Commento al Vangelo del 31 Gennaio 2021 – Padre Giulio Michelini

L’insegnamento e l’autorità

La fretta per il Regno. La lettura che ascolteremo oggi dal Vangelo secondo Marco è parte di quella che viene comunemente definita la “giornata di Gesù a Cafarnao”, ovvero una raccolta di brevi episodi che vanno da Mc 1,21 fino a 1,34, e che appunto l’evangelista racchiude in una cornice di 24 ore. Si inizia con la preghiera del mattino in sinagoga, descritta dal v. 21 (preghiera celebrata ancora oggi dagli Ebrei, e che prevede la proclamazione della Torah, del Profeta e il successivo sermone tenuto dal rabbino), per arrivare al tramonto del sole, quando ormai, finito lo Shabbat, è permesso portare i malati davanti a Gesù. L’attività di Gesù è frenetica: non ha tempo se non per insegnare e per guarire. Quell’avverbio, “subito” (euthys, importantissimo per Marco), presente nei vv. 21.23.28, e addirittura 12 volte nel primo capitolo (45 nell’intero vangelo di Marco) dice la fretta di Gesù per il quale “il tempo è compiuto” (Mc 1,15): se il tempo è compiuto, non c’è tempo da perdere per mostrare come il Regno è arrivato tra gli uomini.

Gesù insegna con autorità. La prima carità che Gesù esercita, il primo miracolo che compie non è una guarigione o un esorcismo, ma l’insegnamento. Anzi, Marco presenta Gesù come un maestro, in proporzione, più degli altri vangeli: per 5 volte usa a suo riguardo la parola didachē (“insegnamento”), e per 10 volte lo chiama “maestro”, titolo riferito solo a lui. L’insegnamento è uno dei ministeri di cui parla Paolo nella Lettera ai Romani (12,7), ed è forse la carità di cui più abbiamo bisogno in tempi in cui è difficile trasmettere la fede.

Gli “altri”, a cui viene paragonato Gesù, sono gli scribi. Ma questi non hanno la sua stessa “autorità”: anche se non vengono disprezzati o diminuiti dall’evangelista, Marco sottolinea due volte (vv. 22 e 27) che egli insegna in modo molto diverso rispetto a questi. La differenza tra lui e gli altri “rabbini” potrebbe stare a due livelli. Il primo è quello dell’autorevolezza con cui Gesù dice le cose. Leggendo i testi della tradizione rabbinica, che sono stati raccolti a partire dalla caduta del secondo Tempio, nella seconda metà del I secolo d.C., si rimane colpiti sia dall’attaccamento alle “tradizioni degli antichi” (di cui parla anche Marco in 7,1-13), tramandate con una lunga catena di detti e di sentenze, ma soprattutto dal modo in cui queste sono elencate una dopo l’altra, come una raccolta di opinioni diverse ma dello stesso valore. La parola di Gesù invece ha un peso più grande: egli si rifà direttamente alla Legge e a Dio, e la sua parola non è mai solo un parere, ma qualcosa di più forte. Ma c’è di più, e siamo al secondo livello dell’autorità di Gesù. Le sue parole non sono semplicemente parole, ma compiono ciò che dicono. Egli è il “santo di Dio” (Mc 1,24), e perciò la sua autorità esprime il potere di Dio stesso: per questo insegna, esorcizza e guarisce, ma sempre attraverso una parola che libera e salva.

Gesù come Adamo. Quando l’uomo posseduto da un demonio sente la presenza di Dio in Gesù, ha paura. Dove c’è Dio con il suo regno, lì non c’è spazio per il male e le sue potenze: se ne devono andare. Gesù non lascia parlare lo spirito immondo: “Taci”, gli ordina. Gesù non vuole che Satana apra bocca, e non solo perché il diavolo è “menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44). Già era accaduto una volta che il serpente avesse parlato, ed ebbe inizio la triste storia del peccato dell’uomo: il serpente antico per tentare al male Adamo aveva infatti inculcato il veleno del dubbio in Eva: “È vero che…?” (Gen 3,1). Se allora fosse stato fatto tacere, Adamo avrebbe vinto la tentazione.

Nel Vangelo secondo Marco la cristologia è centrata sull’idea che Gesù è capace di recuperare la sorte del Primo uomo: qui, quando fa tacere il demonio, e anche nella scena del deserto, ovvero nel racconto della sua tentazione. Gesù viene “cacciato” in quel luogo (Mc 1,12) così come Adamo era stato “cacciato” dal paradiso (Gen 3,24), condividendone così la sventura, ma uscendo poi vittorioso dalla prova: al termine di essa, registra Marco, Gesù “stava con le fiere” (cioè di nuovo in pace con la creazione, come Adamo) “e gli angeli lo servivano” (cioè ricevendo lo stesso onore che, secondo una tradizione rabbinica, Dio aveva dato alla sua più bella creatura, l’onore di essere nutrito dagli spiriti buoni). Gesù, infine, appare nel Vangelo di Marco non come un bambino, come invece nei vangeli dell’infanzia di Matteo e di Luca, ma arriva sulla scena già adulto, uomo fatto, come anche Adamo è creato adulto.

La giornata di Cafarnao si svolge in un sabato, quel giorno in cui Dio si è riposato dopo aver creato l’uomo. In questo giorno Gesù può riportare alla sua originale bellezza il mondo, con la stessa parola creatrice che ha fatto l’universo, e che gli permette di esercitare la sua autorità forte; ma anche esercitando su quel giorno, il sabato, una speciale signoria. Il “Figlio dell’uomo”, come ascolteremo in un’altra domenica, è “Signore del sabato” (Mc 2,28).

Chi volesse maggiori informazioni su questa giornata, può vedere il recente volume di G. Michelini, Un giorno con Gesù. La giornata di Cafarnao secondo Marco, San Paolo 2015, con bibliografia aggiornata.

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