con il suo peccato.

Ha una storia, un nome, una dignità, anche la dignità di sbagliare e di redimersi, di cambiare, di migliorare.

Gesù distingue fra peccato e peccatore, cosa che gli accusatori non sanno fare.

E mette nel giudizio una variabile inattesa: la misericordia, quell’atteggiamento tipico di Dio che vede la nostra miseria col cuore. Ha sbagliato, certo, e tutti sbagliamo.

E ne prendiamo coscienza non per giustificarci o minimizzare, ma per cambiare e crescere.

Questa donna ha sbagliato, certo. Ma non è inchiodandola ai suoi limiti che cambierà.

Cambierà solo se vedrà una via d’uscita, una soluzione, solo se capirà cosa davvero le può riempire il cuore.

Lui, nel suo cuore, l’ha già perdonata.

Come perdona me.

Come mi insegna a fare.

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