Commento al Vangelo di domenica 21 Novembre 2021 – p. Alessandro Cortesi op

384
p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

Tra Gesù e Pilato si svolge un drammatico dibattito attorno alla questione del regno e della verità.

La domanda del prefetto romano: ‘Tu sei il re dei Giudei?’ rivela l’inquietudine del potere politico di fronte all’agire di Gesù che aveva suscitato il risvegliarsi di attese di liberazione. Il suo messaggio e la sua pratica erano una sfida all’ordine costituito: la sua predicazione dava risonanza alle attese di spiritualità della gente e il suo agire indicava un nuovo modo di pensare i rapporti sociali con profonde conseguenze sul piano politico. Nel dialogo con Pilato emerge quindi l’importanza della questione del ‘regnare’.

Nelle risposte a Pilato il IV vangelo evidenzia un crescendo di tensione nella contrapposizione tra i regni di questo mondo e un regno altro, diverso: ‘il mio regno non è di questo mondo, se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai giudei’. Gesù accetta di essere indicato come re da Pilato, che è rappresentante del potere politico romano, ma orienta in un’altra direzione: il suo regno viene da altrove, non può essere interpretato con le categorie proprie dei regni umani perché non è questione di dominio e sfruttamento, ma orizzonte di fraternità e di cura. Proprio perché re di tipo diverso non ha messo in campo la spada per difendersi ma si è liberamente consegnato. Gesù è quindi re sì, ma in modo paradossale, indica la via della nonviolenza attiva, contesta alla radice un potere che si connota come dominio.

“Dunque tu sei re? – Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. Gesù unisce il suo essere re alla missione di testimone della verità. Riprende così la linea dei profeti. Non ripropone il modo di essere che i profeti contestavano ma parla di se stesso come testimone. Verità è sinonimo di fedeltà dell’amore: è questo il tratto principale del Dio di Israele: in lui si ritrova l’amore fedele, che è roccia in cui trovare riparo. Colui che crede trova appiglio nella roccia della sua stabilità di vicinanza: è il Dio che ha ascoltato il grido del suo popolo ed è sceso a liberarlo.

A Pilato Gesù indica la sua vita e la sua originale regalità quale testimonianza della presenza di Dio. Il regno per lui la possibilità di un nuovo rapporto con Dio, Padre fedele a cui affidare tutta la propria esistenza, e nuovo modo di vivere ai rapporti con gli altri: se Dio è il fedele e verità, roccia, della vita umana, allora i rapporti con gli altri vanno impostati in modo nuovo nella responsabilità reciproca, nel farsi carico gli uni degli altri. Il regno che Gesù annuncia non è percorso di singoli ma ha una valenza comunitaria e universale.

Pilato è il rappresentante dell’imperatore, che sta giudicando Gesù: ma il IV vangelo presenta in filigrana un altro giudizio che si sta compiendo di fronte a Gesù. Davanti a lui coloro che ascoltano sono provocati a prendere posizione. Nei tratti di quest’uomo umiliato e offeso sta la salvezza e il senso della vita umana, sta la verità di ogni donna e uomo. Gesù è re proprio mentre appare come il giudicato e il condannato. Il suo regno è dono di speranza e di pace per tutti coloro che sono affaticati e oppressi. D’ora in poi sarà possibile incontrarlo tra i volti delle vittime e dei condannati della storia, perché lì si manifesta la vicinanza del Padre che prende le loro difese per inaugurare una nuova storia.

Alessandro Cortesi op