Commento al Vangelo del 27 maggio 2018 – Figlie della Chiesa

Lo Spirito, luce di sapienza, ci riveli il mistero del Dio trino ed unico, fonte d’eterno amore. Così canta ogni giorno la Chiesa che all’inizio della celebrazione odierna rivolge al suo Signore questa bellissima preghiera: O Dio Padre, che hai mandato nel mondo il tuo Figlio, Parola di verità, e lo Spirito santificatore per rivelare agli uomini il mistero della tua vita, fa’ che nella professione della vera fede riconosciamo la gloria della Trinità e adoriamo l’unico Dio in tre persone.

La festa della Santissima Trinità è un ringraziamento a Dio per il “mistero della sua vita” che Egli non solo ha voluto rivelarci ma in cui veniamo immersi per esserne partecipi e vivere, già da questa vita terrena, in Dio. Così riconoscere la gloria della Trinità e adorare l’unico Dio in Tre persone è riconoscere l’ambito divino della nostra stessa esistenza, la sua consistenza, il suo senso ultimo e primo.

Chi è Dio? È una domanda che attraversa la storia dell’umanità da sempre. Dio “non lo si vede” e molti preferiscono non credere o non porsi il problema. Per alcuni, ciò che sanno dalla storia è sufficiente per negare Dio. Altri sono convinti che è giusto negare ciò che non è verificabile, secondo i metodi della scienza. La Chiesa rispetta la libertà di ciascuno mentre riconosce a se stessa la stessa libertà di continuare fedelmente, con semplicità e gioia, ad annunciare il Vangelo di Dio, cioè la bella notizia che Dio stesso ha voluto rivelare a noi il suo mistero, facendosi uomo.

Dopo la celebrazione annuale della nascita, morte, risurrezione e ascensione al cielo di Gesù, e dopo aver ricevuto nuovamente, domenica scorsa il dono dello Spirito Santo promesso, in questa domenica, la Chiesa si sofferma con testi brevissimi sul mistero della vita intima divina a noi rivelato. Mistero che non si impone come una regola matematica ma si offre come credibile alla nostra ragione, e soprattutto si propone alla nostra fede per essere accolto e “riconosciuto”, perché di questo mistero siamo immagine.

Riconoscere e adorare il mistero della vita di Dio significa scoprire chi siamo veramente, qual è il segreto della nostra stessa esistenza. Ecco come lo dice ancora la Chiesa nella sua preghiera: “O Dio altissimo, che nelle acque del Battesimo ci hai fatto tutti figli nel tuo unico Figlio, ascolta il grido dello Spirito che in noi ti chiama Padre, e fa’ che obbedendo al comando del Salvatore, diventiamo annunziatori della salvezza offerta a tutti i popoli”.

Contemplare Dio nel mistero della sua vita significa scoprirci in Gesù, figli del Padre nostro che sta nei cieli, e riconoscere con immensa gratitudine che nel più intimo di noi stessi lo stesso Spirito di Dio ci mette in relazione con Lui, perché come ci ricorda San Paolo “noi non abbiamo ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma abbiamo ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio” (II Lettura).

Già Mosè, nel capitolo del libro del Deuteronomio che viene proclamato nella prima lettura, ci ricorda che il nostro Dio non è un Dio lontano. È un Dio che parla e agisce. Un Dio che mentre si rivela, ci fa capire chi siamo noi, e come possiamo agire per essere felici: “Si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu? … Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te” (I Lettura).

Ed è soprattutto nella proclamazione evangelica degli ultimi versetti del Vangelo di Matteo il luogo dell’annuncio esplicito e glorioso del nome misterioso e trino del nostro Dio Padre, Figlio, Spirito Santo. Su questi pochi versetti (Mt 28, 16-20) si sofferma ora la nostra attenzione.

v.16: In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. In quel tempo: questa introduzione liturgica nel testo originale ha un “invece” che qui viene omesso. Possiamo tuttavia ricordare che nei versetti precedenti Matteo aveva narrato la vicenda dei soldati, posti a custodia del sepolcro di Gesù. Essi avevano visto l’angelo scendere dal cielo e srotolare la pietra che era stata posta a chiusura del sepolcro, ne erano rimasti tramortiti ed erano quindi andati a raccontare l’accaduto agli anziani. E da essi avevano ricevuto del denaro con l’ingiunzione di non riferirlo ad altri e di inventarsi una menzogna.

Gli undici discepoli andarono: Mentre dunque i soldati, testimoni di un evento misterioso, se ne vanno a diffondere il falso, i discepoli che non hanno visto, ma hanno solo sentito il racconto fatto dalle donne, sulla loro parola, si mettono in viaggio. Possiamo vedere in questo il dinamismo della speranza, del piccolo gruppo spaurito dei dodici cui ora ne manca uno. Da questi undici Gesù vuole ripartire. A questi undici affiderà l’evangelizzazione del mondo.

In Galilea sul monte che Gesù aveva loro indicato: l’appuntamento di Gesù è su un monte della Galilea. Il Tabor? Il “monte” delle Beatitudini? Matteo non lo dice. Il monte è spesso luogo della teofania e Gesù amava ritirarsi sul monte a pregare. Il monte qui potrebbe anche indicare che il cammino che resta da compiere ai discepoli è un cammino in salita. Essi hanno bisogno di ritrovare se stessi e Gesù in un luogo a parte, in alto, per poi ridiscendere e portare l’annuncio a tutte le nazioni cui saranno mandati. Anche l’indicazione della Galilea ha un messaggio da dare. Sappiamo che le testimonianze evangeliche qui differiscono. Per alcuni tutto si risolve a Gerusalemme (Luca, Marco). Per altri Gesù sceglie la Galilea come secondo luogo della sua manifestazione postpasquale (Giovanni, Matteo) e della sua ascensione al cielo (Matteo). Dalla Galilea i discepoli erano partiti: lì hanno conosciuto Gesù, lì hanno ricevuto il primo invito a seguirlo. La Galilea rappresenta quindi per loro un ritorno alle sorgenti, dove tutto si invera. È giusto che lì ricevano ora il mandato missionario. La Galilea, infatti, chiamata Galilea delle genti, è già, in piccolo, il simbolo della vocazione universale del Vangelo.

v.17: Quando lo videro, si prostrarono. Gesù è già lì. Li ha preceduti. Egli, l’atteso delle genti, colui che era venuto dopo il Battista, è ora passato avanti e diventa la guida del suo popolo nel cammino verso il Padre. D’ora innanzi, ovunque i discepoli arriveranno, Gesù li precederà. Essi lo vedono e si prostrano. Salutano con il gesto dell’adorazione, che sembra in netto contrasto con ciò che subito Matteo aggiunge:

Essi però dubitarono: nella vecchia traduzione si leggeva alcuni però dubitarono. La nuova, più fedele al testo greco dice essi. Tutti sono attraversati dal dubbio. Non basta vedere Gesù. Forse si stanno ingannando, stanno sognando, forse, come quella volta sul lago, credono di vedere un fantasma. Tutti gli evangelisti ci parlano di questa incredulità dei discepoli. Gesù li deve rimproverare (Marco); Luca e Giovanni ci riferiscono anche l’amorevole comprensione che Gesù ha per questi dubbi dei suoi e di Tommaso in particolare. “Perché siete turbati e perché sorgono dei dubbi nel vostro cuore? Guardate, toccatemi, sono proprio io … Un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho … Metti qui il tuo dito … tocca le mie ferite e non essere più incredulo ma credente”. Matteo non dice alcuna di tali parole ma riferisce un gesto di Gesù che le riassume tutte:

v.18. Gesù si avvicinò: Gesù si fa vicino. Si fa vicino a quanti stanno dubitando di lui. Questo è il nostro Dio. Lo aveva detto anche Mosè nella prima lettura. Il nostro è un Dio che si è fatto vicino e che sempre si fa vicino. Come si era chinato sul malcapitato ferito sulla via che scende da Gerusalemme a Gerico, Gesù, buon samaritano, si china sulle ferite del nostro cuore e mostra le sue ferite gloriose che ne sono la medicina.

E disse loro: A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra: Nessun rimprovero nelle sue parole. Gesù si presenta vittorioso, e questa sua vittoria è la prima medicina per il cuore dubbioso dei discepoli. Già udire la sua voce è un balsamo. Perché è proprio la sua voce: A me egli dice e loro non possono più dubitare che Colui che sta loro davanti sia il loro Maestro. Così è stato nel racconto della pesca sul lago raccontata da Giovanni: appena odono la sua voce capiscono che è il Signore. Ora proprio del Signore si tratta. Suo è il potere e la gloria nei secoli. Lo ha ricevuto da Dio. Il passivo “a me è stato dato” viene considerato un passivo divino. Non dagli uomini ma dal cielo egli ha ricevuto il potere e questo potere si estende a tutto l’universo. Ha così termine il potere del principe di questo mondo. Colui che era stato ucciso, la cui fine era apparsa come battaglia perduta e tragico fallimento che aveva fatto morire anche l’ultima illusione ora si presenta come il vero vincitore. Queste parole fanno risorgere la speranza mentre nel cuore rinasce anche la fede dei discepoli. E Gesù continua, offrendo ai discepoli una seconda medicina, per curare ora il loro rimorso, il ricordo pungente della loro debolezza:

v.19 Andate dunque: Gesù li manda, come già li aveva mandati quando era ancora con lui. Dunque si fida di loro. Sono ancora i suoi. Possiamo solo immaginare quanto questa iniezione di fiducia abbia potuto sanare il cuore confuso del misero gruppo di discepoli che nel momento della prova erano fuggiti e che erano rimasti increduli anche dopo l’annuncio della risurrezione del loro maestro.

E fate discepoli tutti i popoli: è un ordine inaudito. Non tanto per il campo smisurato della missione che viene loro affidata ma per la rivelazione di Dio che essa contiene: Dio è il Dio di tutti i popoli e tutti i popoli sono chiamati alla fede in Lui, a diventare discepoli come lo sono loro. Il Dio d’Israele è il Dio di tutti i popoli. Lo dirà esplicitamente Paolo scrivendo ai Romani: Per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore abbiamo ricevuto la grazia dell’apostolato per ottenere l’obbedienza alla fede da parte di tutte le genti (Rm 1,15) … Il Vangelo rivelato ora e annunciato mediante le Scritture per ordine dell’Eterno Dio, a tutte le genti perché obbediscano alla fede (Rm 16,26). Sì, il vangelo va annunciato a tutti perché Cristo Gesù ha dato se stesso in riscatto per tutti (1 Tim 2,26) e Dio nostro salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità (1 Tim 2,4). Il nostro Dio, infatti, è Uno solo, Padre di tutti, al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti (Ef 4,6).

Battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: com’è possibile fare discepoli tutti i popoli? Immergendoli nel mistero stesso di Dio. Ecco perché vanno battezzati. Ecco cosa significa essere battezzati. E qui viene aperta la porta del mistero di Dio: nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Fate questo dice Gesù ai suoi, battezzate tutti i popoli, aprite a tutti la porta del mistero di cui io vi ho dato la chiave, donandovi lo Spirito Santo. Non fate come i farisei che non sono entrati ed hanno impedito agli altri di entrare. Il mistero della Trinità al culmine del Vangelo di Matteo viene presentato come la dimora del credente, il suo ambiente di vita, immerso nel quale potrà vivere della vita stessa di Dio. Il battesimo è questa porta della fede che immerge nel mistero stesso di Dio.

v.20. Insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato: La Parola e il sacramento si esprimono nella vita nuova del cristiano, nel comandamento nuovo di Gesù che rende possibile amare Dio e amare il prossimo come siamo stati amati noi stessi da Dio.

Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo: dopo la missione Gesù rassicura ulteriormente i suoi discepoli. Lo aveva già detto loro prima di morire: tornerò, non vi lascerò orfani, vado e torno. Ora eccolo, ha mantenuto la promessa e la estende a tutte le generazioni di apostoli che seguiranno: fino alla fine del tempo presente. Sempre, ogni giorno.

Appendice

“La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine. Questo piano scaturisce dall’amore nella sua fonte, cioè dalla carità di Dio Padre. Questi essendo il principio senza principio da cui il Figlio è generato e lo Spirito Santo attraverso il Figlio procede, per la sua immensa e misericordiosa benevolenza liberatrice ci crea ed inoltre per grazia ci chiama a partecipare alla sua vita e alla sua gloria; egli per pura generosità ha effuso e continua ad effondere la sua divina bontà, in modo che, come di tutti è il creatore, così possa essere anche «tutto in tutti» (1Cor 15,28), procurando insieme la sua gloria e la nostra felicità. Ma piacque a Dio chiamare gli uomini a questa partecipazione della sua stessa vita non tanto in modo individuale e quasi senza alcun legame gli uni con gli altri, ma di riunirli in un popolo, nel quale i suoi figli dispersi si raccogliessero nell’unità”. (Dal decreto conciliare Ad Gentes, n.2)

Signore nostro Dio, crediamo in te, Padre e Figlio e Spirito Santo. Perché la Verità non avrebbe detto: Andate, battezzate tutte le genti nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28,19), se Tu non fossi Trinità. Né avresti ordinato, Signore Dio, che fossimo battezzati nel nome di chi non fosse Signore Dio. E una voce divina non avrebbe detto: Ascolta Israele: Il Signore Dio tuo è un Dio Unico (Dt 6,4), se Tu non fossi Trinità in tal modo da essere un solo Signore e Dio. E se Tu fossi Dio Padre e fossi pure il Figlio tuo Verbo, Gesù Cristo, e il Vostro Dono lo Spirito Santo, non leggeremmo nelle Sacre Scritture: Dio ha mandato il Figlio suo (Gal 4,4; Gv 3, 17), né Tu, o Unigenito, diresti dello Spirito Santo: Colui che il Padre manderà in mio nome (Gv 14, 26) e: Colui che io manderò da presso il Padre Gv 15,26).

Dirigendo la mia attenzione verso questa regola di fede, per quanto ho potuto, per quanto tu mi hai concesso di potere, ti ho cercato ed ho desiderato di vedere con l’intelligenza ciò che ho creduto, ed ho molto disputato e molto faticato. Signore mio Dio, mia unica speranza, esaudiscimi e fa’ sì che non cessi di cercarti per stanchezza, ma cerchi sempre la tua faccia con ardore (Cf. Sal 70, 5; 90, 9; 104, 4; 1 Cr 16, 11).

Dammi Tu la forza di cercare, Tu che hai fatto sì di essere trovato e mi hai dato la speranza di trovarti con una conoscenza sempre più perfetta. Davanti a Te sta la mia forza e la mia debolezza: conserva quella, guarisci questa. Davanti a Te sta la mia scienza e la mia ignoranza; dove mi hai aperto, ricevimi quando entro; dove mi hai chiuso, aprimi quando busso. Fa’ che mi ricordi di te, che comprenda te, che ami te. Aumenta in me questi doni, fino a quando Tu mi abbia riformato interamente. (Sant’Agostino, De Trinitate, cap. 15,28.51)

La fede trinitaria

Crediamo in un solo Dio, unico principio, privo di principio; increato, ingenito, indistruttibile e immortale, eterno, immenso, non circoscritto, illimitato, d’infinita potenza, semplice, non composito, incorporeo, immutabile, impassibile, immobile e inalterabile; invisibile, fonte d’ogni bontà e giustizia, luce intellettuale e inaccessibile, potenza incommensurabile, misurata dalla sua volontà (infatti, può tutto ciò che vuole [Sal 134,6], fondatrice di tutte le cose sia di quelle visibili che delle invisibili, conservatrice di tutto, provvidente per tutto, contenente e reggente tutto, avente su tutto un regno perpetuo e immortale.

[Crediamo in un solo Dio] al quale nulla si oppone, che riempie tutte le cose senza essere da nessuna circoscritto; anzi, egli stesso tutto circoscrive, tutto contiene e a tutto provvede, che penetra tutte le sostanze lasciandole intatte al di là di tutte le cose, trascendente ogni sostanza, soprasostanziale e superiore a ogni cosa; superiore per divinità, bontà, pienezza; un Dio che stabilisce tutti i poteri e tutti gli ordinamenti, mentr’egli si pone al di sopra d’ogni ordinamento e d’ogni potere; più alto per essenza, vita, parola, intelligenza; un Dio che è la luce stessa, la bontà stessa, la vita stessa, l’essere stesso: egli non riceve, infatti, da nessun altro né l’essere proprio né quello di alcuna delle cose che esistono, ma, anzi, è lui stesso la fonte dell’essere, per tutto ciò che è; della vita, per tutto ciò che vive; della ragione, per tutte le creature che ne fanno uso.

[Crediamo in un solo Dio] che è causa d’ogni bene per tutte quante le cose, che prevede tutto prima che avvenga; unica sostanza, unica divinità, unica potenza, unica volontà, unica attività, unico principio, unica potestà, unica signoria, unico regno.

[Crediamo in quest’] unico Dio conosciuto nelle tre perfette persone e venerato con un unico atto di culto, oggetto di fede e di adorazione da parte di ogni creatura razionale; e queste persone sono unite senza mescolanza o confusione e separate (ciò che trascende ogni intelletto) senza alcuna distanza: nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, nel nome dei quali siamo anche stati battezzati. Infatti, così il Signore comandò agli apostoli di battezzare, quando disse: Battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28,19).

Crediamo nell’unico Padre, principio e causa di tutto, non generato da nessuno, unico salvatore non causato e ingenito; creatore di tutte le cose; Padre, per natura, del suo unico Figlio unigenito, e Dio, il nostro Gesù Cristo, e produttore del Santissimo Spirito.

Crediamo, altresì, nel Figlio di Dio unigenito, Signore nostro, generato dal Padre prima di tutti i secoli; luce da luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; consustanziale con il Padre; per il quale tutte le cose sono state fatte [è la professione di fede nicenocostantinopolitana]…

Allo stesso modo, crediamo anche nello Spirito Santo, Signore, vivificante, che procede dal Padre e risiede nel Figlio; che, insieme con il Padre e il Figlio è adorato e conglorificato, essendo consustanziale ed eterno come loro; Spirito di Dio, giusto, sovrano; fonte di sapienza, di vita e di santità; che è ed è chiamato Dio con il Padre e il Figlio; increato, perfetto, creatore, che governa tutte le cose, creatore di tutto, onnipotente, potenza infinita che comanda a tutto il creato, senza essere sottoposta all’autorità di nessuno; che divinizza, senza essere divinizzato; che riempie, senza essere riempito; che è partecipato, ma non partecipa; che santifica, ma non è santificato; Paraclito, poiché accoglie le invocazioni di tutti; simile in tutto al Padre e al Figlio; procedente dal Padre, viene concesso attraverso il Figlio ed è ricevuto da ogni creatura. (Giovanni Damasceno, Esposizione della fede ortodossa, 1,8)

Basta la fede

Il mare è grande. Se vuoi scandagliarlo, verrai travolto dall’impeto delle sue onde. Un’onda sola può strapparti via e sbatterti contro uno scoglio. Ti basti, o debole uomo, poter dedicarti ai tuoi commerci su una piccola nave. Ma la fede è meglio, per te, che una nave sul mare. Questa infatti è retta dai remi, tuttavia i flutti la possono far affondare; ma la tua fede non affonda mai, se la tua volontà non lo vuole. Come sarebbe desiderabile per il marinaio regolar il mare a proprio volere! Ma in un modo egli la pensa, e in altro modo agisce l’onda. Solo nostro Signore dominò il mare, tanto che quello tacque e si placò. Ma egli ha dato anche a te il potere di dominare, come lui, un mare, e di rabbonirlo.

L’investigare è più amaro del mare, e il questionare è più tempestoso delle onde. Se si abbatte sul tuo spirito il vento della cavillosità, dominala, e appiana le sue onde! Come la burrasca mette sossopra il mare, così i cavilli conturbano il tuo spirito. Nostro Signore domina, il vento cessa e la nave scivola in pace sulle onde. Domina lo spirito capzioso, raffrenalo, e la tua fede sarà in pace. A ciò dovrebbero indurti anche le creature di cui conosci l’uso. Per esempio, tu non sei in grado di chiarire le sorgenti, pur tuttavia non smetti di bere da loro. E per il fatto poi di aver da loro bevuto, tu non pensi certo di averle comprese. Anche di comprendere il sole tu non sei in grado, pur tuttavia non ti sottrai alla sua luce. E per il fatto che questa scende a te (con i suoi raggi) tu non ti cimenti certo di salire verso la sua altezza. L’aria è per te un pegno, ma quanto essa sia estesa, tu non lo sai. Dalle creature tu ricevi un aiuto e un’utilità limitati, e tuttavia lasci che il loro tesoro sconosciuto giaccia nel forziere. Non ti vergogni di ciò che è da meno, e non desideri ciò che è da più.

Queste opere del Creatore, dunque, ti insegnano come comportarti col Creatore stesso: che devi, cioè, cercare il suo aiuto, ma devi anche tenerti lontano dal sofisticare sopra di lui. Accogli la vita dalla Maestà, ma non questionare su questa Maestà. Ama la bontà del Padre, ma non indagare la sua essenza. Ama e apprezza la mitezza del Figlio, ma non investigare sulla sua generazione. Ama il soffio dello Spirito Santo, ma non tentare di scandagliarlo. Il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo si sono manifestati col loro nome. Il loro nome pondera, dunque, ma non indagarne le personalità. Se tu vuoi perscrutarne l’essenza, sei perduto; se credi nei nomi, vivrai. Il nome del Padre sia per te una barriera: non oltrepassarla, cercando di scandagliare la sua natura. Il nome del Figlio sia per te una muraglia: non superarla, cercando di scandagliare la sua generazione. Il nome dello Spirito Santo sia per te una siepe: non scervellarti per comprenderlo.

Questi nomi siano dunque per te la barriera e con questi nomi allontana ogni investigazione. Hai udito i nomi e la loro realtà: volgiti ai comandamenti. Hai udito la legge e i comandamenti: rivolgiti allora ai tuoi costumi. E quando i tuoi costumi sono perfetti, rivolgiti alle promesse. Non trascurare i comandamenti per applicarti a ciò che non è prescritto. Hai avuto esperienza della verità con realtà manifeste, non perderti per realtà che sono nascoste.

La verità è descritta in poche parole, non instaurare su di essa lunghe ricerche. Che il Padre è, ciascuno lo sa; ma come egli è, non lo sa nessuno. Che il Figlio è, noi tutti lo ammettiamo; ma la sua essenza e la sua bontà, non riusciamo a concepirla. Ognuno riconosce lo Spirito Santo, nessuno osa scandagliarlo. Ammetti dunque che il Padre esiste, ma non ammettere che sia comprensibile. Credi che il Figlio esiste, ma non credere che sia investigabile. Ritieni per vero che lo Spirito Santo esiste, ma non ritener per vero che possa esser conosciuto a fondo. Che essi sono uno, credilo e ritienilo vero; non dubitare però che essi siano tre.

Credi che il Padre è il primo, ritieni per vero che il Figlio è il secondo; non dubitare che lo Spirito Santo è il terzo. Mai il primogenito domina sul Padre, perché questi è il dominatore. Mai lo Spirito Santo manda il Figlio, perché questi è colui che lo manda. Il Figlio, che siede alla destra, non si arroga mai il posto del Padre, come lo Spirito Santo non si arroga il ruolo del Figlio, da cui viene mandato. Il Figlio gioisce per la sublimità di generato, e lo Spirito Santo gioisce per la sublimità di amato dal Padre. Solo gioia e concordia, unione e ordine dominano lassù. Il Padre conosce la generazione del Figlio, e il Figlio conosce il cenno del Padre; il Padre accenna, il Figlio comprende, lo Spirito Santo esegue. Là non vi è divisione, perché vi è un solo dovere; là non vi è confusione nell’unione, ma l’ordine più sublime. La loro unione non è confusione, la loro distinzione non è separazione. Il modo poi, in cui essi sono distinti e uniti, lo conoscono essi solo. Tu, rifugiati nel silenzio! (Efrem Siro, La fede, 2,3-6)

E’ un grande momento di gioia e di comunione quello che viviamo questa mattina, celebrando il Sacrificio eucaristico. Una grande assemblea, riunita con il Successore di Pietro, formata da fedeli provenienti da molte nazioni. Essa offre un’immagine espressiva della Chiesa, una e universale, fondata da Cristo e frutto di quella missione, che, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, Gesù ha affidato ai suoi Apostoli: andare e fare discepoli tutti i popoli, «battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,18-19). Saluto con affetto e riconoscenza il Cardinale Angelo Scola, Arcivescovo di Milano, e il Cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, principali artefici di questo VII Incontro Mondiale delle Famiglie, come pure i loro Collaboratori, i Vescovi Ausiliari di Milano e tutti gli altri Presuli. Sono lieto di salutare tutte le Autorità presenti. E il mio abbraccio caloroso va oggi soprattutto a voi, care famiglie! Grazie della vostra partecipazione!

Nella seconda Lettura, l’apostolo Paolo ci ha ricordato che nel Battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito Santo, il quale ci unisce a Cristo come fratelli e ci relaziona al Padre come figli, così che possiamo gridare: «Abbà! Padre!» (cfr Rm 8,15.17). In quel momento ci è stato donato un germe di vita nuova, divina, da far crescere fino al compimento definitivo nella gloria celeste; siamo diventati membri della Chiesa, la famiglia di Dio, «sacrarium Trinitatis» – la definisce sant’Ambrogio –, «popolo che – come insegna il Concilio Vaticano II – deriva la sua unità dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Cost. Lumen gentium, 4). La solennità liturgica della Santissima Trinità, che oggi celebriamo, ci invita a contemplare questo mistero, ma ci spinge anche all’impegno di vivere la comunione con Dio e tra noi sul modello di quella trinitaria. Siamo chiamati ad accogliere e trasmettere concordi le verità della fede; a vivere l’amore reciproco e verso tutti, condividendo gioie e sofferenze, imparando a chiedere e concedere il perdono, valorizzando i diversi carismi sotto la guida dei Pastori. In una parola, ci è affidato il compito di edificare comunità ecclesiali che siano sempre più famiglia, capaci di riflettere la bellezza della Trinità e di evangelizzare non solo con la parola, ma direi per «irradiazione», con la forza dell’amore vissuto.

Chiamata ad essere immagine del Dio Unico in Tre Persone non è solo la Chiesa, ma anche la famiglia, fondata sul matrimonio tra l’uomo e la donna. In principio, infatti, «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi» (Gen 1,27-28). Dio ha creato l’essere umano maschio e femmina, con pari dignità, ma anche con proprie e complementari caratteristiche, perché i due fossero dono l’uno per l’altro, si valorizzassero reciprocamente e realizzassero una comunità di amore e di vita. L’amore è ciò che fa della persona umana l’autentica immagine della Trinità, immagine di Dio. Cari sposi, nel vivere il matrimonio voi non vi donate qualche cosa o qualche attività, ma la vita intera. E il vostro amore è fecondo innanzitutto per voi stessi, perché desiderate e realizzate il bene l’uno dell’altro, sperimentando la gioia del ricevere e del dare. E’ fecondo poi nella procreazione, generosa e responsabile, dei figli, nella cura premurosa per essi e nell’educazione attenta e sapiente. E’ fecondo infine per la società, perché il vissuto familiare è la prima e insostituibile scuola delle virtù sociali, come il rispetto delle persone, la gratuità, la fiducia, la responsabilità, la solidarietà, la cooperazione. Cari sposi, abbiate cura dei vostri figli e, in un mondo dominato dalla tecnica, trasmettete loro, con serenità e fiducia, le ragioni del vivere, la forza della fede, prospettando loro mete alte e sostenendoli nella fragilità. Ma anche voi figli, sappiate mantenere sempre un rapporto di profondo affetto e di premurosa cura verso i vostri genitori, e anche le relazioni tra fratelli e sorelle siano opportunità per crescere nell’amore.

Il progetto di Dio sulla coppia umana trova la sua pienezza in Gesù Cristo, che ha elevato il matrimonio a Sacramento. Cari sposi, con uno speciale dono dello Spirito Santo, Cristo vi fa partecipare al suo amore sponsale, rendendovi segno del suo amore per la Chiesa: un amore fedele e totale. Se sapete accogliere questo dono, rinnovando ogni giorno, con fede, il vostro «sì», con la forza che viene dalla grazia del Sacramento, anche la vostra famiglia vivrà dell’amore di Dio, sul modello della Santa Famiglia di Nazaret. Care famiglie, chiedete spesso, nella preghiera, l’aiuto della Vergine Maria e di san Giuseppe, perché vi insegnino ad accogliere l’amore di Dio come essi lo hanno accolto. La vostra vocazione non è facile da vivere, specialmente oggi, ma quella dell’amore è una realtà meravigliosa, è l’unica forza che può veramente trasformare il cosmo, il mondo. Davanti a voi avete la testimonianza di tante famiglie, che indicano le vie per crescere nell’amore: mantenere un costante rapporto con Dio e partecipare alla vita ecclesiale, coltivare il dialogo, rispettare il punto di vista dell’altro, essere pronti al servizio, essere pazienti con i difetti altrui, saper perdonare e chiedere perdono, superare con intelligenza e umiltà gli eventuali conflitti, concordare gli orientamenti educativi, essere aperti alle altre famiglie, attenti ai poveri, responsabili nella società civile. Sono tutti elementi che costruiscono la famiglia. Viveteli con coraggio, certi che, nella misura in cui, con il sostegno della grazia divina, vivrete l’amore reciproco e verso tutti, diventerete un Vangelo vivo, una vera Chiesa domestica (cfr Esort. ap. Familiaris consortio, 49). Una parola vorrei dedicarla anche ai fedeli che, pur condividendo gli insegnamenti della Chiesa sulla famiglia, sono segnati da esperienze dolorose di fallimento e di separazione. Sappiate che il Papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica. Vi incoraggio a rimanere uniti alle vostre comunità, mentre auspico che le diocesi realizzino adeguate iniziative di accoglienza e vicinanza.

Nel libro della Genesi, Dio affida alla coppia umana la sua creazione, perché la custodisca, la coltivi, la indirizzi secondo il suo progetto (cfr 1,27-28; 2,15). In questa indicazione della Sacra Scrittura, possiamo leggere il compito dell’uomo e della donna di collaborare con Dio per trasformare il mondo, attraverso il lavoro, la scienza e la tecnica. L’uomo e la donna sono immagine di Dio anche in questa opera preziosa, che devono compiere con lo stesso amore del Creatore. Noi vediamo che, nelle moderne teorie economiche, prevale spesso una concezione utilitaristica del lavoro, della produzione e del mercato. Il progetto di Dio e la stessa esperienza mostrano, però, che non è la logica unilaterale dell’utile proprio e del massimo profitto quella che può concorrere ad uno sviluppo armonico, al bene della famiglia e ad edificare una società giusta, perché porta con sé concorrenza esasperata, forti disuguaglianze, degrado dell’ambiente, corsa ai consumi, disagio nelle famiglie. Anzi, la mentalità utilitaristica tende ad estendersi anche alle relazioni interpersonali e familiari, riducendole a convergenze precarie di interessi individuali e minando la solidità del tessuto sociale.

Un ultimo elemento. L’uomo, in quanto immagine di Dio, è chiamato anche al riposo e alla festa. Il racconto della creazione si conclude con queste parole: «Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò» (Gen 2,2-3). Per noi cristiani, il giorno di festa è la Domenica, giorno del Signore, Pasqua settimanale. E’ il giorno della Chiesa, assemblea convocata dal Signore attorno alla mensa della Parola e del Sacrificio Eucaristico, come stiamo facendo noi oggi, per nutrirci di Lui, entrare nel suo amore e vivere del suo amore. E’ il giorno dell’uomo e dei suoi valori: convivialità, amicizia, solidarietà, cultura, contatto con la natura, gioco, sport. E’ il giorno della famiglia, nel quale vivere assieme il senso della festa, dell’incontro, della condivisione, anche nella partecipazione alla Santa Messa. Care famiglie, pur nei ritmi serrati della nostra epoca, non perdete il senso del giorno del Signore! E’ come l’oasi in cui fermarsi per assaporare la gioia dell’incontro e dissetare la nostra sete di Dio.

Famiglia, lavoro, festa: tre doni di Dio, tre dimensioni della nostra esistenza che devono trovare un armonico equilibrio. Armonizzare i tempi del lavoro e le esigenze della famiglia, la professione e la paternità e la maternità, il lavoro e la festa, è importante per costruire società dal volto umano. In questo privilegiate sempre la logica dell’essere rispetto a quella dell’avere: la prima costruisce, la seconda finisce per distruggere. Occorre educarsi a credere, prima di tutto in famiglia, nell’amore autentico, quello che viene da Dio e ci unisce a Lui e proprio per questo «ci trasforma in un Noi, che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia “tutto in tutti” (1 Cor 15,28)» (Enc. Deus caritas est, 18). Amen. (Papa Benedetto XVI, Omelia del 3 giugno 2012)

Fonte: Figlie della Chiesa

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IX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Domenica della Santissima Trinità – ANNO B

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Battezzate tutti i popoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 28,16-20

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.
Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Parola del Signore

Fonte: LaSacraBibbia.net

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