Commento al Vangelo di domenica 27 maggio 2018 – Comunità Monastica Ss. Trinità

La festa della Santissima Trinità si pone quasi come prolungamento ideale della festa di Pentecoste, festa eminentemente trinitaria in cui il Padre, il Figlio e lo Spirito sono all’opera insieme per formare e far nascere la Chiesa. L’antifona d’ingresso della celebrazione odierna ci aiuta a entrare un po’ nello spirito e nel ‘clima’ di questa festa. Essa così recita: «Sia benedetto Dio Padre, e l’unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito Santo: perché grande è il suo amore per noi». Qui le tre Persone della Trinità sono poste sullo stesso piano, unite nella loro opera, che è appunto quella di comunicare e riversare su di noi la sovrabbondanza dell’amore divino. È importante quel «per noi», perché ci fa capire che tutto l’operare di Dio, tutto il suo agire nella storia della salvezza non ha altro scopo che quello di rivelarci il suo amore, di donarci la sua comunione e farci partecipi della sua vita. Inoltre ci dice che noi possiamo conoscere Dio solo guardando a ciò che ha fatto per noi. Del resto, guardando a tutta la tradizione biblica, possiamo costatare che non c’è altra via attraverso la quale Dio si rivela se non il suo agire. La prima lettura, tratta dal libro del Deuteronomio, lo dice espressamente: il Dio dei cieli e della terra è il Dio che è «andato a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie… come fece per voi… sotto i vostri occhi» (Dt 4,34); è il Dio che si è fatto vicino a un popolo, gli ha fatto udire la sua voce, gli ha donato le sue leggi, ha camminato al suo fianco. È guardando a tutte queste cose che Israele impara a conoscere il suo Dio:

«Sappi dunque…» (v. 39).

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Il testo evangelico riporta gli ultimi cinque versetti del vangelo di Matteo. Generalmente la conclusione di un’opera narrativa è sempre composta con particolare cura dall’autore e, spesso, è proprio alla fine che ci è data la chiave necessaria per comprendere tutta la narrazione. Questo vale anche per il racconto matteano il cui epilogo potrebbe costituire un valido ‘punto prospettico’ per rileggere l’intero vangelo.

Il nostro brano inizia con la menzione degli «undici discepoli» (v. 16) che partono alla volta della Galilea per incontrare di nuovo il loro Maestro e Signore. Dopo la defezione di Giuda, il gruppo dei Dodici è rimasto mutilo, incompleto; è un gruppo che porta visivamente il segno di un tradimento, di una infedeltà (sono infatti «undici», non più dodici!). Non per questo però viene privato della gioia di incontrare il Risorto; anzi, è il Risorto stesso che si fa loro incontro e li riaccoglie come «fratelli» (28,10) nonostante il loro abbandono e la loro fuga, non meno grave del tradimento di Giuda.

«Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono» (v. 17). È qualcosa di stupendo questo versetto, che mette insieme l’adorazione credente e il dubbio. Si vede bene qui uno dei tratti originali dell’evangelista Matteo che è capace di raccontare insieme la fede e il dubbio. Può sorprendere questo accenno al dubbio posto subito dopo l’atto di riconoscimento adorante (la

«prostrazione» è l’atteggiamento tipico di chi riconosce di avere davanti a sé il Signore), ma, a ben guardare, è una cosa molto bella il constatare che anche la fede pasquale non è esente da quel dubbio che accompagna ogni autentico cammino di fede. Fede e incredulità abitano sempre insieme nel nostro cuore. E Matteo, per il semplice fatto di aver saputo raccontare il dubbio dei discepoli (anche in un’occasione come questa), ci aiuta a non aver più così paura del nostro dubitare…

L’«avvicinarsi» di Gesù (v. 18) manifesta la volontà di superare ogni distanza che lo separa dai suoi discepoli. Normalmente sono sempre i discepoli o altre persone che «si avvicinano» a Gesù, ma qui, proprio nel momento in cui appare in tutta la sua maestà e la sua gloria di Risorto, stranamente è lui che si fa vicino, che si fa prossimo, che si rende accessibile, che si fa dolcemente incontro a coloro che il timore e lo spavento potrebbero allontanare.

Gesù inizia il suo breve e ultimo discorso (vv. 18-20) rivendicando un «potere» illimitato e universale conferitogli da Dio stesso, un potere che si estende per tutto lo spazio dell’asse verticale («cielo e terra»). Gesù è il Signore del cielo e della terra (cfr. Mt 11,25), ma questa signoria non può essere pensata in modo molto diverso da come il Figlio dell’uomo l’ha sempre esercitata durante il suo ministero terreno (cfr. Mt 20,28!). La conclusione del discorso (v. 20b) riporta anch’essa una parola eminentemente cristologica. Se la prima affermazione abbracciava tutto lo spazio verticale, quest’ultima abbraccia tutto l’asse orizzontale del tempo («tutti i giorni, fino alla fine del mondo»). Sono dunque due affermazioni che si completano a vicenda rivelando, insieme, l’aspetto maestoso e ‘terribile’ del Signore Risorto nel pieno esercizio della sua sovranità e la sua dolce prossimità, il suo essere con i suoi mediante la sua discreta e silenziosa presenza («Io sono con voi…»).

Al centro del discorso, e come incastonato tra le due solenni affermazioni di Gesù appena sottolineate, troviamo il comando dato agli Undici in ordine alla loro missione: «Andate e fate discepoli tutti i popoli…» (vv. 19-20a). Lo spazio che si apre per la missione della Chiesa nel mondo è così come racchiuso e custodito dalla presenza di Gesù. È, in ultima analisi, la sua autorità potente e la sua rassicurante vicinanza che rendono possibile ed efficace il compito missionario della Chiesa. Il modo concreto di «fare discepoli» si realizza mediante il battesimo  e l’insegnamento della parola di Gesù (un insegnamento però che mira sempre alla pratica, all’«osservanza» dei comandamenti). Il battesimo impartito «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» ‘immerge’ chi lo riceve nel mistero della vita trinitaria, in quella comunione d’amore che è la sola sorgente vivificante della nostra esistenza e del nostro cammino di discepolato. Con il battesimo il «Nome» della Trinità Santa è sceso su di noi, avvolgendo completamente la nostra vita. Ormai non apparteniamo più a noi stessi, ma siamo – se così si può dire – proprietà di quel Nome, in esso ci muoviamo ed esistiamo, e da esso siamo perennemente custoditi. È in questo Nome che risiede il segreto più profondo della nostra esistenza, un’esistenza ricevuta per grazia e chiamata a essere immagine di quel mistero di comunione che costituisce l’identità stessa del Dio in cui crediamo.

Fonte: Monastero Dumenza

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
IX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Domenica della Santissima Trinità – ANNO B

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Battezzate tutti i popoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 28,16-20

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.
Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Parola del Signore

Fonte: LaSacraBibbia.net

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