Commento al Vangelo del 27 Giugno 2021 – don Giovanni Berti (don Gioba)

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I care

“Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande “I care”. E’ il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore”. E’ il contrario del motto fascista “Me ne frego”…”

Così scriveva don Lorenzo Milani, giovane prete fiorentino morto a 44 anni il 26 giugno 1967.

La scuola di cui don Lorenzo scrive si trova a Barbiana, un paesino sperduto sulle colline toscane, dove il giovane parroco era stato in qualche modo “esiliato” dal suo vescovo. In questo posto sperduto lui invece trova il luogo ideale dove mettere in pratica fino in fondo il Vangelo, in modo concreto e vero, cioè prendendosi cura dei più dimenticati tra i giovani. Il suo metodo educativo come maestro era proprio quello di prendersi cura di tutti, a cominciare proprio da quei ragazzi che secondo la società erano incapaci di apprendere ed erano scartati. A don Lorenzo stavano a cuore tutti, e insegnava a fare altrettanto, con una scuola che educava ad essere cittadini che si sentono responsabili del bene comune e specialmente dei più deboli.

Il racconto del Vangelo questa domenica ci presenta ancora una volta Gesù alle prese con le povertà e le sofferenze di chi gli sta vicino e incontra per strada. L’evangelista ci racconta come Gesù non rimane indifferente alle sofferenze proprio di chi è più scartato, come erano le donne malate del suo tempo.

Troviamo due racconti di guarigione intrecciati insieme, quello della bambina malata che poi muore e che Gesù resuscita, e il racconto della donna adulta malata da anni di una malattia che la rendeva maledetta.

Mi colpisce come Gesù in mezzo alla folla sente quel tocco carico di speranza della donna malata. Lei tocca solo un lembo del mantello cercando un minimo contatto che possa guarirla. Ma Gesù pur stretto dalla folla e da mille tocchi, lo sente perché avverte la forza del suo amore che esce da lui, e non vuole che quel contatto rimanga superficiale. A Gesù importa di questa donna e vuole che senta non solo il corpo guarire ma anche la sua anima. Gesù non se ne frega dei lamenti, ma semmai se ne frega della superficialità di chi lo vorrebbe tenere separato dai più poveri per farlo rimanere sul trono della fama. Gesù se ne frega persino delle critiche e delle beffe che si fanno di lui quando arriva nella casa di Giairo che lo ha chiamato per la figlioletta malata e poi morta. Il Maestro e Signore vuole entrare in quella stanza di dolore insieme ai genitori della bambina e porta con sé i discepoli perché imparino cosa significa “prendersi cura” per davvero delle sofferenze umane.

In questo tempo di distanziamento sanitario ci sembra quasi “fantascienza” questo continuo toccare e farsi toccare di Gesù, e del suo voler entrare fisicamente in contatto con le persone per guarirle. Ci stiamo così abituando alle relazioni “on-line” e a distanza che rischiamo di rimanere sempre a distanza anche con il cuore da chi sta male e da chi è disagiato. Ma la lezione di Gesù, ripresa anche 60 anni fa da don Milani con il suo “I care”, ci porta a superare le divisioni del cuore e a smettere di tenere le distanze dell’amore.

“I care”, cioè “mi importa… mi interessa”, deve diventare anche il nostro stile cristiano di relazione con la vita e gli altri. Anche rimanendo distanziati e con tutte le precauzioni sanitarie, anche comunicando via telefono o computer, possiamo lo stesso far sentire la nostra vicinanza e toccare il cuore di chi soffre, proprio come Gesù ha fatto.


Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)