Commento al Vangelo di domenica 15 Luglio 2018 – don Marino Gobbin

CRISTO, CENTRO DEL MONDO

Domenica per domenica, la liturgia ci presenta, nelle letture bibliche, i vari momenti della rivelazione, con la quale “Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé”. È quella che il Concilio chiama “economia della rivelazione”. Essa “avviene con eventi e parole intimamente connessi tra loro, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto” (Dei Verbum, 2).

Così, in questa domenica, nella 1ª lettura e nel Vangelo, le parole del profeta Amos, e soprattutto quelle di Gesù, s’inseriscono nel breve racconto; la 2ª lettura, che riporta l’inizio di una lettera di s. Paolo, è una stupenda meditazione dell’apostolo sul “mistero” della volontà di Dio che ha voluto farci suoi figli. Perché, continua il Concilio dopo il passo ora citato, “la profonda verità su Dio e sulla salvezza degli uomini, per mezzo di questa rivelazione risplende a noi nel Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione”.

Cristo “centro del genere umano”

Così si esprime ancora il Concilio dopo aver dichiarato l’unico scopo a cui mira la Chiesa: “che venga il regno di Dio e si realizzi la salvezza dell’intera umanità”. “La Chiesa è “l’universale sacramento della salvezza”, che svela e insieme realizza il mistero dell’amore di Dio verso l’uomo”. Queste affermazioni si leggono in quel documento conciliare che tratta della Chiesa nel mondo contemporaneo (Gaudium et Spes, 45); subito dopo si prenderanno in esame alcuni problemi più urgenti che assillano l’umanità d’oggi: dalla famiglia alla cultura, dall’economia alla politica, con un’attenzione estremamente concreta alla realtà. Ma tutto si riconduce a Cristo: “Infatti il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui l’uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il fine della storia umana, “il punto focale dei desideri della storia e della civiltà”, il centro del genere umano”.

Attenzione, dunque, a certe concezioni riduttive che vorrebbero chiudere la portata del messaggio cristiano in una liberazione puramente temporale, facendo di Gesù di Nazaret il profeta sollecito unicamente di instaurare un nuovo ordine sociale segnato dalla giustizia, dall’uguaglianza e dal benessere per tutti. Così facendo, non soltanto si rifiuta il Vaticano II, a cui pure ci si appella volentieri, ma si rifiuta la parola di Dio, la norma suprema e infallibile del nostro credere e operare. La pagina che abbiamo sentito leggere, dettata da s. Paolo in prigione, probabilmente a Roma, per le chiese dell’Asia minore, lo proclama nel modo più esplicito, con l’entusiasmo di chi contempla il disegno divino secondo un arco che, partendo da “prima della creazione del mondo”, raggiunge il suo vertice nell’incarnazione del Figlio di Dio e nella sua morte redentrice, per arrivare fino al momento in cui i salvati ricevono, nella “completa redenzione”, l’eredità preparata ai figli di Dio.

Tutto questo per dono di Dio, che realizza il suo disegno di salvezza nel suo Figlio Gesù Cristo. In lui Dio ci ha scelti, ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi. Figli di Dio, siamo impegnati ad “essere santi e immacolati… nella carità”.

“Predicavano… guarivano”

Il disegno divino di salvezza ci è presentato da Paolo, come s’è detto, in momenti successivi: la scelta, avvenuta “prima della creazione del mondo”, la redenzione, operata mediante il sangue di Cristo, l’opera della Chiesa, nella quale voi cristiani “dopo aver ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso”, fino al compimento nell’eredità eterna. Il cenno che troviamo in questa pagina sarà sviluppato e approfondito dall’apostolo in una meditazione sul “mistero” della Chiesa, di cui la liturgia ci presenterà qualche tratto nelle domeniche seguenti. Qui ci limitiamo all’opera della Chiesa quale ci viene richiamata dal Vangelo. Nell’Antico Testamento Dio aveva inviato a Israele i profeti – e la 1ª lettura ce ne presenta uno, Amos, respinto dal sacerdote che presiedeva al santuario di Betel, il centro religioso del regno d’Israele – così Gesù manda i Dodici. Amos è mandato da Dio a “profetizzare”, cioè a parlare in nome di lui, proclamare la sua legge, denunciare le ingiustizie e i soprusi perpetrati dai prepotenti a danno dei deboli, minacciare ai ribelli ostinati i castighi divini.

Così i Dodici, fedeli alla consegna ricevuta dal Maestro, “predicavano che la gente si convertisse”. Continuavano l’opera iniziata da Gesù quando inaugurò la sua missione nella Galilea “predicando il Vangelo di Dio e diceva… Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,14). È quello che la Chiesa deve fare e fa anche oggi e farà sempre. L’ordine dato allora da Gesù sarà ripetuto da lui solennemente nell’accomiatarsi dagli Undici: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15); “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20). Dirà Paolo: “Non è per me un vanto predicare il Vangelo, è un dovere per me: guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1 Cor 9,16).

Proprio riferendosi a questi passi della Bibbia, il Concilio afferma che “questo solenne comando di Cristo di annunziare la verità della salvezza, la Chiesa l’ha ricevuto dagli apostoli”. Tutta la Chiesa, tanto che, dopo aver detto che “a ogni discepolo di Cristo incombe il dovere di diffondere, per parte sua, la fede”, ne deduce l’obbligo di impegnarsi per l’apostolato missionario (Lumen Gentium, 17). È un dovere che incombe in primo luogo ai vescovi, successori degli apostoli, ai sacerdoti, “consacrati per predicare il Vangelo” (Lumen Gentium, 28). Il Concilio ricorda che anche i laici partecipano al sacerdozio profetico di Cristo, debbono evangelizzare, annunziare Cristo con la testimonianza della vita e con la parola; che, “anche quando sono occupati in cure temporali, possono e devono esercitare una preziosa azione per l’evangelizzazione del mondo” (Lumen Gentium, 35).

Testimoniare, evangelizzare, senza scoraggiarsi di fronte all’indifferenza, al rifiuto: “Se… non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro”. È un grave monito per chi non ascolta la Chiesa quando annunzia la parola di Dio. Per chi ne contrasta la missione o denigra sistematicamente coloro che parlano a nome della Chiesa, senza riguardo per la verità e la giustizia. È anche un avvertimento per quei “praticanti” che si ritengono buoni cristiani perché assistono a un “pezzo di Messa” con la precauzione di arrivare a predica finita.

“Diede loro potere sugli spiriti immondi”. Come Gesù scaccia i demoni, così vuole che la Chiesa lotti contro il male e colui che ne è l’istigatore, il demonio. La sera di Pasqua conferirà agli apostoli il potere di rimettere i peccati. La predicazione in tutte le forme, i sacramenti, l’esempio di una vita santa, sono armi con cui la Chiesa combatte ogni giorno contro il peccato. Anche oggi, quando è necessario, con tutta la prudenza che si richiede, è riconosciuto il ministero dell’esorcista che scaccia i demoni.

I Dodici “guarivano” gli infermi. La Chiesa non può essere indifferente alle sofferenze degli uomini, di cui le malattie sono esempio fra i più frequenti e vistosi. La “promozione umana”, dalla quale non può prescindere la Chiesa nel predicare il Vangelo, richiede anzitutto che ogni cristiano sia attento al prossimo che soffre, nel corpo e nello spirito, per qualsiasi motivo, si tratti di calamità naturali, o di mali sociali, sperequazioni, ingiustizie, oppressioni, o anche di colpa di colui stesso che soffre, che non può mai essere abbandonato al suo destino. Se Paolo, osserva s. Giovanni Crisostomo commentando la 2ª lettura, “coglie tutte le occasioni per mostrare, quando gli è possibile, l’amore inesprimibile che Dio ha per noi”, quest’amore dev’essere stimolo all’imitazione: “Se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (1 Gv 4,11).

Fonte

Tratto da “Omelie per un anno 1 e 2 – Anno A” – a cura di M. Gobbin – LDC

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XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

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Mc 6, 7-13
Dal Vangelo secondo Marco

7Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. 8E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; 9ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. 10E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. 11Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». 12Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, 13scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 15 – 21 Luglio 2018
  • Tempo Ordinario XV
  • Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo B
  • Anno: II
  • Salterio: sett. 3

Fonte: LaSacraBibbia.net

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