Commento al Vangelo di domenica 24 Novembre 2019 – Comunità Kairos

È la festa di Cristo Re, che conclude l’anno liturgico C! E la liturgia, facendosi interprete del punto di vista di Dio, ci presenta in modo assolutamente paradossale il Vangelo della Crocifissione! Gesù è inchiodato alla croce: inverosimile immagine di un Re! Sul suo capo spicca una scritta “Gesù Nazareno re dei Giudei”. Una scritta (Leggiamo in Gv 18,33-40 e 19,1-22) ordinata da Pilato che intende dileggiare i Giudei e quel Gesù che si proclamava Re. Ma “il mio regno non è di questo mondo” aveva detto Gesù. Pilato, che non si raccapezza, insiste: “dunque tu sei re”. E Gesù “Tu lo dici. Io sono Re”. Pilato esce dal dialogo dibattuto, continua a non capire, vorrebbe liberare Gesù, ma i capi religiosi dei Giudei ne richiedono la crocifissione con il pretesto che “Chiunque si fa re si mette contro Cesare”.

Quando Pilato compone l’iscrizione da porre sulla croce, rimarcando al disappunto dei sommi sacerdoti “ciò che ho scritto, ho scritto”, non sa di essere involontario tramite della Verità, quella Verità già rivelata dall’Angelo Gabriele a Maria: “regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,33)

Quante volte Gesù aveva parlato del Regno di Dio, quindi del suo Regno che Egli era venuto ad inaugurare quaggiù, portando la Parola di Dio tradotta in una vita di amore incondizionato e gratuito verso ogni uomo, particolarmente verso i più bisognosi, ovvero i peccatori. Aveva chiamato accanto a sé i discepoli perché continuassero la sua predicazione del Regno, pur conoscendo i loro limiti umani. Infine, Gesù offre la sua vita, inchiodando ogni male e la morte stessa al legno della  sua croce per consentire a tutti, una volta e per sempre, di poter entrare nel suo Regno.

Come possiamo con il nostro limitato linguaggio raccontare cos’è il Regno di Dio? Ci soccorrono le promesse di Gesù: le beatitudini innanzitutto (Mt 5,3-12; Lc 6,20-23). Una delle espressioni più  belle lasciataci da Gesù dice che “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo” (Mt 13,44). Anche Gesù si trova costretto dall’uso di espressioni comprensibili al suo uditorio a lasciare nel mistero la narrazione del Regno. Ma in fondo quello che più conta per il nostro cammino di fede è sapere che il Regno è vicino, come annuncia Giovanni il Battista (Mt 3,2), che è giunto fra noi (Lc 11,20) che è in mezzo a noi (Lc 17,21). C’è infatti il Regno di Dio perché c’è il Re, Gesù di Nazaret, non come nei regni della terra in cui i re ci sono perché c’è un regno. È Gesù il Re che con la sua presenza ha portato qui sulla terra consolazione, giustizia, misericordia, presentandoci il volto del Padre e chiamandoci a divenire figli ed eredi di Dio, nonché possessori del Regno. Ciò equivale a dire che il regno, realizzato in terra da Gesù, sarà nell’eternità il riflesso della vita di chi accoglierà il dono di possederlo.

Intorno a questo Re crocifisso sta un’umanità composita: non possiamo escludere, come ci ricorda l’evangelista Giovanni, la presenza sofferente della Madre e di chi con Lei assiste attonito, e dire che quasi tutti i discepoli sono fuggiti in preda alla paura! Tuttavia, il brano di Luca sottolinea la presenza ostile dei capi giudaici e dei soldati romani, mentre il popolo, che era accorso “a questo spettacolo” (Lc 23, 48) stava a vedere senza intervenire, forse deluso nelle sue aspettative di miracoli e di trionfo del Messia (acclamato pochi giorni prima!) sui poteri dominanti. I capi giudaici ed i militari romani aggiungono all’atrocità e all’umiliazione della morte in croce, riservata ai peggiori delinquenti, la sadica derisione del “salvi se stesso”. All’orecchio di Gesù dovette risuonare la provocazione di Satana che nel deserto, come estrema tentazione, gli aveva proposto di gettarsi dal pinnacolo del tempio per essere salvato dai suoi angeli (Lc 4,9-13). Il testo di Luca non lo osserva, ma a noi lettori non sfugge il silenzio di Gesù che ascolta senza cedere alle sfide, né si difende e, appeso alla croce, porta a compimento la volontà del Padre che è l’offerta di sé per Amore degli uomini, compresi coloro che “non sanno quello che fanno”.

Ancora una volta Gesù è in mezzo ai peccatori e li ama e invoca per loro il perdono del Padre! Proprio accanto a Lui, sulle loro croci, ci sono due delinquenti: ladri? assassini? Uomini, peccatori come tutti! I due anonimi peccatori, nella loro diversità d’animo, sono in fondo figure speculari di un ’unica umanità fragile e impotente a salvarsi da sola, in continua e assai spesso inconsapevole ricerca di Dio.

Uno di loro, spirito ribelle, insulta Gesù con rabbia e si associa all’ignobile coro dei persecutori e degli aguzzini: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso ed anche noi!”. A parte l’incredulità e lo scetticismo che pervadono il suo grido, In sostanza vuole salvarsi, anche se nel suo egoistico desiderio aleggia un concetto assai limitato di salvezza.

Eppure, quante volte a noi tutti umani, limitati e offuscati dall’unica esperienza di vita che facciamo, non appare come salvezza la sopravvivenza? È vero la vita è bella, pur con tutte le sue amarezze e i suoi ostacoli, e l’unica preoccupazione per noi è che non sia breve, che possa durare! Non  pensiamo mai quanto dovrà essere bella senza paragoni la vita nel Regno di Dio!

Gesù non può rispondere alla sfida di questo suo compagno di croce come lui vorrebbe, ma il suo cuore misericordioso non resta certamente insensibile verso il grido di un peccatore che chiede a modo suo la salvezza.

Il secondo malfattore, appeso alla sua croce, reagisce diversamente, con maggiore consapevolezza della realtà cui è vano ribellarsi: quella croce, lui e l’altro, l’hanno meritata (sono le leggi umane!), ma Gesù è innocente. Lui è diverso: andrà nel Regno di cui ha sempre parlato? Ecco allora che sgorga dal suo spirito discreto e fiducioso la preghiera: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno”. Gesù non aspettava altro che questa fiducia e prontamente risponde: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”. Sul fondamento della verità Gesù parla, e, se il futuro di “sarai” è riferito ad una vita terrena non ancora conclusa, la promessa dell’“oggi” possiede l’immediatezza dell’amore eternamente presente di Dio. Quel “con me” significa che Gesù Re condivide con tutti i salvati la propria regalità, in quanto anch’essi figli ed eredi del Padre. Infine, l’espressione “nel paradiso”, ovvero il Giardino, in cui l’uomo riprenderà le primitive sembianze (Gn 1,26), il rapporto sereno con la natura e l’amicizia con Dio, ci rivela come somma felicità e splendore il mistero del Regno.

Comunità Kairòs 

Commento a cura di Vanna

Fonte: Comunità Kairos (Palermo)

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