Commento al Vangelo del 29 Novembre 2020 – P. Osorio Citora Afonso

“Vegliate, perché non sapete quando è il momento”

La venuta del Signore, la sua conseguente attesa e l’impellente esortazione a vegliare sono delle tematiche circoscritte nelle Letture di questa prima domenica di Avvento (Adventus = venuta). Per la prima lettura, tale venuta, cioè il ritorno del Signore, è una richiesta del profeta Isaia: “ritorna per amore dei tuoi servi”; per il Vangelo, invece, la venuta è una certezza, anche se non se ne conosce il momento; perciò, il Signore esorta a vegliare: “fate attenzione: vegliate, perché non sapete il momento”. Paolo, nella prima Lettera ai Corinzi, ci esorta ad essere attenti e vigilanti per custodire i doni e i carismi con cui siamo stati arricchiti: il dono della parola e della conoscenza. È con questi doni che dobbiamo attendere la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo.

Ritorna, Padre e redentor, noi siamo argilla opere delle tue mani

Il profeta Isaia, nella prima lettura, che è un testo di lamentazione e supplica, fa una impressionante conclusione carica di grande valore: “noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani”. Parlando dell’argilla, il profeta ci riporta alle origini della creazione, precisamente in Gn 2,7, quando l’uomo fu tratto dalla polvere della terra, modellato da Dio proprio come la creta nelle mani di un artigiano, creando così l’idea della dipendenza dell’uomo da Dio, suo creatore e modellatore. Inoltre, quest’immagine dell’argilla ricorda anche la fragilità dell’uomo che si allontana da Dio. Qualcuno mi diceva che: “mi colpisce molto come Isaia sottolinea che Dio è padre che plasma che ci dà forma; e non importa che ci siamo allontanati da Lui, rimaniamo sempre opera delle Sue mani … è un Dio che ci tocca con le sue mani …. un Dio che è sempre il nostro papà”. Infatti, l’autore afferma per ben due volte: “tu sei nostro padre”. Nella lamentazione e supplica, il profeta parla di tale fragilità del popolo che viveva nel luogo del peccato, dell’infedeltà, dell’ingiustizia, dell’indifferenza verso Dio e le sue proposte d’amore. Il profeta ne è consapevole e confessa: “abbiamo peccato, siamo stati ribelli…nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per ristringersi a te”.

Anche noi viviamo una situazione simile: ci siamo allontanati da Dio, creando in noi stessi l’idea di egoismo e di autosufficienza, di coloro che cercano di costruire un mondo senza Dio, nel contempo, dimenticando che siamo argilla (fragilità = anche un virus è stato capace di lasciare in ginocchio l’intera umanità e l’intero sistema economico), ma soprattutto siamo opere delle mani del Signore.  Dobbiamo dunque, come il profeta, ricordarci che Dio, nella storia del popolo, intervenne sempre con la sua mano misericordiosa. Così allora preghiamo come lui: “Signore, nostro padre e redentore, ritorna per amore dei tuoi servi”. Oppure come il salmista orante che dice: “risveglia la tua potenza e vieni a salvarci … Dio degli eserciti ritorna”.

Se si pensa bene, come mi hanno fatto notare, l’argilla, come terra, prende forma solo se si impasta con qualcos’altro diverso da lei: l’acqua e prende forme diverse a seconda della fantasia dell’artigiano.

Ricordiamoci che dipendiamo dal Signore e chiediamo che il Signore ritorni per plasmarci di nuovo e farci nuova creatura. L’Avvento (la venuta del Signore), in questa perspettiva, è l’attesa del Signore che vieni per farci sua nuova creatura, per ristabilire una nuova alleanza, risollevandoci e riscattandoci dalla situazione di peccato e di allontanamento da lui: lasciando le vie dell’egoismo e dell’autosufficienza, tornando alle vie di Dio e dell’Alleanza. In ciò sta la ragione dell’impellente esortazione a vegliare.

State in guardia: vegliate!

In questa attesa della venuta del Signore, il nostro redentore, goel cioè colui che riscatta, che ci solleva e che ci farà nuove creature, Gesù, nella pagina del Vangelo di Marco, ammonisce l’uomo a vegliare affinché, attendendo quel giorno della venuta o del ritorno, egli non sia colto all’improvviso. Ecco perché, l’Evangelista Marco mette in rilievo, per ben tre volte, quest’impellente esortazione: “state in guardia: vegliate”. Gesù comincia ad ammonire i suoi uditori, in maniera incalzante, unendo l’esortazione “state in guardia” con il martellante verbo “vegliare” all’imperativo: “state in guardia: vegliate!”.

Usando il verbo “stare in guardia, fare attenzione”, Gesù richiama alla concentrazione, alla messa a fuoco e allo sguardo attento. È un monito a non essere superficiali e distratti. L’uomo, nei nostri giorni, sopraffatto da tanta distrazione e preoccupazione, corre il rischio di vivere la vita nella superficialità. Così, Gesù ci richiama allo sguardo attento, concentrato sulla realtà umana e cristiana ad essere capace di distinguere le diverse proposizioni che la società ci offre e, di conseguenza, saperne fare un discernimento: “stiamo in guardia”.  Se, in un primo momento, Gesù richiama alla concentrazione, in un secondo, Egli esorta a vegliare, a non dormire, a stare svegli, a non lasciarsi schiacciare dal sonno. Molti cristiani, infatti, vivono addormentati e di conseguenza vivono una realtà indebolita. Gesù ci vuole sempre vigili: sia che vegliamo, sia che dormiamo. Lo stare attento e il vegliare sono atteggiamenti necessari per la lotta e “la vita cristiana è una lotta, un combattimento contro l’intontimento spirituale, il letargo della consapevolezza, l’assopimento della convinzione nella fede, il raffreddamento della carità”, come ha ben detto Enzo Bianchi.

Com’è ben noto, nella narrazione evangelica, l’invito a vegliare occasiona il racconto della parabola in cui il figlio dell’uomo viene paragonato ad un padrone che ha lasciato la sua casa, dopo avere distribuito ai suoi servi i rispettivi compiti, ed è partito in viaggio. Se nel Vangelo si parla dei compiti e delle responsabilità affidate ai servi, Paolo, nell’Epistola odierna, parla dei doni e dei carismi con cui ciascuno di noi è stato arricchito. Si tratta dei doni della parola e della conoscenza, si tratta della conoscenza di Dio e della capacità di trasmetterla attraverso la nostra testimonianza di vita.

La veglia del discepolo missionario

In questa settimana di inizio del periodo di Avvento cerchiamo dunque di stare attenti e vegliare sul grande dono, che ci è stato elargito, della conoscenza di Dio. Sapendo che, in linguaggio biblico, conoscere vuole dire avere un rapporto ed una esperienza profonda che è frutto dell’ascoltare e del vedere. Vegliamo sul nostro conoscere Dio, siamo consapevoli come il profeta e diciamo “siamo argilla e opere delle Tue mani”. Di conseguenza, vegliamo sul nostro trasmettere questa conoscenza, attraverso la testimonianza con la nostra vita.

Concludo con una bella testimonianza che mi è stata raccontata: “ nel Vangelo prima di vegliare siamo invitati ad osservare… quando tutto sembra andare male arriva il Figlio dell’uomo e accade qualcosa di straordinario, mi ritornano alla mente i miei due parti… arrivi ad un punto che non ce la fai più , che ti sembra di non avere più la forza di continuare … ed è proprio in quel momento che nasce il bambino… che nasce qualcosa di nuovo  … quasi che per far nascere qualcosa di nuovo debbano venire un po’ meno le nostre forze per lasciare spazio ad altre forze creatrici… Guardiamo questo tempo in cui siano stanchi, addormentati,  con poche prospettive, come il tempo giusto per non opporre resistenza, per lasciarci plasmare per vegliare e scrutare le cose importanti …. Portiamo la nostra attenzione su cosa vogliamo far nascere di nuovo”.


Per gentile concessione del sito consolata.org

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