Commento al Vangelo di domenica 24 Novembre 2019 – Paolo Curtaz

Il commento al Vangelo di domenica 24 Novembre 2019 – Anno C, a cura di Paolo Curtaz. Qui di seguito il testo ed il video.

Re e discepoli

Chi comanda nella mai vita?  Chi tiene il timone della nave e la conduce nel mare aperto degli eventi?

Chi guida l’autobus della mia vita?

Non abbiate fretta nel rispondere. Dobbiamo ammettere che molte sono le ragioni che ci muovono, molte sono le sfumature della nostra personalità. Siamo legione nel nostro intimo.

Santi e peccatori, eroi e opportunisti, idealisti e pigri, determinati e vittimisti.

È normale che sia così, siamo quel che siamo e tutta la nostra vita consiste nel trovare un modo per far fiorire la nostra anima, per mettere ordine nel caos, per trovare il nostro posto nel mondo.

Nello stabilire la maggioranza nel nostro personale parlamento interiore.

Ma la stessa domanda potrebbe porsela l’umanità nel suo insieme.

Cosa cerchiamo quando cerchiamo la felicità?

Nell’ultima domenica dell’anno liturgico la Parola ha ancora qualcosa da dire, un’indicazione forte, destabilizzante, inattesa, nella Solennità di Gesù Cristo re dell’Universo.

Una titolazione un po’ aulica, forse desueta, ma che proclama con forza quanto i discepoli hanno sperimentato: Gesù è la risposta di ogni ricerca, e il mondo non sta precipitando nel caos, ma nelle sue braccia.

Wow.

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Senza fine

Tutta la Bibbia si può sintetizzare in un unico concetto, semplice-

Inizia con un sei amato e conclude con un amerai.

Fra questi due poli di tensione, di attrazione, di pienezza, si gioca la storia.

Quella zoppicante degli uomini che fanno a gara per rovinarsi la vita, la propria e quella altrui.

Quella suicida delle guerre, delle battaglie, degli egoismi assurti a sistema.

Quella che non impara dai propri errori, quasi mai.

E quella di Dio. Intessuta nelle trame degli eventi, che passa dai cuori, dalle anime, che non viene scritta quasi mai. La storia di una salvezza, di un sogno d’amore concreto e fattivo, ispirato e animico, che Dio sta costruendo dentro e attraverso di noi.

Oggi ci diciamo e proclamiamo al mondo che più della tenebra, quella personale e quella collettiva, trionfa la luce, quella divina che in noi si riflette.

Oggi è la festa che inietta ottimismo nelle nostre stanche comunità che fanno i conti con un mondo in rapida evoluzione, che lottano contro l’inevitabile pessimismo (tentazione perenne) che rischia di rallentare il nostro passo.

Oggi è la festa in cui le comunità guardano avanti, al di là e al di dentro dei nostri limiti e dei nostri sforzi perché, sempre, il metro di giudizio del nostro essere Chiesa è la realizzazione del Regno.

E di questo Regno d’amore Gesù è il re.

Prego?

Un re bislacco

Dio è più sconfitto di tutti gli sconfitti, fragile più di ogni fragilità. Un re senza trono e senza scettro, appeso nudo ad una croce, un re che necessita di un cartello per essere identificato.

Non un Dio trionfante, non un Dio onnipotente, ma un Dio osteso, mostrato, sfigurato, piagato, arreso, sconfitto.

Una sconfitta che, per Lui, è un evidente gesto d’amore, un impressionante dono di sé.

Un Dio sconfitto per amore, un Dio che – inaspettatamente – manifesta la sua grandezza nell’amore e nel perdono. Dio – lui sì – si mette in gioco, si scopre, si svela, si consegna.

Dio non è nascosto, misterioso: è evidente, provocatoriamente evidente; appeso ad una croce, apparentemente sconfitto, gioca il tutto per tutto per piegare la durezza dell’uomo.

Salva te stesso

Il racconto di Luca (grazie per averci accompagnato quest’anno!) è straordinario.

Gesù è appeso, agonizzante. Intorno a lui la folla, che poche ore prima ne chiedeva con forza la morte, tace, sgomenta. In pochi parlano, ma concordano.

La stessa frase pronunciata dai sacerdoti, dai soldati romani pagani e da uno dei ladri:

 “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”.

Un’ultima, ipocrita e paradossale opportunità per Gesù di manifestare la sua presunta identità.

Salvare se stesso.

Se è davvero il figlio di Dio non gli sarà difficile dimostrarlo. Se è quel dice di essere lo farà con clamore, spingendo i presenti a riconoscerlo. Per dimostrare che è Dio deve salvare se stesso.

Giusto. È esattamente ciò che pensiamo di Dio.

È un segno di debolezza il dover dipendere dagli altri.

Il potente, così come ce lo immaginiamo, è colui che salva se stesso, che può permettersi di pensare solo a sé, ha i mezzi per essere soddisfatto, senza avere bisogno degli altri.

Dio è ciò che non possiamo permetterci di essere, il più potente dei potenti, che può tutto, che non ha bisogno di niente e di nessuno, beato lui!

Per dimostrare di essere veramente Dio, Gesù deve mostrarsi egoista perché, nel nostro mondo piccino, Dio è il Sommo egoista bastante a se stesso, beato nella sua perfetta solitudine. Dio, allora, diventa la proiezione dei nostri più nascosti e inconfessati desideri, è ciò che ammiriamo nell’uomo politico riuscito, ricco e sicuro, allora cerchiamo di sedurlo, di blandirlo, di corromperlo.

Idioti. Loro e noi.

Il nostro Dio non salva se stesso, salva noi, salva me.

Dio si auto-realizza donandosi, relazionandosi, aprendosi a me, a noi.

Questa è la sua regalità.

Ladri e ladroni

I due ladroni sono la sintesi del diventare discepoli. Il primo sfida Dio, lo mette alla prova: se esisti fa che accada questo, liberami da questa sofferenza, salva te stesso (di nuovo!) e noi, e me. Concepisce Dio come un re di cui essere suddito.

Ma a certe condizioni, ottenendo in cambio ciò che desidera: una redenzione in extremis. Non ammette le sue responsabilità, non è adulto nel rileggere la sua vita, tenta il colpo. Non è amorevole la sua richiesta: trasuda piccineria ed egoismo. Come – spesso – la nostra fede. Cosa ci guadagno se credo?

L’altro ladro, invece, è solo stupito. Non sa capacitarsi di ciò che accade: Dio è lì che condivide con lui la sofferenza.

Una sofferenza conseguenza delle sue scelte, la sua. Innocente e pura, quella di Dio.

Ecco l’icona del discepolo: colui che si accorge che il vero volto di Dio è la compassione e che il vero volto dell’uomo è la tenerezza e il perdono. Nella sofferenza possiamo cadere nella disperazione o ai piedi della croce e confessare: davvero quest’uomo è il Figlio di Dio.

Lo vogliamo davvero un Dio così? Un Dio debole che sta dalla parte dei deboli? È questo, davvero, il Dio che vorremmo? Di quale Dio vogliamo essere discepoli? Di quale re vogliamo essere sudditi?

Non date risposte affrettate, per favore, altrimenti ci tocca convertirci.

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