Commento al Vangelo di domenica 23 Dicembre 2018 – Congregazione per il Clero

IV Domenica di Avvento – Anno C

Il Natale è ormai imminente. Anche questo Avvento è in qualche modo “volato via”. Rapidamente, come rapido, forse troppo rapido è il passare dei nostri giorni. E così lo abbiamo forse un po’ ‘bruciato’, esattamente come rischiamo di ‘bruciare‘ i nostri giorni. Corriamo sempre il rischio di viverli spogliati di senso. A volte forse ci capita, più passano gli anni, che prima di alzarci, sorga spontanea la domanda: ma che senso ha la vita che faccio, con tutti i sacrifici che mi chiede?

C’è quasi un ritornello nella II lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei, un tempo attribuita a San Paolo: “Non hai voluto né sacrificio, né offerta…Non hai gradito né olocausti né sacrifici…Non hai voluto e non hai gradito né sacrifici, né offerte, né olocausti, né sacrifici…”. E noi, bravi cristiani, pensiamo spesso, invece, che il Signore non voglia da noi altro che sacrifici. Invece l’autore della Lettera conclude mettendo sulla bocca di Cristo le parole rivolte al Padre: “Allora un corpo mi hai preparato… e ho detto: Ecco io vengo per fare la tua volontà”.

Mi hai preparato un corpo perché fosse dato. Non dobbiamo cercare sacrifici da offrire. Certo è vero che, ordinariamente, non pensiamo proprio ad offrire sacrifici a Dio. Ma a chi offriamo il nostro corpo? “Per fare la tua volontà” dice Gesù. Nel vangelo di Giovanni dirà; “Il mio cibo è fare la volontà del Padre”. Di questo si nutre. Qui attinge vita. Come si fa ad attingere vita dalla volontà di un altro? Semplicemente perché lui è il Padre, colui esattamente che dà la vita. In un certo senso non ci vuole molto per mettere al mondo qualcuno (anche se sembra che ai nostri giorni diventi sempre più difficile!). Certamente invece è tutt’altra cosa il far sì che colui che abbiamo messo al mondo diventi veramente un figlio che viene alla luce. Figlio e luce presi qui nel senso più forte. Questa è la volontà del Padre: che diventiamo, anno dopo anno, figli che vengono alla luce. Niente di strano, niente di estraneo o lontano, niente di temibile in questa volontà. Al contrario, proprio nella volontà del Padre troviamo la verità di noi stessi. Questo vuole un vero padre e questo vuole il Padre-Dio da ciascuno di noi. Ma la verità di noi stessi sta in una vita vissuta nell’amore. Questo il Padre ci offre e questo ci chiede, perché piena sia la nostra vita. “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” dice Gesù ancora nel Vangelo di Giovanni. “Noi siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo.” Cioè dal suo amore. Un corpo appunto preparato per essere dato, per amore.

Avvenga per me secondo la tua parola” dice Maria nelle parole del versetto all’Alleluia che ha preceduto il Vangelo. Maria offre il suo corpo perché sia abitato dal Figlio di Dio (senza sapere bene che cosa voglia dire, come ogni madre e padre per il loro figlio). E consegna a questa volontà di Dio, che lei fa totalmente propria, la sua esistenza. Andrà capendo lungo tutta la sua vita quale ne è il senso, confermando giorno dopo giorno il suo Sì, fatto una volta per sempre, come “una volta per sempre” è stata l’offerta del corpo di Gesù Cristo, sempre secondo la Lettera agli Ebrei che abbiamo ascoltato.

Nel Vangelo di oggi il suo Sì è all’appello, implicito, che le viene dall’avvicinarsi del parto della cugina Elisabetta. Maria è incinta, ma va. “In fretta” dice l’evangelista Luca. Per un centinaio di chilometri di montagna. Non pensa a se stessa, al compito che le è stato affidato. Sa che Elisabetta ha bisogno di una mano e allora va. Questa è la volontà del Padre che si viva e manifesti l’amore tra noi.

Nella nostra piccolezza. Maria non dice che Dio ha guardato l’umiltà della sua serva. Sarebbe quasi vantarsi della propria umiltà. Diceva uno scrittore francese del secolo scorso, G. Bernanos: “Nessuno è vissuto, ha sofferto, è morto così semplicemente e in un’ignoranza altrettanto profonda della propria dignità. Una dignità che pure la innalza al di sopra degli angeli”. Maria invece parla della sua tapinità, della sua piccolezza, del suo essere quasi un nulla, come piccola, quasi un nulla veniva definita nella I lettura Betlemme, scelta da Dio perché vi nasca suo Figlio. Dio guarda con amore la nostra piccolezza. Non cerchiamo di diventare grandi e nemmeno di apparire tali in un ambito o nell’altro, come spesso facciamo Ma viviamo ogni giorno in ogni piccola cosa di ogni giorno, tutta la grandezza dell’amore di cui siamo capaci.

Questo è offrire il nostro corpo. Questo è fare la volontà di Dio. Qui la nostra pienezza.

Compagnia di Gesù – Fonte

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