Commento al Vangelo del 26 Maggio 2019 – Don Luciano Condina – Gv 14, 23-29

Lasciamoci illuminare dallo Spirito

Il brano di questa domenica è particolarmente ricco di doni: la dimora del Padre e del Figlio presso di noi, il dono dello Spirito Santo e la pace di Cristo. La chiave di questo castello di regali risiede nell’atteggiamento di base: «se uno mi ama» (Gv 14,23), che ha come conseguenza l’osservanza della parola di Gesù, l’amore del Padre, l’arrivo del Paraclito e la pace del Signore.

Tutte queste cose meravigliose, collegate alla suddetta condizione sono introdotte da un rapporto, che è l’amore. Si tratta di amare Cristo come avviene per un innamorato che tiene care le cose dette dalla sua amata, che tiene ogni gesto, ogni particolare stretto nel proprio cuore e tesaurizza ogni parola pronunciata. A quel punto avviene che la memoria di quelle parole farà arrivare ciò che Lui è e che ha da dare.

A tutti noi cristiani è capitato di essere toccati da una parola bella di Dio, da qualcosa che ci è rimasto fisso nel cuore. Tante volte seppelliamo queste cose ritenendole perdite di tempo, cose di secondo livello nell’esistenza; invece è fondamentale andare a scavare sotto il disordine della vita e riprendere in mano quella parola tanto amata, consolante, che ci ha risvegliati, ci ha conferito dignità, ci ha restituito il senso di noi stessi e della bellezza di Gesù. Quella parola è la porta della dimora di Dio in noi.

Il linguaggio della dimora parla dell’uomo come tempio e, in effetti, nel cuore del tempio di Gerusalemme, il Sancta Sanctorum, c’era la sede delle dieci parole che Dio aveva detto al popolo. Avere quella parola nel cuore introduce al rapporto intimo con Dio e permette di coltivare la bellezza ricevuta.

Il rapporto con Gesù non parte dal dovere, ma dalla gioia, dall’allegria di aver ricevuto qualcosa di consolante, bello, illuminante, e l’allegria è il motore del nostro cristianesimo. Non siamo credenti perché convinti di verità astratte né risoluti in una via morale di coerenza: queste cose hanno le gambe corte, durano poco e convincono meno chi abbiamo intorno. Siamo cristiani perché riceviamo una parola che illumina la nostra esistenza, che ci consola, che ci perdona, che instilla in noi una luce serena.

A questo punto inizia il rapporto con lo Spirito Santo, che opera in noi per mezzo della bellezza che lo rende Paraclito, ossia consolatore, che sta con chi è solo e deve affrontare le sfide della vita. In tribunale il parakletos era un avvocato che si poneva di fianco all’imputato e gli suggeriva come rispondere al dibattimento: gli indicava quando tacere, quando parlare, quando approfondire e quali parole usare. Di fronte alla sfida della vita, lo Spirito Santo diventa quell’avvocato che ci dà consigli, ci insegna ogni cosa, ci ricorda tutto ciò che Cristo ci ha detto. E per “ogni cosa” si deve intendere proprio “ogni cosa”: a parlare, a camminare, a vestirsi, a lavorare, a fare il genitore, a svolgere le piccole mansioni quotidiane… insegna tutto, perché c’è sempre un modo cristiano di fare, un modo secondo il Padre.

Lo Spirito Santo consiglia, non impone e non costringe. Ci ricorda ogni cosa e, in effetti, l’opera di Cristo in noi è cambiare la nostra lettura del passato: noi siamo la nostra memoria e se la nostra memoria viene illuminata, i fatti del passato della nostra vita vengono reinterpretati, riformulati, così noi cambiamo e diventiamo altri.
Lo Spirito Santo, insegnandoci tutte queste cose, ci introdurrà nella pace, quella vera che non dà il mondo e che solamente Cristo sa dare; il nostro cuore sarà libero da turbamenti e timori. Quando dentro di noi dimorano stabilmente le parole di Cristo, le preoccupazioni diventeranno piccole, ciò che ci angustia sarà relativo, affrontabile. E finalmente vivremo nella pace.

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