Commento al Vangelo del 4 Novembre 2018 – Don Gian Franco Brusa

Nel nostro prossimo il volto di Cristo

La domanda posta dallo scriba a Gesù traduce un problema assai dibattuto: l’individuazione di un comandamento principale, in grado di ricapitolare l’intera volontà di Dio espressa nella Scrittura. Erano infatti ben 613 i precetti a cui il pio israelita doveva prestare attenzione; di questi 365 negativi, corrispondenti ai giorni dell’anno e 248 positivi, corrispondenti alle parti che compongono il corpo umano. La domanda suppone che tali precetti non costituiscano una massa disordinata e senza unità interna, ma che tra essi esista un ordine gerarchico che, dal comandamento principale, onnicomprensivo, scaturiscano ulteriori esigenze. Gesù indica nell’amore verso Dio e il prossimo la prospettiva di fondo con cui vivere l’intera legge, l’anima da porre in ogni gesto, in ogni sentimento.

Il primo comandamento indicato da Cristo rimanda a un celebre testo dell’Antico Testamento (Dt 6,4ss) e precisamente allo Shemà Israel (ascolta Israele), che ogni pio israelita recitava come preghiera ogni mattina e ogni sera. Ad esso Gesù ne aggiunge un secondo e lo qualifica simile al primo: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (v 31). E anche questo comandamento era presente nell’AT (Lv 19,18). Gesù affida, dunque, la sua risposta a testi preesistenti, noti all’interlocutore. Verrebbe da dire che la sua risposta non rappresenti una novità. Invece, se prestiamo attenzione, le novità sono più d’una. La prima consiste nel fare dell’amore l’anima e il fine di tutto l’agire morale. Gesù indica come comandamenti principali l’amore per Dio e l’amore per il prossimo. La seconda sta nel significato che egli attribuisce alla parola «prossimo»: non semplicemente il familiare, il cittadino, il connazionale, il correligioso o il simpatizzante, ma chiunque abbia bisogno d’aiuto, anche lo straniero, lo sconosciuto. La terza novità, quella più grande, più evidente, consiste nell’avere congiunto i due comandamenti: l’amore per l’uomo è posto sullo stesso piano dell’amore per Dio; questo deve risultare inammissibile per l’interlocutore di Gesù. Il Maestro, infatti, sottolinea che la dimensione verticale della vita (rapporto con Dio) e quella orizzontale (rapporti con il prossimo) sono inseparabili, si completano e si vivificano reciprocamente. Nella capacità di mantenere questa unione si misura la vera fede. Dio e l’uomo: due strade che si intersecano; in un certo senso, si sovrappongono, costituendo l’una prova e verifica della serietà dell’altra.

Queste le indicazioni di Gesù, che non solo ha dato l’esempio, ma è arrivato a identificare l’amore verso di lui nell’amore verso il bisognoso. In lui si manifesta pienamente l’amore di Dio per l’uomo.

Vorrei concludere richiamando un celebre scritto di S. Teresa di Lisieux: «La carità mi diede la chiave della mia vocazione. Compresi che se la Chiesa aveva un corpo composto di membra diverse, non poteva mancare l’organo più necessario, il più nobile di tutti; compresi che la Chiesa aveva un cuore, e che questo cuore ardeva d’amore. Compresi che solo l’amore fa agire le membra della Chiesa; se l’amore si spegnesse, gli Apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue. Compresi che l’amore racchiude tutte le vocazioni: l’amore è tutto, abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi, in una parola l’amore è eterno. Allora, delirante di gioia, ho esclamato: Gesù amore!| Finalmente ho trovato la mia vocazione: la mia vocazione è l’amore. Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto, Dio mio, me l’hai dato».

Buona domenica

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