Commento al Vangelo del 31 marzo 2013 – Risurrezione del Signore – Paolo Curtaz

31 marzo 2013
Domenica di Pasqua – Risurrezione del Signore (Anno C)
At 10,34.37-43 / Sal 117 / Col 3,1-4 / Gv 20,1-9

Assenze

L’alba qui arriva presto, molto presto.
Il sole accarezza la bianca pietra della città vecchia; dalla grande finestra della mia camera vedo il brulicare delle persone che iniziano la giornata lavorativa dopo la pausa festiva infrasettimanale.
Facce assonnate ma passo svelto per andare incontro al giorno.
Centinaia di vite, di storie, di persone, di dolori, di speranze.
Un coacervo di razze e di religioni, di provenienze e di opinioni.
No, non è difficile immaginarsi come sono andate le cose quella mattina di aprile, qui a Gerusalemme.

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The end
La vicenda Nazareno si è chiusa brutalmente in mezzo all’indifferenza della gente.
L’idea del Sinedrio è stata giusta: arrestare il Rabbì di notte, fuori dalla città e condurlo davanti al consiglio del Sinedrio, radunato in tutta fretta, per comunicargli la sentenza del processo svolto nelle settimane precedenti, come prescrive la Legge. Il determinato Anna aveva ragione: la gente è troppo presa dalle festività di Pesah per accorgersi di ciò che sta per succedere. Solo l’odiatissimo Pilato, giunto nella città trasbordante di oltre centomila pellegrini per sovrintendere alla sicurezza, ha rischiato di mandare tutto all’aria, giocando coi Sommi sacerdoti come fa il gatto col topo. Ma solo il romano può condannare a morte il bestemmiatore: Roma si è riservata lo ius gladii e l’impostore va crocefisso perché tutti sappiano che è il maledetto. I suoi discepoli non faranno certo resistenza e la vicenda sarà dimenticata in pochi giorni.
Tutto sembra risolto: la gente comincia a portare le mercanzie e a piazzarsi nelle strada della città, commentando la buona riuscita della festa e vendendo qualche prodotto ai pellegrini che si preparano a rientrare. Pochi parlano di quello che è successo.
Nessuno nota quei due che sembrano avere una gran fretta dirigendosi verso il quartiere esseno, sulla collina di Sion, a ovest della città.

Non è qui
Tutto è iniziato da quella corsa.
Quella tomba vuota, ultimo drammatico regalo fatto a Gesù da parte del discepolo Giuseppe di Arimatea, ricco e potente, che non aveva potuto salvare dalla morte il suo Maestro, è rimasta lì, vuota, muta testimone della resurrezione.
Adriano, l’imperatore, dopo la distruzione del tempio nel 72 l’aveva fatta riempire di terra, ed era diventata, insieme alla cava in disuso, il terrapieno che sosteneva – ironia della sorte – il tempio pagano di Giove.
Aelia Capitolina, era stata ribattezzata la ribelle Gerusalemme, e, col nuovo assetto urbano da città romana, l’imperatore voleva spazzare via ogni memoria dei giudei e delle loro incomprensibili dispute. Tre secoli dopo la tomba fu riportata alla luce dalla devota regina Elena, madre del primo imperatore cristiano Costantino.
La tomba è ancora lì: vi hanno costruito sopra un’immensa basilica, è stata oggetto di pellegrinaggio per un millennio e mezzo, tentarono di distruggerla, pezzo per pezzo, a causa della furia di un sultano, Akim il folle, che – evidentemente – non conosceva il Corano.
Ora è ricoperta di marmi, la tomba, divisa e contesa (fragilità degli uomini) tra mille confessioni cristiane che ne rivendicano la proprietà, visitata ogni giorno da migliaia di pellegrini devoti o distratti. Poco importa.
È lì, quella tomba, esattamente lì dove la trovarono Pietro e Giovanni.
Ed è ancora vuota.

Egli è risorto
Tutta la nostra fede è basata sull’assenza di un cadavere.
La morte è stata sconfitta.
Il Dio nudo, appeso, osteso, evidente, il Dio sconfitto e straziato, il Dio deposto sulla fredda pietra non è più qui, è risorto.
Risorto. Non rianimato, non ripresosi, non vivo nel nostro ricordo e amenità consolatorie di questo genere. Gesù è il per sempre presente.
È qui.
Non corriamo dietro a favole o a illusioni ma ad una presenza che raggiunge ohni uomo.
Una presenza sottile, nuova, intensa che solo l’anima può cogliere.
Da duemila anni Pietro e Giovanni e gli altri continuano a raccontare la notizia: Gesù è risorto.
Con loro anche Francesco Papa.

Abbiamo invocato lo Spirito e lo Spirito ci ha ascoltato.
Pietro, il vescovo di Roma, ha conquistato il cuore di tutti in un attimo.
Con rispetto per le abitudini storiche ma determinato a puntare la barra della barca nella giusta direzione. E ricordando a tutti che non è il Papa il cuore della Chiesa, ma Cristo.
E Cristo oggi celebriamo risorto, insieme a Francesco, ricolmi di stupore e di gioia, increduli nel credere ancora nell’incredibile.

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