Commento al Vangelo di domenica 22 ottobre 2017 – p. Alessandro Cortesi op

Al tempo di Gesù la Palestina era sotto l’occupazione e il controllo politico della potenza dell’impero romano. Tra le molte tasse che la popolazione subiva oltre alla tassa per il tempio e le varie gabelle che rendevano la vita difficile, c’era anche una tassa dovuta all’imperatore. Era l’odiosa tassa che ricordava il peso della potenza occupante romana e andava pagata con monete particolari. Nelle monete era infatti scolpita l’effigie dell’imperatore. Da qui il rinvio alla questione dell’immagine del Cesare, l’imperatore, che al tempo di Gesù era Tiberio Cesare, nella moneta del tributo.

A Gesù viene posta una questione per metterlo alla prova: è una questione sul dovere di pagare le tasse all’imperatore. Una questione delicata perché dietro a questo gesto poteva esserci il riconoscimento del dominio dei pagani. Ma anche era questione delicata perché ogni affermazione che fosse stata diretta a non riconoscere l’autorità romana poteva generare l’accusa di ribellione.

E’ interessante notare che Gesù non possiede con sé la moneta er pagare il tributo, e chiedendola a color che stanno sfidando mostra già la loro ipocrisia. La fa infatti mostrare da loro stessi. “Mostratemi la moneta del tributo! Ed essi gli presentarono un denaro.

Le sue parole poi presentano poi una tensione: “Egli domandò loro: Di chi è quest’immagine e l’iscrizione? Gli risposero: di Cesare! Allora disse loro: rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.

In primo luogo queste parole indicano una distinzione tra ciò che appartiene a Cesare, la sfera della politica, e ciò che compete a Dio. A Cesare vanno pagate le tasse perché la moneta reca la sua immagine. Le monete portano l’effigie dell’autorità imperiale e a tale autorità si deve rispondere nel riconoscimento delle competenze proprie. E’ affermazione di una separazione. C’è una sfera del potere distinta e distante da quella specificamente religiosa. Gesù è ben distante dal riconoscere Cesare come un potere a cui inchinarsi, ma rinvia a restituire ciò che compete.

C’è poi nella risposta di Gesù c’è un altro aspetto su cui riflettere: che cosa intendeva dicendo che c’è qualcosa che compete a Dio nel dare a lui ciò che è di Dio? Che cosa è da riferire a Lui?

Se le monete portano l’effigie di Cesare e al potere statale va riconosciuta autorità per quel che riguarda ambiti particolari della vita umana questo non è tuttavia un riferimento assoluto, non copre né può pretendere di assorbire tutta la vita umana senza riserve e critica.

C’è un luogo in cui è posta l’immagine di Dio per poter dare a Dio quello che è di Dio? Se nelle monete imperiali appare l’effigie di Cesare vi è un luogo dove è presente l’effigie di Dio?

Nel volto di ogni persona vivente sta il luogo dell’immagine di Dio. A Dio allora compete non solo una sfera tra altre della vita umana ma è da dare a Dio la totalità dell’esistenza, pur riconoscendo che vi sono dimensioni della vita in cui si attua una responsabilità e competenze proprie. Non è tuttavia un riferimento assoluta che possa escludere il riferimento fondamentale a Dio.

Immagine è la categoria al centro di questo confronto tra Gesù e i discepoli dei farisei. E’ rinvio a Gen 1,26: ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine somigliante…’, espressione che indica la creazione stessa dell’uomo come evento di un rapporto unico. ‘Dio creò l’umano a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò’ (Gen 1,27)

Uomo e donna nella loro diversità, e nell’unità che costituisce l’umano, sono costituiti ad immagine del Dio che nella creazione si apre nel dono di sé, comunica vita lasciando spazio all’altro.

I discepoli di Gesù allora sono invitati a due attenzioni: in primo luogo non dovranno mai confondere l’immagine di Dio con l’immagine di Cesare. La presenza di Dio, sempre più grande non si lascia identificare o rinchiudere in una forza politica o in un dominio umano e culturale. La sua signoria sta oltre ogni realizzazione umana e non viene esaurito da un potere umano.

In secondo luogo discepoli sono chiamati a riconoscere l’immagine di Dio presente in ogni persona. Questo esige un riferimento totale della vita. Ciò apre ad una libertà di coscienza di fronte ad ogni potere politico di cui riconoscere ambiti precisi di competenza ma che non potrà mai porsi come assoluto. Ci sono ambiti della vita che prevedono riferimenti penultimi. L’autorità politica non potrà mai pretendere di esaurire tutta l’intera esistenza delle persone.

Le parole di Gesù sono una sfida a riconoscere che gli ambiti propri della politica, dell’economia, della società non escludono il riferimento a Dio. Ma anche Gesù indica che Dio non può essere ridotto ad un potere che si sostituisce a Cesare o si si pone sul medesimo piano del dominio politico.

Le questioni della politica sono ricondotte ad essere spazio dell’umano, spazio ‘penultimo’.

Fonte

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XXIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Mt 22, 15-21
Dal Vangelo secondo  Matteo

15Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 22 – 28 Ottobre 2017
  • Tempo Ordinario XXIX
  • Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo A
  • Salterio: sett. 1

Fonte: LaSacraBibbia.net

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