Commento al Vangelo del 3 Maggio 2020 – don Giovanni Berti (don Gioba)

Immunità di gregge, una delle tante espressioni semisconosciute in passato che in questo periodo di emergenza sanitaria sono diventate famose. Quando in un contesto umano viene raggiunta la cosiddetta “immunità di gregge” rispetto ad una certa malattia contagiosa, significa che c’è una determinata percentuale di persone che non può ammalarsi e tanto meno contagiare, e così chi è contagioso non viene a contatto, se non con una probabilità bassissima, con persone che si possono ammalare perché non immuni. E così l’epidemia si spegne.

È la parola “gregge” che mi ha fatto pensare, perché rimanda all’immagine usata nel Vangelo di questa domenica. Gesù con il suo discorso sul recinto delle pecore si rifà alla tradizione ebraica del popolo visto come un gregge di pecore guidato da pastori inviati da Dio a difenderlo e farlo prosperare. Gesù evidenzia subito che il pericolo per il gregge non sta principalmente nella fragilità delle singole pecore, ma dal fatto che non sono ben custodite e che coloro che dovevano farlo in realtà non sono interessati al bene del gregge. A questo punto Gesù stesso si propone come il vero custode, usando l’immagine della porta e più avanti (ma non in questo pezzo del Vangelo scelto dalla liturgia) del buon pastore. Gesù è come una porta che custodisce le pecore e che poi si apre per dare la giusta direzione al gregge. Gesù è anche il pastore che ha come unica motivazione il bene per il gregge cosi come per ogni singola pecora che lo compone.

Mi affascina questa idea del gregge che emerge dalle parole di Gesù. Ho sempre pensato che essere dentro un gregge fosse segno di limitazione della libertà, una esperienza di vita negativa da cui fuggire. La libertà dell’individuo è opposta alla mentalità del gregge che impone spazi comuni di vita, direzioni uguali per tutti, tempi e modi di vita decisi dall’alto e non da me. Non voglio vivere in un gregge umano che è come quello delle pecore marchiate in qualche modo per poterle riconoscere e distinguerle da altri greggi di altri padroni.

Eppure proprio in questi giorni così difficili l’essere parte di un gregge sta assumendo un significato diverso e positivo, e per niente contrapposto alla mia sete di libertà e ai diritti della mia individualità.

Gesù ha uno sguardo positivo e anche realistico sulla vita delle persone e dei credenti. Tutti viviamo in un contesto di relazioni forti e interdipendenti. Viviamo in un contesto che ci mette insieme in spazi, tempi, azioni che ci legano in modo molto stretto. Gesù vede l’umanità come un immenso gregge di persone che come pecore vivono in un recinto, il mondo, e anelano a vivere ed essere felici. Il guardiano del gregge è Dio che conosce ogni singola pecora-persona per nome in una relazione singolare intima. Gesù dice che ogni singola pecora conosce la voce del suo guardiano e pastore. Ed è da questa conoscenza profonda che dipende la vita e la libertà della singola pecora e poi del gregge. Se non conoscesse la voce del suo custode, di colui che solo può condurla alla vita, rischierebbe di cadere nelle mani di chi invece la vuole solo sfruttare, e alla fine il gregge si disperde. Nell’immagine del Vangelo c’è il giusto equilibrio tra la libertà del singolo e l’esperienza di gruppo, perché ogni pecora è conosciuta e amata dal pastore che la custodisce, ma fa parte anche di un gregge che si muove insieme e trova la sua forza e vita proprio nell’unità e nella reciproca interdipendenza. Il gregge di Dio che è l’umanità è un luogo di libertà personale nell’esperienza dell’essere unito, solidale e nella comune direzione verso il bene, verso il vero pascolo di vita e felicità per tutti. Nessuno si salva ed è felice da solo!

In questi giorni abbiamo imparato, o stiamo imparando, che siamo tutti parte di un’unica famiglia, o usando le parole del Vangelo (in modo positivo) di un unico gregge. Abbiamo in comune spazi di vita e anche desideri comuni, condividiamo fragilità e paure, e nessuno può fare a meno dell’altro. Abbiamo imparato anche a spese di sofferenze e lutti, che nessuno può tirarsi fuori dalla propria responsabilità, sapendo che ogni nostra azione ha una conseguenza piccola o grande per gli altri, nel male come nel bene.

Siamo un unico gregge dentro il quale possiamo vivere la nostra libertà, che non è fare come se non ci fosse nessun altro se non il singolo, ma è scegliere di essere un bene o un male per l’altro, anche se non lo conosciamo direttamente.

Abbiamo davvero bisogno a questo punto di un pastore che davvero ci custodisca, di uno che si prenda cura di noi singolarmente e nell’insieme, che non sia guidato da interessi se non quello di volerci liberi e felici, singolarmente e insieme. Abbiamo bisogno di conoscere la parola giusta che ci guidi e la direzione giusta, la porta giusta.

Quella di Gesù è la voce da seguire. Gesù è la porta ed è anche la direzione giusta da seguire se vogliamo la felicità di tutti. Gesù è il pastore che ci custodisce in ogni nostra vita personale e insieme.

Siamo un gregge che pian piano riscopre la bellezza di prendersi cura gli uni degli altri sull’esempio di Colui che sempre si prende cura di noi singolarmente.

Non so quando e come raggiungeremo l’immunità di gregge dal punto di vista sanitario per questo virus, e per questo aspettiamo con ansia il vaccino.

So che il Vangelo, se iniziamo a viverlo fino in fondo noi cristiani a cui è stato iniettato con il Battesimo, farà crescere proprio in noi quella immunità di gregge umano che ci farà vincere i virus della disperazione, della solitudine e della divisione. Questa immunità si chiama anche in altro modo: carità, quella di Cristo.

Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)


Read more

Local News