Commento al Vangelo del 26 Maggio 2019 – don Tonino Lasconi

La pace ricevuta in dono deve diventare un dono.

Continuando il messaggio di domenica scorsa, la parola di Dio insiste a chiederci impegni che umanamente sembrano impossibili.
Il brano dell’Apocalisse precisa che la città di Dio, il paradiso che dobbiamo costruire tra le nostre strade quotidiane, è un luogo di pace e di armonia. Lì infatti tutto è equilibrato e misurato: «È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello».

Il racconto degli Atti degli Apostoli racconta e testimonia come la Chiesa – quindi ogni singolo cristiano – debba creare pace, risolvendo i contrasti, anche quelli molto pesanti come era “in quel tempo” l’accoglienza dei pagani, con l’ascolto, il dialogo, la considerazione del punto di vista altrui, la pazienza, la gradualità, a volte cedendo oltre la tunica anche il mantello (Lc 6,29).

Il vangelo dà la motivazione del doveroso impegno a creare pace, facendoci riascoltare le parole di Gesù: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi», che ci ricordano la consegna, lontanissima da un sentimentale e superficiale invito alla pace. Gesù infatti stabilisce due differenze, una tra la pace del mondo e la sua, un’altra tra il suo modo e quello del mondo di dare la pace.

La “sua” pace è quella che abbiamo visto costruire nella prima comunità cristiana nella controversia sull’ingresso dei pagani alla fede, e in tutti gli altri momenti di contrasto: ascolto, dialogo, considerazione del punto di vista altrui, pazienza, gradualità, a volte cedendo il mantello e la tunica.
Quella del mondo è basata sull’equilibrio della forza, sulla sottomissione rassegnata da parte dei più deboli, sull’indifferenza verso coloro che subiscono la prepotenza dei forti. Quella che ci dona Gesù è da costruire, faticosamente, quotidianamente con la spada della nonviolenza (Mt 10,34), porgendo l’altra guancia (Lc 6,29), perdonando sette volte sette (Mt 18,22), per creare armonia tra tutti i figli di Dio.

È possibile costruire la pace di Gesù su questa terra? A guardare la storia passata, una interminabile sequenza di guerre e violenza, sembrerebbe di no, e il presente non è diverso perché è un contrastarsi e un combattersi continuo tra stati, tra governi, tra partiti, tra categorie, tra persone singole.

Allora, rinunciamo? Proprio perché la pace di Gesù è così difficile da creare richiede l’impegno forte e continuo in chi la accetta come suo dono. D’altra parte, se è vero che la storia è una sequenza di guerre, è altrettanto vero che il genere umano non si è autodistrutto perché non sono mai mancati coloro che si sono schierati dalla parte della pace, ascoltando la nostalgia di pace che il Creatore ha messo nel cuore delle creature. Abramo, il simbolo della fede, rinunciò ai pascoli migliori per restare in pace con Lot (Gn 13,8-11).

È vero che è un’utopia pensare che tutta la terra arriverà a vivere in pace, ma la fede cristiana non è un’utopia. Altrimenti come si poteva credere (e come si può credere) alla risurrezione di Gesù e alla risurrezione della carne?

Ma noi gente semplice cosa possiamo fare? Certamente non è nelle nostre possibilità creare la pace nell’intero mondo, ma nel nostro piccolo mondo sì. E non è poco. A chi le chiedeva come promuovere la pace nel mondo Madre Teresa di Calcutta rispondeva: «Cosa puoi fare per promuovere la pace nel mondo? Vai a casa e ama la tua famiglia». Questo lo possiamo fare e possiamo fare anche molto di più. Anche nel condominio. Anche nel posto di lavoro. Anche in parrocchia.

Fonte: Paoline

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