Commento al Vangelo di domenica 3 Maggio 2020– mons. Giuseppe Mani

Il Vangelo ci riporta che Gesù vedendo la folla vicino a Lui, dopo averla sfamata con la moltiplicazione dei pani, fu preso da compassione perché erano “come pecore senza pastore”. Questa folla errante senza pastore è l’immagine del mondo che non conosce o non riconosce Gesù Cristo.

Una folla è un’ammasso di essere umani, ma questa massa di individui vale meno di uno di loro messo a parte. Spesso la folla è un insieme di uomini che non sanno neppure quel che vogliono ma riuniti si eccitano l’uno con l’altro senza rendersi conto di essere diventati il gioco della passione di qualcuno. Non sanno neppure perché sono là ma sicuramente per fare qualcosa, seguiranno ciecamente chi li ha riuniti, chiunque esso sia, anche se si gioca di loro. Come è pronta all’entusiasmo non lo è meno alla paura ed è disposta a passare dall’Osanna al Crucifige. Ciascuno di quelli che la compongono ha il sentimento di essere irresponsabile di ciò che fa. Anche se tutti partecipano a degli atti che hanno orrore e vergogna a compiere in altre occasioni, si sentono irresistibilmente portati a compiere, come folla, senza rendersene conto, senza pensarci.

Nella folla si produce un livellamento dal basso, tutti pensano, sentono e si agitano come i peggiori. Le cose sono più complesse: ciascuno sente risalire in se stesso ciò che ha di più oscuro, ciò di cui ignorava la presenza in se stesso: le passioni più elementari che uno ha rimosso ma che riemergono in un momento in cui ciascuno perde la propria dignità e responsabilità nella massa. Questa è la folla, l’opposto di una società ben organizzata in cui ciascuno serve gli altri ed è servito da loro, in cui ciascuno approfitta dei doni di ciascuno e dona ciò che di meglio ha, al contrario nella folla si dona il peggio perché è il peggio che domina. Il mondo senza Cristo non è che una folla perché senza di Lui non c’è niente che lo unisce al suo vertice. Senza Cristo, ciò che unisce, o meglio che agglomera gli uomini è ciò che nell’umanità c’è di meno umano. San Paolo parlando di uomini lontano dal vangelo li qualifica come un gruppo agitato e condotto da tutti i venti di dottrina. E’ ciò che vediamo nel mondo, non tanto delle dottrine false ed errori dell’intelligenza che guidano gli uomini, ma le passioni più elementari.

Una folla che calpesta, che si spinge che grida che si irrita poi si lascia e di nuovo si abbraccia senza mai ottenere niente perché non sa neppure cosa domandare è l’immagine del mondo, di questo mondo che ci conduce e ci inghiottisce come un minotauro divorante prima ancora che abbiamo messo piede fuori di casa perchè col giornale e la TV viene ad aggredirci fin nella nostra intimità familiare. In questa folla l’uomo stesso si dissolve poco a poco. Una volta che gli uomini sono diventati folla non sono più uomini, non sono che delle bestie inquiete capaci soltanto di soffrire o di gioire ma brutalmente e tristemente.

Gli uomini son fatti per vivere gli uni con gli altri, gli uni per gli altri. Perché il loro vivere insieme sia fecondo devono avere uno scopo comune, una direzione verso cui tutte le forze si uniscano, bisogna che una forza comune unisca tutte le loro deboli forze come una calamita che unisce tutta la polvere di ferro e in questo insieme bisogna che l’anima di ciascuno non si perda ma trovi il suo posto servendo gli altri e realizzandosi. Il Vangelo ci insegna che se gli uomini si sono lasciati condurre da dei pastori che non son pastori, c’è un buon Pastore che mostrerà la strada, che darà le forze di seguirla e che non affogherà in questo fiume umano ma prenderà ciascuno per mano per unirlo a tutti e non lasciarlo mai perdere nella moltitudine. Questo Pastore è Gesù Cristo.

Nella più alta antichità cristiana l’immagine che si dava di Gesù era quella del Pastore. E un libro, quasi coevo ai vangeli “Il Pastore “ci descrive Gesù pieno di misericordia e di compassione che conosce le sue pecorelle, le deboli e le forti e che porta sulle spalle la pecora perduta.
“Eravamo come pecore e ciascuno seguiva la propria strada” dice Isaia (53,6) e Cristo si è donato come
“guida” e la giuda che ci mostra è Lui stesso, nella sua propria persona, e non è una indicazione astratta ma l’Apostolo Pietro la precisa “Il Cristo ha sofferto per voi lasciandovi un esempio perché ne seguiate le orme”. La via di Cristo, quella di cui Lui è testimone è una via di rinuncia perché è via di santità e la santità è purificazione del cuore che caccia l’egoismo e la concupiscenza per installarci l’amore. Questa è l’unica via che conduce alla vita. Lui stesso lo ha detto “Chiunque vorrà salvare la propria vita la perderà, ma colui che perderà la sua vita, a causa mia e del vangelo la troverà.”(Mc 8,35)
Gesù non ci abbandona da farci finire nel precipizio perché ci ama infintamente più di quanto noi amiamo noi stessi.

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