Commento al Vangelo del 5 Maggio 2019 – mons. Angelo Sceppacerca

Le apparizioni del Signore in mezzo ai suoi hanno a che fare col rapporto fra il vedere (sapere) e la fede (credere). Credere e sapere sono complementari. Certo, il credere va oltre il sapere, perché sulla base della fiducia accettiamo anche quello che non vediamo e non comprendiamo. Ma per credere, devo sapere a chi mi affido, devo percepire la realtà e la bellezza degli eventi e dei significati. Oggi, più che mai, la grande questione è proprio la fede.

La pesca è miracolosa non per la quantità di 153 grossi pesci pescati, ma perché, da soli, senza Gesù, i discepoli non avevano preso nulla. Solo quando il risorto ordina loro dalla riva: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”, la pesca sarà abbondantissima. Poi non accadono cose straordinarie, i discepoli ritrovano Gesù e mangiano insieme.

L’annuncio del Vangelo e tutta l’attività della Chiesa portano frutto solo perché Gesù è risorto e opera insieme con noi. Gesù non è solo un maestro che ci ha lasciato un bellissimo insegnamento e un meraviglioso esempio personale da imitare. È soprattutto il Salvatore che rende efficace il suo insegnamento e il suo esempio; ci attrae a sé con la grazia dello Spirito Santo e ci conduce alla vita eterna.

Gesù appare ai suoi e compie gesti che preparano il dono del primato a Pietro. Dalla risurrezione alla Chiesa. Non sembra stravolta la vita dei discepoli: pescatori erano, pescatori rimangono. Le difficoltà restano le stesse, infatti da soli non pescano nulla. Cambia solo la consapevolezza della presenza di Dio, di Gesù risorto, il Salvatore, nella propria vita. Pietro è il protagonista: lui decide e gli altri seguono. Ma il primo a riconoscere Gesù è il discepolo amato: “È il Signore!”.

Dalla tomba vuota all’incontro personale col risorto. Fino all’ultimo, Gesù sta in mezzo alla sua piccola comunità per prepararla alla missione e alle ostilità: deve seguire il Maestro e le tocca uguale destino. Dopo lo sbaraglio della croce gli apostoli sembrano tornati al loro mestiere di pescatori di pesci, un po’ dispersi e un po’ smarriti. Pietro è il primo a essere nominato. È lui che prende l’iniziativa della pesca, ma senza il risorto non prendono nulla.

All’alba, mentre i discepoli tornano stremati e delusi, Gesù va loro incontro, ma non lo riconoscono. Quando finisce la notte, viene il momento dell’intervento di Dio. Con parola autorevole il Signore comanda di gettare la rete dall’altra parte della barca. Non erano i pesci a essersi nascosti; è lui a portare un dono insperato dopo una notte di lavoro a vuoto.

Dopo il pasto con i discepoli, Gesù si rivolge a Pietro, chiedendogli una professione d’amore, per affidargli il suo gregge. Il pastore della Chiesa è il discepolo che ha un amore più grande di quello degli altri. Pietro non ha la presunzione di considerarsi migliore dei suoi amici. L’esperienza del rinnegamento gli è servita. Ora non si confronta più con gli altri, ma confessa con semplicità il suo amore per il Signore che lo costituisce pastore di tutto il gregge e gli predice la fine: in vecchiaia soffrirà la prigione e verserà il sangue imitando il suo Signore anche nel martirio.

Il Signore non chiede a Pietro se ama le pecore. È l’amore per Gesù la garanzia dell’amore per tutti gli uomini.

Mons. Angelo Sceppacerca

Fonte – Diocesi Triveneto

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