Commento al Vangelo di domenica 19 novembre 2017 – mons. Valentino Vecchi

 

IL TERZO SERVO È COLUI CHE TRASFORMA IL RAPPORTO RELIGIOSO IN UN FATTO DI PAURA

Talento vuol dire: qualità, capacità, genio. Solo nella interpretazione abituale ed affrettata l’accento è posto sul numero, sulle doti, sulle diversità fra gli uomini.

E magari si è voluto dare una giustificazione religiosa alle differenze sociali ed alle ingiustizie… Come se il Regno di Dio fosse un mondo di mercanti e il dono di Dio una mercanzia; e Dio avesse una mentalità affaristica.

Invece, ciò che sta a cuore a Cristo è che i talenti non hanno valore in sé, ma ha valore solo il comportamento umano nel realizzare il piano di Dio.

Nella Parabola ci sono tre momenti:

La consegna secondo le capacità. Ma il numero dei talenti consegnati a ciascuno non avrà alcuna conseguenza. 2) L’attesa. Qui attendere e vigilare significa operare e far fruttare. Non dunque essere a posto «legalmente», ma impegnati e responsabili del dono. 3) H rendiconto, momento culminante. Il premio è uguale; la comunione col Signore.

Il terzo servo vuol difendersi e giustificarsi, senza che gli fosse stato richiesto. Mette le mani avanti. So che sei un «uomo duro», dice. E il padrone riceve l’accusa «sfrontata» e per questo lo condanna. Prima gli è mancata l’iniziativa, l’impegno e la buona volontà. Ora gli manca l’umiltà e l’onestà di riconoscere il proprio errore.

La conclusione è sconvolgente; il ricco diventa ancora più ricco, perché il problema non è amministrativo. Dio non ha bisogno di cose — le dona – ma di impegno e di amore. È, quindi, una questione di fondo; o salvezza totale o rovina.

Chi è il terzo servo? Colui che trasforma il rapporto religioso in un fatto di paura; una paura che deforma il senso della vita e il volto di Dio, dandone un’immagine mostruosa.

Guai alla grettezza che impedisce il bene. Guai alla pigrizia che tenta di eliminare le problematiche. Guai al comodo quietismo di chi dice «E chi te lo fa fare?», «Non cercar rogne»… Guai a chi tradisce la propria missione nel mondo e si nasconde.

CI VUOLE IMPEGNO E SUDORE: A FAVORE DEGLI ALTRI

I talenti nascono con l’uomo; con la sua indole, con i geni ereditari, con l’ambiente, con l’educazione; sono impastati col nostro essere uomini. Ma c’è responsabilità personale nella loro gestione: siamo più figli del nostro tempo che di nostro padre, ma siamo anche padri del nostro tempo. Siamo in un mare che possiamo rendere pulito o sporco.

Ma parliamo dell’uso dei talenti:

— Il cristiano deve sudare.

Qualcuno ha parlato di religione come sonnifero ed oppio e invece… Nessuna indulgenza per il quieto vivere. Ci vuole impegno e sudore: a favore degli altri. Gesù e gli Apostoli non trovano neppure il tempo per mangiare: era più facile fare i pescatori.

La fede non può essere presa a pretesto per congelare una situazione ingiusta. Gesù non ha detto di accettare l’ingiustizia nè ha predicato la rivoluzione per forzare gli schemi del mondo. Non c’è contraddizione, ma un’altra giustizia.

— Il cristiano deve servire.

Dio non ha bisogno, ma i fratelli sì. Immagino le risate di colui che non lavorava per il padrone.

— il cristiano va contro corrente.

Oggi si sottovaluta l’incidenza dell’individuo all’interno della collettività. Si diventa tolleranti e permissivi. Si tende a pianificare tutto e tutti: senza intraprendenza e fantasia; senza creatività e responsabilità. E si diventa edonisti ed egoisti. Chi lavora per gli altri è considerato im anormale, un fesso. II più bravo è stato quello che si è fatto gli affari suoi. Gesù ammonisce; ci sarà il rendiconto. Ma Dio non misura col metro della produttività e dell’efficientismo.

Non c’è posto per l’arrivismo. Ad ognuno il proprio ruolo e ci troveremo davanti a Lui nella Verità.

DIO È PER IL RISCHIO

La Parabola del Ricco Epulone ci dà un esempio da non imitare: per il tenore di vita, per la durezza di cuore con Lazzaro, ma soprattutto per il cattivo uso del tempo; anzi, per la perdita di tempo, impiegato a pavoneggiarsi e a farsi ammirare. Sperperava denaro guadagnato dagli altri per il suo dolce far niente.

Nella Parabola dei Talenti c’è una proposta inversa. Dio ci ha donato la vita, intelligenza, forza, salute, capacità di fare e di amare; e il tempo. Dio distribuisce i doni in modo diverso; dichiara che tutti possono raggiungere la meta; rifiuta ogni forma di invidia. Ma la vita deve essere attiva, operosa e in ricerca del bene e del meglio. Dove il cristiano finisce l’opera, finisce anche la vita.

Il messaggio di Gesù è la condanna della pigrizia. Troppa gente si crede prudente perché non rischia e troppa gente rischia senza prudenza: ci vuole l’uno e l’altro.

E più sensato conservare quel poco che si ha per restituirlo intatto con falsa giustizia, oppure accettare il rischio della responsabilità? H dono ricevuto non dà salvezza da solo. La quantità dei talenti non dà sicurezza; può essere un alibi di comodo. Chi non lavora (e non rischia) non guadagna. La veste nuziale rappresenta proprio l’impegno, il lavoro, la disponibilità. Il lavoro è mezzo per attuare la creazione. Nel quotidiano si trasforma la vita. Dio ci ha dato fantasia creatrice. H pericolo e il peccato sono nel conto.

Dio è per il rischio; e oggi la vita è dura, più di un tempo, e senza sicurezze. Concorrenza, delinquenza, pericolo, ingiustizia, povertà: è Ìl momento di Cristo! Cristo è entrato in questa umanità; questa dobbiamo far fruttare; con questa costruire. Questo è un lavoro che non manca mai.

NON SIAMO CRISTIANI IMPEGNATI!

Ogni dono non è un privilegio ma una responsabilità; non un titolo di onore ma un impegno. L’albero che occupa la terra e prende sole, aria, acqua, deve dare frutti. Dio verrà a cercare i Suoi frutti, a regolare i Suoi conti. La chiamata è per tutti, la vittoria è di chi rimane fedele.

Siamo tutti avventizi e in prova. Nessuno è in pianta stabile. Le nostre sicurezze sono fasulle. Nel giro di pochi decenni il Signore tornerà a regolare i conti. C’è chi ha preteso di sfruttare per sè; c’è chi ha avuto paura; c’è chi è stato fedele.

Dove sono le cose che, come cristiano, cerchi? E dove sono quelle che insegui? Se non sono vere, perchè cerchi? Se sono vere, perchè non sei fedele? Se non vivi per esse, perchè vivi? Non siamo cristiani impegnati! La volontà infantile e rachitica; la vigliaccheria, la fuga, la resa… A chi mi dice: io non ho talenti, non ho volontà, rispondo: non sei nato colto, civile, ma ora lo sei; scienziato o tecnico, ma oggi lo sei. Ma cristiano non lo sei: non ti sei impegnato, ti sei arreso.

Non conta il molto, ma il bene. Uno non vale per quello che promette, ma per ciò che realizza con pazienza indomabile, fino alla fine. Riuscire… ma come? Operando gradualmente, riconoscendo i propri limiti; accettarsi, restare fedeli e pregare.

ABBIAMO EMARGINATO IL VERO DIO ACCUSANDOLO DEI NOSTRI PECCATI

Perché in questa Parabola del giudizio si ha sempre una posizione di sospetto e di paura? Perché si guarda alla figura dubbia e inquietante di chi tradisce e mai o quasi mai a chi viene premiato? Perché si ritiene protagonista l’ingiustizia e l’accusa invece che la giustizia e l’amore? Abbiamo tutti la coda di paglia e in fondo al cuore sappiamo bene di essere in colpa.

Siamo tutti egoisti, ricchi e stolti; e verso la comunità tutti fannulloni e mangiapane a tradimento. Siamo tutti costruttori di una falsa giustizia e tutti idolatri di un Dio a nostra misura. Abbiamo emarginato il vero Dio accusandolo… dei nostri peccati.

Fonte

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XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Mt 25, 14-30
Dal Vangelo secondo  Matteo

14Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. 15Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». 17Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». 18Ed egli disse: «Portatemeli qui». 19E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. 20Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. 21Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini. 22Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. 24La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. 27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 28Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». 29Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 19 – 25 Novembre 2017
  • Tempo Ordinario XXXIII
  • Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo A
  • Salterio: sett. 1

Fonte: LaSacraBibbia.net

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