Commento al Vangelo del 29 ottobre 2017 – Mons. Alberto Albertazzi

Gesù riafferma il primato di Dio

Non tutte le domande sono di pari intelligenza. Ve ne sono di goffe e di ottuse, come quella dei sadducei relativa alla risurrezione di una signora sette volte vedova, pietosamente omessa dalla liturgia domenicale. Si compie quindi una falcata dalla questione del tributo a Cesare al più importante comandamento. Si fa avanti un dottore della legge di ampie vedute, che desidera elevare il tono del battibecco su temi centrali, e allora scocca la richiesta: «Maestro, nella legge, qual è il grande comandamento?». È una domanda che redime almeno in parte i suoi colleghi, avvezzi a discettare di questioni marginali. Gesù dimostra di avere gradito questa domanda e il commento alla sua risposta, tanto da congedare l’interlocutore con un promettente commiato: «Non sei lontano dal regno di Dio» (Mc 12,34).

Gesù non deve farsi venire l’emicrania per rispondere. Pilucca infatti la risposta nella preghiera aurea del giudaismo (cfr Dt 6,5): «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente». È la solita storia della monaca di Monza (siamo nei Promessi sposi), scomparsa dalla circolazione perché morta e sepolta vicino a casa: invece di cercare lontano conviene scavare vicino. È un po’ come se Gesù avesse voluto dire al dottore della legge: «Non scervellarti per cercare una risposta che sai benissimo, perché la reciti tre volte al giorno nella preghiera». Il più grande comandamento si aderge verso Dio, prescrivendo per lui un amore totalizzante, che impegna cuore, anima e mente: si noti il puntiglio di quel «tutto/a» ribadito ogni volta. Il Deuteronomio è meno cerebrale e più bicipitoso, perché invece di mente ha forze. L’amore per Dio deve quindi coinvolgere le facoltà interiori dell’uomo – cuore e anima – ed esprimersi vigorosamente. Non dunque un «dolce stil novo», ma un vigoroso amore, quale è dovuto a un Dio dalla mano schiacciante (cfr 1Pt 5,6). Luca (10,30), nel passo più o meno parallelo, fa raccolta intera dei requisiti, facendo puntigliosamente dire a Gesù «con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente». Alcune di queste componenti antropologiche si pestano i piedi. Non andiamo a cercare le sfumature differenziali fra cuore, anima e mente. Il concetto è chiaro: l’intera persona umana è ingaggiata nell’amore a Dio. E siccome Dio è l’«essere perfettissimo, creatore e signore del cielo e della terra» – come recitava un catechismo presessantottino – quello che ne impone l’amore non può non essere il “grande comandamento”.

Ma una parola tira l’altra. Visto che si sta parlando di amore, perché non tirare in ballo anche il secondo comandamento che gli è parente? Così Gesù lo sciorina dicendolo simile al primo: «Amerai il prossimo tuo come te stesso». Anche in questo complemento Gesù non è autonomo. Cita infatti il più specialistico libro dell’Antico Testamento, il Levitico (19,18), un barboso codice sanitario e di sacrestia di altri tempi, ma non privo di perle quali la norma di amore verso il prossimo che Gesù rammenta. Insomma questi due comandamenti, che rastremano in sé quelli del classico decalogo (cfr. Es 20; Dt 5), disciplinano l’amore di cui l’uomo deve essere capace. È ovvio che il primato va riconosciuto a Dio, ma non dev’essere sottovalutato il prossimo, che s’ha da amare come se stessi. In realtà non tutti si autoamano. Il suicida infatti, per il fatto stesso di essere tale, dimostra di essersi amato ben poco. E allora Gesù, solito a levigare il dato anticotestamentario (cfr Mt 5,27-48), fa esplodere verso l’alto il «come» equativo del secondo comandamento. Non più soltanto «ama il prossimo tuo come te stesso», ma «amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12). E se a qualcuno venisse voglia di misurare lo spessore di questo «come» potenziato, Gesù lo accontenta subito: «Nessuno ha amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). E così dicendo diventa autobiografico, perché è esattamente ciò che ha fatto.

In questo discettare di amore il verbo greco è agapào, relativamente raro nella letteratura classica ma usuale nel Nuovo Testamento, che lo preferisce a philèo. Radicalizzando, potremmo dire che il primo è amore che non fa distinzione fra amici e nemici (cfr Mt 5,43-48), mentre il secondo suppone reciprocità. Gustoso è lo sfiorettare con questi due verbi fra Gesù e Pietro dopo la pesca miracolosa (cfr Gv 21,15-17), ove Gesù sfida Pietro e colpi di agapào e ottiene in risposta dei scialbi philèo. Tanto che in ultima battuta Cristo si adegua pateticamente al philèo petrino, intimandogli un perentorio «seguimi». Ossia: hai ancora della minestra da mangiare!

Fonte

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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

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XXX Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Mt 22, 34-40
Dal Vangelo secondo  Matteo

34Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 29 Ottobre – 04 Novembre 2017
  • Tempo Ordinario XXX
  • Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo A
  • Salterio: sett. 2

Fonte: LaSacraBibbia.net

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