Commento al Vangelo di domenica 30 Gennaio 2022 – Comunità Kairos

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Nel vangelo di Luca, la vita pubblica di Gesù comincia nella sinagoga di Nazareth, luogo in cui è vissuto per la gran parte della sua vita e dove è conosciuto. L’episodio della sinagoga di Nazareth, inaugurando ufficialmente la sua missione, ne traccia anche a grandi linee il percorso. In sintesi, contiene le linee programmatiche di tutto il vangelo. Quasi un «un vangelo nel vangelo», ne enuncia in breve i temi principali: l’annuncio ai poveri, la liberazione degli oppressi, la salvezza per tutti, “l’anno giubilare del Signore”. Anche il rifiuto da parte dei suoi concittadini della Parola annunciata ne prefigura tutta la vicenda umana fino alla sua morte e resurrezione.

Entrato di sabato nella sinagoga, Gesù si alza a leggere la Scrittura, com’era nel suo diritto di maschio ebreo adulto, e ne fa l’omelia. È un gesto normale per un ebreo adulto aprire la Scrittura e interpretarla, ma nella figura di Gesù e nella parola che annuncia, diventa un evento, l’evento per eccellenza: “Oggi si è adempiuta questa scrittura nei vostri orecchi.”

Fin da subito, Gesù si presenta come l’inviato, il profeta scelto da Dio per portare la liberazione ai poveri. Liberazione che non è solo un annuncio rivolto al futuro, ma all’oggi di tutti quelli che ascoltano, in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo. Le promesse annunciate dai profeti trovano compimento nell’impegno concreto di un Dio che si è fatto uomo per essere fedele ai poveri, agli oppressi, ai lontani e agli esclusi, anche a costo del rifiuto e della contraddizione dei vicini.

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In Gesù la Parola letta e ascoltata trova il suo compimento. Lui stesso è l’evento che attualizza la storia di attese e di promesse dell’Antico Testamento, l’ascoltatore perfetto che compie la volontà del Padre e in cui Dio si rende presente. È la Parola fatta carne. E questo avviene “oggi”. L’oggi della salvezza si rende storicamente presente nella Parola. E la parola, mezzo debole e strumento di comunione libero, diventa potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede.

La Parola incarnata non può lasciare indifferente chi ascolta. È una parola che interpella, scomoda gli uditori e chiede di prendere posizione. Di fronte all’uomo Gesù i suoi concittadini si chiedono: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”. Le parole di Gesù invitano ad andare oltre, a riconoscere nell’umano la presenza dello Spirito di Dio e la presenza di Dio stesso. Non è facile. La conoscenza nella carne, che hanno di Gesù, impedisce loro di aprirsi alla luce della fede.

Nel momento in cui la Parola rivela il senso profondo dell’annuncio, essa s’incontra e si scontra con le resistenze di ciascuno. Le reazioni opposte che suscita negli ascoltatori indicano che non si può rimanere come prima. La parola penetra nel cuore di ciascuno e ne raggiunge le aspettative, le attese, i desideri, le paure. Finché rimane a un livello superficiale, l’entusiasmo è quasi normale; ma appena raggiunge e rivela ciò che abita nel cuore, diventa una parola scomoda, addirittura intollerabile.

La Parola che si fa salvezza per tutti gli uomini, che raggiunge anche gli stranieri, e l’amore di Dio che usa misericordia e risana chiunque lo voglia, anche se lontano o peccatore, è un annuncio inaccettabile per gli abitanti di Nazareth. Si aspettavano miracoli e guarigioni per la loro città, per loro stessi e Gesù parla loro di un Dio che è per tutti, di un Padre le cui attenzioni sono rivolte a ogni uomo.

Nel suo discorso, Gesù svela i pensieri dell’uditorio che ha davanti, svela le loro pretese nei confronti della Parola, il loro desiderio di possedere la parola di Dio. Sono sì interessati a Dio, ma per se stessi, per i vantaggi che potrebbero venir loro. Pretendono di avere l’esclusiva sul dono che Dio invece ha destinato per il mondo intero: suo Figlio Gesù. La loro fede è circoscritta a uno spazio ristretto, alla loro comunità, al loro popolo. Una fede comoda che si accontenta del suo spazio privato. Una fede che vuole avere l’ultima parola su Dio. Sono il popolo eletto e pretendono di essere i depositari della salvezza. Questo li chiude all’accoglienza e li rende meno disponibili a lasciarsi sorprendere e trasformare dall’annuncio di salvezza. La durezza di cuore, originata dalla pretesa religiosa, impedisce loro di ricevere il dono di Dio. Dono che mai può essere preteso ma solo accolto.

Gesù non può scendere a compromessi. Nessun miracolo, nessuna guarigione potranno essere fatti a Nazareth. “Nessun profeta è accetto in patria.”

E questo s’inserisce nel solco della tradizione dei profeti che sono stati accolti e ascoltati più dagli stranieri che non dal loro popolo, come Elia, ascoltato e accolto dalla vedova di Sidone, ed Eliseo, che guarì Naaman il Siro. Il rifiuto di Gesù è lo stesso riservato a questi profeti che hanno potuto operare solo là dove non c’era pretesa dell’intervento di Dio ma mani pronte ad accogliere il dono.

Gesù viene cacciato fuori dalla città e condotto su un precipizio. La scena finale non è che un’anticipazione e prefigurazione del cammino storico di Gesù: il rifiuto da parte di Israele, la condanna a morte, ma anche la resurrezione (“passando in mezzo a loro se ne andò”).

Reso estraneo alla sua gente, Gesù, servo della Parola, si rivela come il Figlio di Dio. È lui che nella sua morte e nella resurrezione renderà definitivo l’oggi della salvezza e la estenderà a tutti gli uomini, “di ogni lingua, popolo, nazione” rivelando definitivamente il vero volto di Dio.

Commento a cura di Giustina Comunità Kairos


Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay