Commento al Vangelo del 26 Gennaio 2020 – p. Raniero Cantalamessa

Il brano evangelico della terza Domenica del Tempo ordinario, si chiude con queste parole:

«Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo».

Un terzo circa del Vangelo è occupato dalle guarigioni operate da Gesù durante il breve tempo della sua vita pubblica. È impossibile eliminare questi miracoli, o darne una spiegazione naturale, senza scompaginare tutto il Vangelo e renderlo incomprensibile.

I miracoli del Vangelo hanno delle caratteristiche inconfondibili. Non sono mai fatti per stupire o per innalzare colui che li opera. Molto spesso Gesù ordina ai guariti di non dirlo a nessuno, per evitare entusiasmi eccessivi e, dopo aver operato un miracolo, a volte addirittura si nasconde e fa perdere le sue tracce. Niente a che vedere con certi prodigi che servono solo a stupire. Alcuni oggi si lasciano incantare sentendo di certi personaggi che mostrano di possedere poteri di levitazione, di far apparire o scomparire oggetti e altre cose del genere. A chi serve questo genere di miracoli, supposto che siano tali? A nessuno, o solo a se stessi, per far discepoli o per far soldi.

No, Gesù opera miracoli per un motivo molto semplice: per compassione, perché ama la gente e si impietosisce, talvolta fino alle lacrime nel vedere la loro sofferenza. Opera miracoli anche per aiutare la gente a riconoscereche, dunque, «il regno di Dio è venuto tra loro», cioè per aiutarli a credere. Opera guarigioni, infine, per annunciare che Dio è il Dio della vita e che alla fine, insieme con la morte, anche la malattia sarà vinta e «non ci sarà più né lutto né pianto». Non solo Gesù guarisce, ma ordina aiu suoi apostoli di fare lo stesso dopo di lui:

«Li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi» (Luca 9, 2).

«predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi» (Matteo 10, 7 s.).

Sempre troviamo le due cose abbinate: predicare il Vangelo e curare gli infermi. Come ha assolto la Chiesa questo mandato di Cristo? Fin dall’inizio i cristiani non si accontentarono di predicare il Vangelo, ma sempre cercarono di alleviare le sofferenze umane fondando opere assistenziali di ogni genere: lebbrosari, lazzaretti, ospedali, specie nei paesi di missione.

Ma questo, direte voi, non è ancora quello che intendeva Gesù. Gesù non ha detto solo di curare, ma di imporre le mani e di guarire. È avvenuto anche questo. Solo che, a poco a poco, il dono di poter operare guarigioni ha finito per essere riconosciuto solo a certi santi detti taumaturghi, cioè Operatori di prodigi, come sant’Antonio di Padova, oppure a certi santuari, come Lourdes, Fatima, Loreto.

Oggi, nel generale fenomeno del «risveglio dello Spirito», assistiamo a qualcosa di nuovo e cioè il riapparire di un ministero di guarigione simile a quello esercitato da Gesù. San Paolo, accanto all’insegnamento, al governo, all’evangelizzazione, menziona tra i carismi, anche quello di «operare guarigioni» (1 corinzi 12,9). Il carisma è un dono particolare conferito a una persona dallo spirito santo per il bene comune. Non suppone perciò che chi lo esercita sia necessariamente un santo, o più santo degli altri. Anzi Gesù parla di persone che durante la vita hanno fatto profezie e operato miracoli e che alla fine sono da lui riprovati, evidentemente perché la loro vita non era stata coerente con i poteri ricevu ti (Matteo 7,21-23).

Così si è avuta, in questi ultimi cinquant’anni, sia nel do evangelico protestante che tra i cattolici, tutta una serie di persone carismatiche che con la preghiera e l’imposizione delle mani, o l’unzione con l’olio, esercitavano questo mini. stero per i malati, spesso davanti a grandi masse. E centinaia di malati dichiarano di essere stati guariti nel contesto di tali incontri.

L’uomo ha due mezzi per cercare di superare le sue infermità: la natura e la grazia. Natura indica l’intelligenza, la scienza, la medicina, la tecnica; grazia indica il ricorso diretto a Dio, attraverso la fede e la preghiera e i sacramenti. Entrambi questi mezzi vengono da Dio, perché anche l’ingegno umano viene da lui.

Purtroppo spesso si tenta una terza via: la via della magia, quella che fa leva su pretesi poteri occulti della persona, che non si basano né sulla scienza né sulla fede. Quasi che l’uomo possa fare qualcosa autonomamente, all’insaputa di Dio, o addirittura contro la sua volontà. O siamo davanti, in questo caso, a pura ciarlataneria e bluff, o, peggio, all’azione del nemico di Dio.

Quanti cadono in questa rete, come mosche nella tela del grande «ragno»! Io stesso ho avuto a che fare con molte persone distrutte economicamente e psicologicamente da esperienze di questo genere.

Non è difficile distinguere quando si tratta di un vero carisma di guarigione e quando della sua contraffazione nella magia. Nel primo caso, la persona non attribuisce mai ai propri poteri i risultati ottenuti, ma a Dio. Nel secondo caso gente non fa che sbandierare i propri pretesi «straordinari poteri». Quando perciò leggete annunci del tipo: Mago tal dei tali, «riesce dove altri falliscono», «risolve problemi di ogni tipo», «riconosciuti straordinari poteri», «scaccia diavoli, allontana il malocchio», non abbiate un istante di dubbio: si tratta di imbroglioni. Gesù diceva che i demoni si scacciano «con digiuno e preghiera», altro che spillando soldi alla gente!

Un altro criterio di riconoscimento. La guarigione che viene dallo Spirito di Cristo non si limita mai alla sola malattia del corpo, ma ha di mira tutta la persona, specie la sua anima. Che servirebbe guarire fisicamente, se poi uno conservasse nel cuore rancore, odio, fosse in discordia con se stesso, con la famiglia, con la vita? Sarebbe come andare dal medico per curare un un ‘a incarnita e trascurare un tumore.

Per questo le liturgie di guarigioni, fatte nello stile del Vangelo, comportano sempre momenti e gesti di pentimento, riconciliazione, perdono. Questi sono, anzi, i miracoli più grandi e spesso chi ne ha fatto l’esperienza si dimentica addirittura di essere venuto per guarire dalla malattia, tanto quello che ha ricevuto gli appare immensamente più importante.

Non è detto neppure che tra quelli che esercitano questo ministero di guarigione in nome di Cristo, magari con tanto di olio benedetto e di celebrazione di santa Messa, tutti siano autentici e da accogliere a occhi chiusi. Questo è un ministero delicato dove è facile che si infiltri l’illusione, la mancanza di discernimento, e che si faccia leva sulla credulità e sulla disponibilità della gente a tentare di tutto, di fronte alla malattia propria o di una persona cara. I pastori della Chiesa fanno benissimo su questo punto a essere molto prudenti, non per scoraggiare o sconfessare questo ministero (il che sarebbe mettersi contro il Vangelo stesso), ma per proteggerlo da abusi.

Ma dobbiamo porci un’altra domanda: e chi, nonostante tutto, non guarisce? Che pensare? Che non ha fede, o che Dio non lo ama? Se il persistere di una malattia fosse segno che una persona non ha fede, o che Dio non la ama, bisognerebbe concludere che i santi erano i più poveri di fede e i meno amati da Dio, perché alcuni trascorsero l’intera vita a letto. I medici calcolano oggi che san Francesco d’Assisi, al momento di morire, aveva addosso almeno una decina di malattie diverse e tutte gravi.

No, la risposta è un’altra. La potenza di Dio non si manifesta solo in un modo — eliminando il male, guarendo fisicamente —, ma anche dando la capacità, e talvolta perfino la gioia, di portare 1a propria croce con Cristo e di completare ciò che manca ai suoi patimenti. Cristo ha redento anche la sofferenza e la morte. Essa non è più segno del peccato, partecipazione alla colpa di Adamo, ma è strumento di redenzione.

Non c’è nulla che rimanga fuori di questa possibilità: né le malattie fisiche né quelle psichiche: angoscia, nevrosi, depressioni. Dio ha mostrato di saper fare dei santi, anche lasciandoli, talvolta, alle prese con le loro angosce umane e nevrosi. Egli «si è addossato le nostre infermità» e così facendo le ha potenzialmente santificate. Convinto di questo, san Paolo esclamava: «Mi compiaccio nelle mie infermità; quando sono debole allora sono forte» (2 Corinzi 12, 9 s.). «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Romani 8, 28), anche l’infermità e la malattia.

Una cosa devo aggiungere. E quelli che non hanno la possibilità, o la convinzione necessaria, per partecipare a liturgie di guarigioni tenute da persone carismatiche? Sono esse escluse dalla possibilità offerta da Gesù nel Vangelo di oggi? No, c’è una via ordinaria, aperta a ognuno per incontrare oggi, nella Chiesa, il Gesù che passa «risanando tutti» (Atti 10, 38): i sacramenti.

Il Vangelo narra di una donna che fu guarita solo per aver toccato il lembo del mantello di Gesù, ma nell’Eucaristia ognuno ha l’occasione non solo di toccare il lembo del suo mantello, ma di ricevere tutto il suo corpo e il suo sangue. A Lourdes, il maggior numero di guarigioni avvengono al passaggio del Santissimo Sacramento.

Sappiamo che esiste un sacramento specifico per gli infermi. Di esso leggiamo nella Scrittura:

«Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (Giacomo 5, 14 s.).

Non si chiama più «estrema unzione» (nome che faceva tanta paura alle persone), ma più giustamente «unzione degli infermi». Si può ricevere in ogni malattia di una certa serietà e anche più volte, se necessario.

So bene che un conto è parlare di malattia, un altro esserci dentro. Una cosa però prometto di fare per voi, come «presbitero» anch’io della Chiesa: pregare perché il Signore vi «rialzi» dal vostro letto e via dia la gioia di poterlo ancora benedire e lodare nella salute ritrovata.


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