Commento al Vangelo del 7 febbraio 2016 – Paolo Curtaz

Il commento al Vangelo di domenica 7 febbraio 2016, a cura di Paolo Curtaz.

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Quinta Domenica del Tempo Ordinario

Lc 5, 1-11
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 07 – 13 Febbraio 2016
  • Tempo Ordinario V, Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo C | Anno II, Salterio: sett. 1

Fonte: LaSacraBibbia.net

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Catturare i vivi

Isaia si rende conto del suo limite, della sua incapacità nell’essere profeta.

Paolo, pensando alla sua storia, si rende conto di essere stato come un aborto, cioè una persona inadatta a testimoniare il Vangelo.

Pietro, profondamente colpito dalla pesca miracolosa, prende consapevolezza del suo peccato, allontana il Maestro cui, pure, ha imprestato la barca.

Il tema di questa domenica sembra proprio essere l’inadeguatezza del nostro ministero, l’abisso che separa l’enormità della Parola che annunciamo e la nostra incapacità nel viverla in maniera credibile. È un problema che, se volete, si trascina di anno in anno, di scandalo in scandalo, che ci inquieta e scoraggia, arrabbiare e riflettere.

Per quale misteriosa ragione Dio ha affidato alle nostre fragili mani la preziosa missione di annunciare il suo volto? Perché portiamo il tesoro del Vangelo in fragili vasi di creta?

Non è un suicidio comunicativo? Una errore clamoroso?

[ads2]Pietro e gli altri

I biblisti ci dicono che il racconto di Luca è un po’ stereotipato, diventa un modello di annuncio, una descrizione della vita della comunità che riceve l’annuncio dall’evangelista.

Gesù chiama alcuni pescatori a collaborare mentre sono sulla riva, alla fine dell’inutile giornata lavorativa. Sono lì che aggiustano le reti, le sistemano, e guardano con indifferenza la folla di perdi-tempo che si è radunata ad ascoltare il falegname che si immagina profeta.

È un giorno feriale, lavorativo.

Nessun ambiente sacro, all’orizzonte, nulla di particolarmente mistico.

E le persone coinvolte non appaiono troppo interessate, o preparate, o dotate di qualità particolari.

Sono solo pescatori cui Dio chiede in prestito una barca.

Così accade anche a noi oggi.

Dio ci chiama nel bel mezzo della quotidianità, nella povertà della mia comunità parrocchiale, nell’incedere noioso dei giorni che passano. Ed è lui a raggiungerci: noi cristiani non abbiamo bisogno di luoghi speciali per fare esperienza di fede o di giorni diversi dagli altri. Proprio nella fatica del lavoro che non ci da soddisfazione possiamo intravvedere il sorriso di Dio, proprio nella messa feriale frequentata da poche persone in una chiesa-garage delle nostre periferie, proprio alla fine di una giornata quando le cose da fare sono ancora tante e la tensione in casa palpabile e pesante.

È quando meno ce lo aspettiamo che Dio ci chiede di dargli una mano.

Siamo sempre pronti a pensare a Dio come uno che la mano ce la dà. Invece ce la chiede.

Buffo.

Imbarazzante.

Barche e pescatori

La barca, nei vangeli, ha sempre a che fare con la Chiesa, la rappresenta.

Nella barca si sta insieme, in uno spazio ristretto, poco sicuro. E qualcuno deve remare. E un altro deve tenere il timone e capire come fare per superare le onde più alte.

Ma sulla barca c’è Gesù. E sa bene in che direzione andare.

No, non lo so perché il Signore scelga discepoli fragili come noi. Non so perché insista a mettere insieme grano e zizzania, non so perché i discepoli, i Dodici in primis, siano stati scelti così goffi e incoerenti. Forse perché trasparisse con maggiore chiarezza che quella grazia che arriva al cuore degli altri non viene dalle nostre capacità o dalla nostra bravura, ma dalle labbra stesse di Dio.

Forse perché, come sperimenterà bene l’apostolo Paolo, nella nostra fragilità si manifesta in pienezza la potenza di Dio.

Non mi scandalizzo, non scherziamo.

Davanti agli scandali, davanti alle contraddizioni degli uomini di Chiesa, davanti alle periodiche frane che si abbattono sulla Chiesa. Ad opera di noi cristiani! E non mi scandalizzo nemmeno davanti alle mie contraddizioni.

Io che vorrei essere più capace, più degno, più santo. E che, invece, devo fare tutti i giorni i contri con la terra che amalgama il mio cuore. Sono addolorato, spiaciuto, questo sì, ma nulla di più.

E guardo la barca, piccolo guscio di noce, che avanza fra le tempeste della storia. E le violenze del mondo. E la modernità arrogante che ci mette all’angolo. E vedo che, nonostante duemila anni, nonostante noi cristiani, galleggia. Meglio: avanza.

Pescatori di uomini

Gesù non si spaventa del peccato di Pietro.

E del mio. E del tuo, amico lettore. Il peccato è la condizione necessaria per sperimentare la misericordia di Dio. E, perciò, per diventare capaci di compassione.

Siamo chiamati a diventare pescatori di uomini. Il verbo usato da Luca non è propriamente pescare ma catturare vivi, prendere per mantenere in vita (Nm 31,15.18; Dt 20,16; Gs 2,13; 6,24). E il mare, nella Bibbia, è il luogo del male, dove abitano le tenebre.

Siamo chiamati a tirare fuori dalla situazione di disperazione e di dolore, di scoraggiamento e di morte, quanti più uomini possibili, farli figli, condurli alla salvezza di Dio.

E lo possiamo fare perché abbiamo, noi per primi, sperimentato la bellezza della presenza di Dio, un Dio che ci chiede di collaborare, di prendere il largo, di aiutarlo, una volta salvati, ad indicare la salvezza.

Vi viene in mente qualcosa di più bello?

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