Commento al Vangelo del 9 Settembre 2018 – p. Raniero Cantalamessa

Effatà. Apriti!

Il brano evangelico ci riferisce una bella guarigione operata da Gesù:
“E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: Effatà, cioè: Apriti! E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente”.
Gesù non operava questi miracoli come chi aziona una bacchetta magica o fa schioccare le dita. Quel “sospiro” che si lascia sfuggire al momento di toccare gli orecchi del sordo, ci dice che si immedesimava con le sofferenze della gente, partecipava intensamente alla loro disgrazia, se ne faceva carico. In un’occasione, dopo che Gesù aveva guarito molti malati, l’evangelista commenta:
“Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (Matteo 8, 17).

Davanti a un sordo noi spesso facciamo dell’ironia, Gesù invece prova solidarietà e compassione. Già in questo troviamo un primo insegnamento. Non è in nostro potere dire ai sordi con cui viviamo o che incontriamo: “Effatà, apriti!” e ridare loro miracolosamente l’udito; ma c’è qualcosa che possiamo fare anche noi, ed è alleviare la sofferenza, educarci al rispetto, alla delicatezza nel trattare con chi è affetto da questa menomazione.
Quello di fare dell’ironia o di scherzare sulla sordità altrui deve essere un’abitudine antica quanto il mondo, perché già nell’Antico Testamento troviamo questo ammonimento: “Non disprezzerai il sordo, né metterai inciampo davanti al cieco” (Levitico 19, 14). Notava una persona affetta da sordità: “Un sordo non fa neanche compassione, anzi dà fastidio, stizza, perché costringe a ripetere più volte le stesse cose, e così si crea il distacco, l’emarginazione e quel tremendo ‘Hai capito, sì o no?’ che tanto ci intimidisce. Il sordo è isolato dal mondo delle persone”.
Non occorre aver studiato psicologia per capire quali sono le cose che possono far piacere o dispiacere a una persona sorda. L’accorgimento più elementare è di parlare chiaramente, con tono sostenuto, di fronte, in modo che si veda il movimento delle labbra e il gesto, cose che aiutano molto chi non ode bene. Se è necessario ripetere, farlo con dolcezza, senza dare segni di fastidio, e non con un tono ancora più basso della prima volta. Evitare di parlare con altri sottovoce in presenza del sordo, o di ammiccare dietro le spalle. La sordità porta già per sua natura la persona a sospettare che si parli male di lei e che la si prenda in giro. Quando il fatto di non sentire crea qualche equivoco nella conversazione, non enfatizzarlo per provocare l’ilarità, umiliando di più il povero sordo. Sono delicatezze umane e cristiane, quanto mai attuali. Chi non ha nella cerchia dei famigliari e conoscenti qualche persona affetta, in misura più o meno grave, da questo impedimento, specie tra gli anziani?

Ma questo non è la sola cosa che il Vangelo odierno ha da dirci circa la sordità. Perché gli evangelisti riportano, in questo caso, la parola di Gesù nella lingua originale? Effatà è parola aramaica, la lingua parlata da Gesù, anzi quasi il suo dialetto. È una di quelle parole (insieme con Abbà, Amen) che gli storici chiamano ipsissima vox, la voce spiccicata di Gesù. Sono le vere “reliquie” che ci restano di lui. Il motivo del rilievo dato a quella parola è che già la primitiva Chiesa aveva capito che essa non si riferiva solo alla sordità fisica, ma anche a quella spirituale. Per questo la parola entrò ben presto nel rituale del battesimo, dove è rimasta fino ai nostri giorni. Subito dopo aver battezzato il bambino, il sacerdote gli tocca gli orecchi e le labbra, dicendo: Effatà. Apriti!, intendendo dire: apriti all’ascolto della parola di Dio, alla fede, alla lode, alla vita.

Di colpo scopriamo così che il Vangelo di oggi non riguarda solo i sordi-sordi, ma anche i sordi-udenti, quelli che, al pari degli idoli, “hanno orecchi ma non odono; hanno occhi ma non vedono” (Salmo 115, 5-6). Anche il cuore ha i suoi orecchi per udire e i suoi occhi per vedere. Questo fa parte delle convinzioni umane più universali e si esprime anche in alcuni modi di dire correnti. Non diciamo noi di una persona che ha il cuore “aperto” o, al contrario, che è “sordo di cuore”?, che è “chiuso” a ogni compassione ?

Effatà. Apriti! è dunque un grido rivolto a ogni uomo (non solo al sordo) e a tutto l’uomo. Un invito a non chiudersi in se stesso, a non essere insensibile ai bisogni altrui; positivamente, a realizzarsi stabilendo rapporti liberi, belli e costruttivi con le persone, dando e ricevendo da loro. Applicato ai nostri rapporti con Dio, “apriti!” è un invito ad ascoltare la parola di Dio, trasmessaci dalla Chiesa, a fare entrare Dio nella propria vita. In questo senso, un’eco forte dell’Effatà di Cristo fu il grido che Giovanni Paolo II levò il giorno dell’inaugurazione del suo ministero pontificale: “Aprite le porte a Cristo!”.

San Paolo dice che “la fede nasce dall’ascolto della predicazione” (cfr. Romani 10, 17). Non c’è fede possibile senza questo ascolto profondo del cuore. Molti giustificano il fatto di non credere, dicendo che la fede è un dono ed essi, semplicemente, non hanno ricevuto questo dono. È vero, però prima di essere sicuri che si tratti proprio di questo, bisognerebbe chiedersi se si è mai davvero data a Dio la possibilità di parlarci. Se abbiamo mai detto, come Samuele: “Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta” (1 Samuele 3, 10).

A volte giova chiudere gli orecchi del corpo, per aprire meglio quelli dell’anima. Quella persona affetta da sordità, di cui parlavo sopra, diceva anche: “Vi sono ragazze che scelgono la clausura per vivere intensamente la vita e cercare l’eternità. La mia clausura è la sordità. Vivendo quotidianamente il silenzio, isolata dal mondo esterno, dai suoi rumori, dai tempi scanditi, ho raggiunto la serenità e la maturità della vita. L’Effatà di Gesù è già accaduto nella mia vita, perché mi ha aperto il cuore e la mente alla sua parola”. La sordità è diventata, per questa persona, una specie di clausura luminosa in cui, al riparo dal frastuono assordante della vita moderna, ha scoperto un mondo più vero e più bello. Su un altro piano, fu quello che avvenne anche a Beethoven, il più famoso dei sordi. Fu proprio dopo essere divenuto sordo che scrisse le sue melodie più belle, compreso l’inno alla gioia della Nona Sinfonia.
Ma non è detto che si debba passare per forza attraverso la sordità fisica, per scoprire questo altro mondo. Si può diventare sordi anche a scelta, dei sordi selettivi. La sordità selettiva consiste nello scegliere cosa ascoltare e cosa non ascoltare. Il martire antico sant’Ignazio di Antiochia raccomandava ai suoi fedeli: “Siate sordi quando qualcuno vi parla male di Gesù Cristo”. Noi possiamo aggiungere: siate sordi quando qualcuno vi parla male del prossimo. Siate sordi quando qualcuno vi adula o tenta di corrompervi con promesse di guadagni disonesti. Siate sordi quando la radio o il giradischi vi propone canzoni oscene e blasfeme, linguaggio scurrile e volgare.
Dobbiamo essere sordi, a volte, anche quando qualcuno ci offende o parla male di noi, lasciando cadere le parole nel vuoto, anziché sempre ribattere colpo su colpo. Un salmista diceva queste parole che la Chiesa ha applicato a Cristo sulla croce, che, insultato, non rispondeva con oltraggi: “Io, come un sordo, non ascolto e come un muto non apro la bocca; sono come un uomo che non sente e non risponde” (Salmo 38, 14). Quanti mali, specie in famiglia, si evitano in questo modo, lasciando cadere nel vuoto parole dette in un momento di ira, come se non si fossero ascoltate!

Raccogliamo dunque il suggerimento di quella nostra sorella sorda e facciamoci, anche noi, una nostra piccola clausura. Diventiamo sordi, per sentire meglio. Nel mondo in cui viviamo, questo sta diventando una necessità quasi fisiologica, se non vogliamo affogare nell’orgia di chiasso e di parole inutili che ci assedia da tutte le parti. Tra le forme di inquinamento ambientale si include ormai anche l’inquinamento da rumori. Un giorno Mosè disse al popolo: “Fa’ silenzio e ascolta, Israele” (Deuteronomio 27, 9). Noi diciamo: “Fa’ silenzio e ascolta, o cristiano!”.
Il brano evangelico odierno termina con questo elogio entusiasta che le folle fanno di Gesù:
“Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti”.

(Un predicatore, poverino, una volta si confuse e disse: “Ha fatto parlare i sordi e udire i muti”, che non è, evidentemente, un grande miracolo). Dopo quello che abbiamo detto, questo elogio può essere letto anche in questa forma: “Il Vangelo fa bene ogni cosa: fa sentire quelli che sono sordi, quando è bene ascoltare, e rende sordi quelli che ci sentono, quando è bene non udire”.

 

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