Commento al Vangelo di domenica 2 Giugno 2019 – Congregazione per il Clero – p. Gaetano Piccolo S.I.

Settima Domenica di Pasqua – Anno C – Ascensione del Signore

Un quadro desolante

Nella gara della vita, le logiche del mondo sembrano trionfare. Vincono sempre i violenti, gli arroganti, gli arrivisti, coloro che costruiscono il loro successo sul disprezzo e sull’infelicità degli altri. Chi invece affronta la vita con umiltà, cercando di evitare il male, chi è generoso, chi non cerca di danneggiare gli altri, finisce spesso con il soccombere. Sembra che questo mondo sia prigioniero di logiche perverse e inspiegabili.

Di fronte a questa lotta, il nostro sguardo spesso si ripiega. Diventiamo tristi, sgomenti. Gli occhi diventano prigionieri della terra e trasformiamo la vita in un lamento che non sa vedere più oltre. Quel sentimento che fu di Leopardi continua ad abitarci e forse anche nei nostri pensieri ritornano le parole che chiudono il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: «Forse in qual forma, in quale stato che sia, dentro covile o cuna, è funesto a chi nasce il dì natale».

Alzare lo sguardo

Alla fine del Vangelo, i discepoli sono invece invitati ad alzare lo sguardo e a smettere di lamentarsi per rendersi conto che il Signore non li ha abbandonati, ma continua ad accompagnare la loro storia e quella dell’umanità.

Il racconto dell’Ascensione di Gesù al cielo diventa per Luca il punto di incontro tra il tempo della presenza del Signore sulla terra e la vita della Chiesa che comincia. È lì che siamo invitati a trovare il modo in cui vivere la presenza di Dio in mezzo in noi. L’ascensione è, nella lettura di Luca, il tempo del ritorno: come infatti il primo Adamo è fuggito lontano da Dio, così adesso il nuovo Adamo ritorna nella casa del Padre.

E apre quella strada a tutti noi. Se infatti il Figlio torna nella casa del Padre, egli rimane però ancora con noi, non più in una forma temporanea e fisica, ma in un modo permanente e spirituale.

La liturgia della vita

Gli ultimi versetti del Vangelo di Luca sono costruiti sullo schema di una liturgia, proprio perché vogliono introdurci in un modo nuovo di guardare alla vita. In alcuni codici, questi versetti si concludevano infatti con la parola Amen, proprio come alla fine di una preghiera.

L’annuncio

Il testo comincia infatti con un annuncio: «Così è scritto…». Le parole di cui ci nutriamo cambiano la nostra vita. Spesso ritorniamo su pensieri falsi e deprimenti. L’annuncio che apre questa liturgia è invece il ricordo di essere amati da Dio: non sempre è facile sentire questo amore, talvolta ci sentiamo abbandonati e soli. Proprio per questo è necessario ritornare continuamente ad ascoltare queste parole.

L’epiclesi

Da soli ci perdiamo. Facilmente dimentichiamo. Per questo, il momento dell’annuncio è seguito dall’epiclesi, l’invocazione dello Spirito santo. All’inizio degli Atti degli Apostoli, Luca ricorda con insistenza che lo Spirito è su di noi. Come il Padre ha compiuto la promessa di mandare il Figlio, ora quella promessa si compie nell’invio dello Spirito. Il Figlio è il sacerdote che invoca su di noi questo dono. Così, nell’Eucarestia, anche noi sacerdoti, rivolgendoci al Padre, gli chiediamo ancora di mandare lo Spirito sul pane e sul vino.

La testimonianza

Questa epiclesi ci rende testimoni. Non saremmo capaci di annunciare l’amore in questo mondo di dolore se non fossimo sostenuti dall’azione dello Spirito.

Di cosa siamo testimoni? Ma soprattutto in che modo potremo testimoniare? La Chiesa nasce plurale. È una comunità che testimonia. E siamo chiamati a farlo prima di tutto e fondamentalmente attraverso le relazioni che viviamo tra noi. Non possiamo testimoniare un Dio che è comunione se tra noi imperversa la divisione, non possiamo testimoniare un Dio che è perdono se tra noi ha gioco facile il rancore e l’intolleranza, non possiamo testimoniare la piccolezza di Dio se tra noi ci divoriamo per conquistare un briciolo di potere.

La benedizione

E sulla nostra vita, così com’è, con i nostri fallimenti e le nostre ambiguità, Gesù dona la sua benedizione. È una benedizione che va accolta, occorre lasciare che quella benedizione entri e plasmi la nostra vita: i discepoli non solo si prostrarono davanti a lui per accogliere quella benedizione, ma tornare a Gerusalemme. C’è una conversione in atto, proprio come era avvenuto per i discepoli di Emmaus.

Questa liturgia di lode dunque non termina, perché i discepoli, dice Luca, stavano sempre nel Tempio lodando Dio. La vita si è trasformata e, nonostante le persecuzioni e le accuse, è diventata una permanente liturgia di lode.

L’Amen

Il Vangelo vuole dunque condurci qui, vuole portarci a trasformare la nostra vita in una permanente liturgia di lode. Nonostante le fatiche, davanti allo spettacolo del male che sembra trionfare, noi siamo invitati ad alzare lo sguardo. Amen, allora, così sia la mia vita, possa diventare lode perché il Signore, vincitore della morte, non mi ha mai abbandonato!

Leggersi dentro

  • Qual è il tuo sguardo sulle vicende del mondo?
  • In che modo puoi trasformare la tua vita in una liturgia di lode?
don gaetano piccoloP. Gaetano Piccolo S.I.
Compagnia di Gesù (Societas Iesu)Fonte

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