Commento al Vangelo di domenica 4 Aprile 2021 – p. Alessandro Cortesi op

p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

“…non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? Purificatevi buttando via il lievito vecchio per essere pasta nuova, voi che siete pani azzimi. Cristo, nostra Pasqua è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito della cattiveria e della malvagità ma con i pani azzimi della sincerità e della verità”

Paolo invita i corinzi a non fuggire dal mondo coltivando estraneità alla storia e alla realtà, altrimenti ‘dovreste isolarvi dal mondo’ (1Cor 5,10). Egli invita piuttosto a vivere dentro le situazioni conflittuali e complesse testimoniando la vita nuova che è dono della Pasqua.

Per affermare questo Paolo utilizza elementi tratti dai riti della Pasqua presenti nella tradizione ebraica. I pani non lievitati, o pani azzimi, costituivano il cibo della settimana che iniziava con il giorno di Pasqua. L’eliminazione di ogni traccia di pane lievitato dalle case nei giorni prima di Pasqua – operazione in cui anche i bambini venivano coinvolti svolgendo così una pedagogia per via di esperienza – stava a significare la novità e la liberazione: il lievito che marcisce e si corrompe è simbolo del peccato da cui guardarsi per non farsi ancora rendere schiavi. Anche Gesù aveva utilizzato questo simbolo, nel suo discorso sul lago: ‘fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode’ (Mc 8,15).

Il pane pasquale doveva essere senza lievito, azzimo, come il pane da mangiarsi nella Pasqua di Israele stabilizzato nella terra di Canaan e dedito all’agricoltura (cfr. Es 13,7). La festa di Pasqua in Isreale ad un certo pounto passa dall’essere una festa familiare in ricordo del momento dell’esodo a divenire festa nazionale con il suo centro a Gerusalemme, festa di primavera in cui i pani azzimi si affiancano all’agnello, tipico della festa dei pastori nomadi nel deserto (attestata in Es 12,21-23.29-39).

Facendo riferimento ai pani azzimi Paolo indica la nuova condizione dei cristiani con l’utilizzo di un verbo all’indicativo: ‘siete pani azzimi’. Sta qui la nuova condizione della comunità nata dalla Pasqua di Gesù. E subito richiama agli orizzonti di responsabilità che si aprono nel presente: ‘diventate pasta nuova’ (1Cor 5,7). Dall’indicativo di una vita nuova sorge l’imperativo della testimonianza. Sta qui il cuore dell’annuncio della libertà del credente, che si situa come dono di liberazione e sorgente di responsabilità.

Paolo ricorda la fonte di questa novità: ‘Cristo, nostra Pasqua è stato immolato’. Il riferimento è ora all’agnello, elemento centrale della festa di pasqua nella tradizione più antica nomadica che doveva essere immolato e consumato nelle famiglie: Paolo scorge in Gesù il nuovo agnello che nella Pasqua è passato nella morte ed è risorto. Da lui trae origine la novità della vita: da lui è generata la vita di coloro che lo accolgono. Sono chiamati a stare dentro il mondo testimoniando uno stile di vita nuovo, lottando contro l’ingiustizia e ogni disprezzo dell’altro. La nostra Pasqua è Cristo, vivente, che ci ha donato una vita nuova e ci fa partecipi della sua risurrezione.

Alessandro Cortesi op

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