Commento al Vangelo di domenica 29 Settembre 2019 – Padre Giulio Michelini

Ancora una parabola nel lezionario di oggi, e ancora una volta esclusivamente lucana. Il racconto di Lazzaro e del ricco fa seguito alle parabole sulla misericordia e a quella sull’amministratore scaltro. Come ricordiamo, a quest’ultima Gesù accompagnava un ammonimento circa la ricchezza: «Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza [mammona, in greco]» (Lc 16,13). Ecco forse perché il Terzo vangelo registra ora questo triste ed efficace racconto, che quasi ci porta in uno dei gironi infernali danteschi, e al cui contenuto possiamo solo accennare.

Non solo per i farisei. Ma iniziamo correggendo una svista del lezionario. Questo inizia con le parole «In quel tempo, Gesù disse ai farisei», e poi segue la parabola. L’introduzione è inesatta perché non è scritto da nessuna parte – come invece sembra – che Gesù stia raccontando la parabola ai farisei, e che questa sia raccontata per loro. È vero che pochi versetti prima l’evangelista Luca annota «I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui» (Lc 16,14), ma proprio alla fine della parabola di oggi Luca scrive: «Disse ancora [poi] ai suoi discepoli…». Insomma, non è detto a chi Gesù stia parlando. Sta di fatto che non possiamo sentirci chiamati fuori. Questa parabola è per tutti coloro che ascoltavano Gesù, e quindi anche per noi. Anzi: il contesto più ampio in cui Luca l’ha inserita non riguarda affatto le diatribe con i farisei: piuttosto, «la parabola del ricco epulone si presenta come l’antitesi della parabola dell’amministratore astuto (Lc 16,1-9). Se il comportamento di quest’ultimo è stato reinterpretato come esempio di uno che rimette i debiti ai debitori poveri, e quindi come modello di buon uso del denaro, il ricco della nostra parabola presenta il caso negativo: cosa succede al ricco che non amministra bene la sua ricchezza?» (G. Rossé).

Senza nome. Abbiamo notato tutti come sia difficile “dare un titolo” alla parabola: per nominare i due protagonisti bisogna usare una circonlocuzione; uno è Lazzaro, ma l’altro è solo un uomo ricco. Come apprendiamo dalla seconda colletta della Messa di oggi, egli non ha un nome, viene definito dal suo essere facoltoso, o meglio, nemmeno da quello che è, ma da quello che ha: denaro, appunto, vestiti di porpora e bisso. Non solo: per tutta la parabola il cibo svolge un ruolo importante, e il ricco è uno che ne mangia molto: «ogni giorno si dava a lauti banchetti» (Lc 16,19).

Il paradosso del giudizio. Il contrario per Lazzaro. Questi non ha nulla (è costretto a mendicare), non riesce a mangiare nemmeno le briciole, è addirittura malato («coperto di piaghe») e perfino i cani gli danno fastidio. Ma ha un nome, Lazzaro, una forma grecizzata dell’ebraico Eleazaro (noto alla Bibbia in Es 6,23), nome che significa “Dio ha dato il suo aiuto”. E tale nome gli sta proprio bene, perché egli non ha avuto aiuto da nessun uomo, ma nell’altra vita sarà consolato da Dio stesso.

Al momento della morte del ricco, nel giudizio di Dio tutto è rovesciato: molto di quello che ai nostri occhi ha valore, perde qualsiasi significato davanti alla immensa sapienza del creatore, che conosce i cuori e sa cosa conta veramente. Al contrario, ciò che per noi spesso è povero, privo di alcun significato, davanti a Dio è immensamente prezioso. E così, come Luca ci aveva già detto nel Magnificat, Dio è capace di rovesciare le situazioni in favore degli umili.

Il buon uso della ricchezza. Potremmo arrivare a facili conclusioni a partire da questa parabola, e allora giova chiarire che il problema non è avere dei beni, quasi che essere ricchi in se possa comportare una maledizione o un giudizio di condanna: il problema è quale uso dei beni si fa. «Il magistero recente della Chiesa conferma la legittimità della proprietà privata, considerandola come un prolungamento della libertà umana, indispensabile all’autonomia della persona e della famiglia. Contemporaneamente ribadisce però l’universale destinazione dei beni. Ciò significa che la proprietà ha un’intrinseca funzione sociale e deve essere gestita in modo da tornare a vantaggio di tutti. Il superfluo economico deve essere messo a disposizione del prossimo, con la donazione o con altro impiego socialmente utile. Quanto ai beni produttivi, è lecito possederli solo se vengono usati come strumenti a servizio del lavoro» (Catechismo degli Adulti Cei, 1125).

Mosè e i profeti. Il racconto cambia totalmente registro quando, dal v. 27, entra in scena la famiglia del ricco. Arriva qui un grave ammonimento: ogni ricchezza è pericolosa se chiude all’ascolto degli altri (Lazzaro) e all’ascolto di Dio (la sua Parola, cioè Mosè e i profeti: l’Antico Testamento). Questa parola vale più di qualsiasi segno o miracolo: che possono impressionare, colpire, ma non convertire. «La conversione implica l’apertura del cuore a Dio, l’attenzione a scoprire la Sua presenza nella Sua parola: il bisogno di segni straordinari è superfluo. Per Luca, quest’ultima parte della parabola costituisce anche una risposta alla domanda su come evitare il destino del ricco: convertirsi! Aprirsi a Dio che parla nella Scrittura e obbedire al suo insegnamento» (G. Rossé).

Fonte

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Letture della
XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Prima Lettura

Ora cesserà l’orgia dei dissoluti.

Dal libro del profeta Amos
Am 6,1a.4-7

 
Guai agli spensierati di Sion
e a quelli che si considerano sicuri
sulla montagna di Samaria!
Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani
mangiano gli agnelli del gregge
e i vitelli cresciuti nella stalla.
Canterellano al suono dell’arpa,
come Davide improvvisano su strumenti musicali;
bevono il vino in larghe coppe
e si ungono con gli unguenti più raffinati,
ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.
Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati
e cesserà l’orgia dei dissoluti.

Parola di Dio

Salmo Responsoriale

Dal Sal 145 (146)

R. Loda il Signore, anima mia.

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri. R.
 
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri. R.
 
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. R.

Seconda Lettura

Conserva il comandamento fino alla manifestazione del Signore.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
1 Tm 6,11-16

 
Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.
 
Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo,
che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio,
il beato e unico Sovrano,
il Re dei re e Signore dei signori,
il solo che possiede l’immortalità
e abita una luce inaccessibile:
nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.
A lui onore e potenza per sempre. Amen.

Parola di Dio

Vangelo

Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 16,19-31

 
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
 
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
 
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
 
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
 
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Parola del Signore

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