Commento al Vangelo del 30 agosto 2015 – Carla Sprinzeles

carla-sprinzeles

Oggi la liturgia ci propone una domanda: che importanza ha nella tua vita la legge?
Sembra una domanda fuori tempo, perché oggi noi avvertiamo poco il senso della legge.
Lo avvertiamo come un peso come un dovere da assolvere, neanche poi così importante se riguarda la fede, Dio.

DEUTERONOMIO 4, 1-2. 6-8
La prima lettura è tratta dal Deuteronomio, che è il quinto libro del pentateuco.
Mosè affida al suo popolo il suo testamento.
Egli tiene qui i suoi ultimi discorsi a Israele.
L’imperativo “ascolta” con cui si apre il nostro brano, non è una pretesa di Dio, ma una conseguenza di un amore che si preoccupa della felicità del suo popolo, a cui Dio si è legato con amore eterno.
Questa legge esprime la vicinanza di Dio.
La legge non è vissuta come una imposizione, ma come un’espressione di amore di un Dio che continua a camminare con il suo popolo.
Il popolo e anche noi oggi, sovente abbandoniamo la sorgente di acqua viva del suo amore, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non contengono acqua.
Molte volte presumiamo di realizzare noi stessi in antagonismo con Dio, nel rifiuto di lui, presumendo di farcela da soli o aggrappati a cose come il denaro, il potere e soccombiamo, costruiamo la nostra catastrofe.
Un bellissimo salmo 119 dice: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino.”

In questa “parola – comandamento” l’uomo trova la vera intelligenza e la vera sapienza e soprattutto scopre la vicinanza di Dio.
Il Signore non è da cercare in cieli lontani, ma nella sua parola: “lo cercherete nella sua dimora, nel luogo che egli avrà scelto tra le tribù per stabilirvi il suo nome, là andrete!”
La vera religione è, allora, la scoperta della vicinanza di Dio proprio nell’esistenza umana; splendida, infatti, è la domanda: “Quale nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi?”
Non ci rimane che accorgerci di questo nostro Dio vicino, che ci vuole felici e parlare con lui, consultarlo prima di prendere qualsiasi decisione e confidargli tutte le ansie del nostro cuore, sicuri di essere da lui ascoltati e sostenuti.

MARCO 7, 1-23
[ads2]Oggi si legge un brano del vangelo secondo Marco.
La gente ha sentito il messaggio liberatorio di Gesù e lo segue. “Si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme”.
Gesù è pericoloso, non è più un piccolo problema di una sola regione, la Galilea.
Questo flusso di gente che segue Gesù, preoccupa quella che era considerata la santa sede di allora, vengono gli scribi da Gerusalemme.
Gli scribi erano i teologi ufficiali, la cui sentenza aveva lo stesso valore della parola di Dio.
Qual è il grave problema?
“Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate…”
Nelle domeniche precedenti abbiamo visto che chi accoglie il pane, che è Gesù, e si fa pane per gli altri, diventa libero. Libertà e servizio sembrano due realtà contrapposte, la vera libertà dell’uomo non consiste nel comandare, nel dominare gli altri, ma nel mettere la propria vita al servizio degli altri.
Torniamo al motivo futile che hanno sollevato i farisei a Gesù e cerchiamo di capire in cosa consisteva.
Nell’antico testamento non c’era questo comandamento.
I farisei erano riusciti a inculcare alla gente, che quelle presrizioni di purezza rituale, che i sacerdoti osservavano nel tempio, durante quella settimana all’anno del loro servizio, doveva diventare una pratica abituale nella vita quotidiana di tutte le persone.
Attenzione che qui la questione non è di igiene, la trasgressione di questo comandamento prevedeva la pena di morte!
C’era tutto un rituale in cui venivano precisate tutte le prescrizioni: la qualità e la quantità dell’acqua, come si doveva versare in modo dettagliato!
Questa è la tradizione degli antichi.
Quindi i farisei e gli scribi accusano Gesù di permettere la vicinanza a Dio senza esigere queste particolari condizioni da loro osservate!
Ed ecco la risposta di Gesù: “Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti…”
Chi è l’ipocrita? E’ il teatrante, il commediante, chi recita una parte.
“Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me!”
Gesù si rifà a Isaia al cap. 29.
I farisei dicono che sono tradizione degli antichi e Gesù dice che non sono altro che precetti di uomini. Sono invenzioni degli uomini, non provengono da Dio.
I farisei onorano Dio in una maniera che a Dio non interessa assolutamente!
Il comandamento di Dio è l’amore al prossimo, ma questo a voi non interessa!
Contrabbandano come volontà divina le invenzioni umane.
Chiamata la folla Gesù, capendo che la questione è importante dice: “Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla che, entrando nell’uomo possa renderlo impuro!”
Qui si rivolge non solo al cibo, ma a situazioni della vita, il mondo per Gesù non è un nemico dell’uomo, dal quale si deve difendere, un pericolo per la relazione con Dio.
L’uomo non deve aver paura del contatto con le cose e con le persone: “Tutto è puro per i puri!”
Sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro.
Quindi è la mente, la coscienza che possono essere contaminate e impure!
Vediamo come siamo noi, rispetto a questo discorso.
Cosa può voler dire a noi? Se vogliamo essere perfetti umanamente, questo è ispirato dal nostro senso di onnipotenza, che non c’entra niente con l’amore di Dio, anzi è da sradicare!
Chi va a Messa per essere in regola, non fa nulla per avvicinarsi a Dio!
Se la religione è un sonnifero della coscienza, diventa un avvilimento dell’uomo.
Gesù propone il vero bene per l’umanità!
Non è quello che viene da fuori che ferisce la coscienza, bensì la negatività che invade il cuore.
Tuttavia, se uno sta male, non può far uscire da sé il bene.
Bisogna trasformare questo male in un bene attraverso un cammino di interiorità.
Amare è fare del bene. Chi non sta bene dentro di sé, può solo compiere gesti esteriori di beneficienza o di sottomissione alle regole, ma non può far star bene né se stesso né il fratello.
Sostituire un percorso risanante con l’obbedienza ossessiva alle regole aumenta il male, perché violenta o assopisce la coscienza.
Non sono le cose esteriori che possono salvare o contaminare: tutto dipende dall’interiorità e dalla coerenza con la propria responsabilità.
Solo il contatto con il Padre, nell’interiorità, permette all’amore di esprimersi anche attraverso la negatività, dandole il suo vero significato di situazione da risanare con l’amore.
Spero che siamo riusciti a comprendere che l’importante è la coscienza e soprattutto vivere in simbiosi col Padre che ci ama e che vuole che noi amiamo chi ci è vicino.
Curiamo il nostro interno, lasciamoci scaldare dall’amore premuroso del Padre, un abbraccio a tutti e alla prossima settimana!

A cura di Carla Sprinzeles | via Qumran

Read more

Local News