Commento al Vangelo del 23 Febbraio 2020 – Figlie della Chiesa

Prosegue in questa liturgia la lettura del Discorso della Montagna, il primo dei cinque grandi discorsi che reggono l’architettura spirituale del Vangelo di Matteo. E, sulla scia della precedente domenica, si completa la serie delle “antitesi” che Gesù stabilisce tra la vecchia interpretazione riduttiva della Legge biblica e la novità della sua proposta. 

 

v.38: Il nostro Signore Gesù prende ora a considerare l’interpretazione data dai Farisei alla legge del taglione, quale essa si trova nel codice civile e criminale degli Ebrei, per dimostrare, una volta ancora, quanto i loro insegnamenti differiscono dai suoi. La legge del taglione era applicata fra gli Israeliti col massimo rigore e probabilmente diventava spesso il pretesto delle più barbare ingiustizie, come accade tuttora fra i Beduini del deserto. Perciò conveniva, per, amore dell’ordine e dell’umanità, trasferire nelle mani di giudici responsabili, il diritto che ognuno reclamava di farsi giustizia da se. La legge scritta nel codice civile (Es 21,22-26; Lv 24,19-21; Dt 19,21) non differiva probabilmente in nulla dalla legge orale che era in vigore dal diluvio in poi; perché le barbarie del popolo era tale, in quel tempo, che sarebbe stato pericoloso di modificarla.

Ma come la lettera di divorzio stabilita da Mosè era destinata a modificare un sistema di prostituzione praticato sotto il nome di matrimonio, così il diritto di applicare la legge del taglione, trasferito dagli individui ai magistrati pubblici, era un gran passo nella via del progresso e della civiltà. Siffatta legge, ove fosse osservata alla lettera, o applicata più liberalmente seguendone solo lo spirito, certo come regola legale non è ingiusta. Certo è che Cristo non biasima l’applicazione di quella legge dai magistrati, e non la revoca. Gli «anziani», pertanto, coi loro commenti, ne avevano pervertito il senso, in modo da far tornare precisamente quella pratica che la legge stessa era intesa a proibire. Invece di restringere l’esercizio di questa legge ai magistrati, essi la estesero agli individui, concedendo loro il diritto di farsi giustizia da se. Contro questo modo di agire inveisce nostro Signore.

 

v.39: La medesima parola greca tradotta maligno, nel versetto 37, qui viene tradotta malvagio e può significare o la mala azione considerata in se stessa o l’uomo malvagio che la compie. Stando al contesto dove si tratta di uomini malvagi è da preferire quest’ultimo senso. Gesù dà il suo comando, non in opposizione alla lex talionis, ma all’abuso che se ne faceva nelle vendette personali. Qui si domanda: il dovere ingiunto in questo versetto è da considerarsi nel senso di non resistere affatto, in qualunque caso di oppressione e d’ingiuria? Dalla soluzione di questo dubbio dipende l’interpretazione dei tre versetti seguenti, che sono relativi a casi del medesimo genere, e richiedono l’applicazione della regola stessa e del medesimo spirito. I studiosi che stanno alla lettera del testo (letteralisti) propugnano l’adempimento puntuale di siffatta ingiunzione; ma il contegno, per quanto longanime e dignitoso, del nostro Signore stesso, quando fu crudelmente percosso con sulla guancia (Gv 18,22), è il miglior commento a queste parole, poiché egli non presentò l’altra guancia. Il principio generale di «non contrastare al malvagio non deve intendersi in un senso troppo ristretto», poiché, spinto troppo oltre, conforterebbe i malvagi e metterebbe in pericolo l’ordine sociale. Gesù non volle dire che noi dobbiamo lasciar macellare le nostre famiglie, o farci massacrare noi medesimi, senza opporre nessuna resistenza. Non esiste religione alcuna, naturale o rivelata che sia, la quale abbia mai insegnato, o possa insegnare, una simile dottrina.

Siccome nessun uomo di mente sana ha mai inteso, che i versetti 29 e 30 imponessero al peccatore il dovere di tagliarsi la mano, o di cavarsi l’occhio, appena che l’uno o l’altro fosse divenuto strumento di peccato, così nessun uomo di mente sana può insistere sulla interpretazione letterale del presente passo. Così non l’intese Paolo; anzi egli fece valere i suoi diritti di cittadino romano: At 16,36-39;22,24-25;23,3. L’idea indicata in queste energiche parole è che, ricevendo un’offesa, non dobbiamo già chiederne un’altra, ma nel caso che ci fosse recata, stare preparati a sopportarla pazientemente e senza vendicarci. Se qualcuno obbietta che questa interpretazione restringe arbitrariamente un precetto che ha forma generale, mettendo innanzi una applicazione speciale, noi rispondiamo che l’intenzione del nostro Signore, in questo versetto, fu precisamente di modificare o di restringere la lex talionis (legge del taglione), citata nel versetto precedente, dal quale esso non deve essere mai separato.

 

v.40: In Luca 6,29 l’ordine della spogliazione è invertito e sembra infatti che, dei due vestiti, il primo ad essere strappato dal corpo dovrebbe essere il mantello, poi la tunica. La lezione che il nostro Signore dà in questo versetto è stata già spiegata nelle osservazioni sul v. 39. Piuttosto che cedere allo spirito di vendetta sii pronto a sopportare non solo i danni personali, ma anche i torti legali: portarti in tribunale si riferisce alle corti legali, ed alle sentenze da loro pronunziate. La tunica era un vestito di sotto, come lo portano ancora sopra la camicia gli orientali. Il mantello è la sopravveste o cappotto, con larghe maniche, che si indossa sopra la tunica, andando fuori e nella fredda stagione anche per casa. Spesso era per i poveri la sola coperta durante la notte, per cui nella legge mosaica fu ordinato che, se il mantello veniva dato in pegno, la sera fosse reso al suo possessore (Es 22,26-27). Il caso qui supposto dal nostro Signore doveva produrre un grande effetto sopra un uditorio di Ebrei. Egli insegnava che, sebbene la legge di Mosè proibisse al creditore di ritenere il mantello del debitore durante la notte, questi però, piuttosto che litigare, si lasciasse prendere anche la tunica, onde non eccitare l’odio nel cuore del suo avversario. Tale ingiunzione del nostro Signore condanna indubitatamente molti litigi difensivi, i quali sembrano provenire da un semplice sentimento di giustizia, ma in realtà provengono da uno spirito di vendetta.

Gesù non abolisce la legittima difesa, poiché essa è una dura necessità di questo povero mondo, ma non vuole che sia intrisa di odio. E se l’odio volesse attaccare il bene supremo dell’amore presente nel cuore di un discepolo di Cristo, se volesse mettere alla prova la sua capacità di durare nell’amare, se volesse spegnere in lui l’amore, l’amore invece crescerà accettando tormenti e umiliazioni. L’amore non può mai spegnersi. Se davanti ad un discepolo si para una croce a sbarrargli il cammino, l’amore gli darà la forza di prendere sulle spalle quella croce e procedere, e l’amore crescerà poiché la croce fa crescere l’amore.

L’avidità degli uomini può usare del potere giudiziario di un tribunale per estorcere ad un povero una tunica, facendola passare come pegno dovuto per un prestito di denaro non restituito. Una situazione fatta apposta per sgomentare, frustrare, maledire. Il dare anche il mantello non è segno di viltà, ma di rinuncia all’ira, alla rabbia, allo sdegno, per affidarsi a Dio. Il dare il mantello non è gesto di disprezzo rabbioso, né azione irresponsabile, ma manifestazione di fiducia in Dio che provvederà ben presto (Cf. Es 22,26). Tale testimonianza di paziente fiducia scuoterà la coscienza dell’estorsore che potrà giungere a ravvedersi.

 

v.44: Il nuovo principio della carità disinteressata emerge qui molto al disopra della semplice benevolenza umana. Prestare con la speranza di riavere un riscontro è umano; prestare senza tale speranza è cristiano. Eppure quanti basano il loro diritto al nome di cristiani sopra meri atti di benevolenza tanto limitati ed egoisti che i Giudei ed i pagani li agguagliano ed anche li sopravanzano.

Il Signore mette dinanzi ai suoi discepoli di tutti i tempi un altro motivo per disporli ad agire in vera carità cristiana, che in questo cioè avranno una prova di essere veramente i figli di Dio, poiché seguono l’esempio del Padre loro in cielo. La dottrina di Paolo sulla figliolanza dei credenti sembra aver la sua radice in questo ed altri simili detti di Gesù.

L’amore positivo dei nemici rappresenta il vertice toccato dalla legge evangelica dell’amore del prossimo. Tale amore, indicato dal verbo greco agapào risiede principalmente nella volontà che si fa disponibile con la compressione, la benevolenza, il soccorso.

Amare chi ci ama non è fare niente di straordinario che demarchi profondamente l’agire pagano da quello cristiano. Il cuore deve essere duro contro il male, ma non contro il persecutore di fronte al quale bisogna porsi con la nobiltà conferita dalla fortezza della fede e dell’amore.

Il compito di giustizia da attuare verso gli empi è segnato dalla giustizia del Cristo che ha espiato i nostri peccati, cosicché ogni uomo ha al suo attivo la salvezza operata da Cristo. La giustizia da compiere presso gli empi è quella di annunciare Cristo, testimoniare Cristo.

 

v.48: L’ideale di perfezione che Gesù propone ai suoi seguaci raggiunge la vetta suprema: la stessa perfezione di Dio. Ma già nell’AT era risuonata una simile richiesta: “Sarete santi, come io Jahvé vostro Dio sono santo” (Lv 19,2).

Nella redazione di Luca il detto di Gesù è riportato in termini più stretti, ma più confacenti al contesto: “Siate misericordiosi, come misericordioso è il Padre celeste” (Lc 6,36).

La parola «Perfetti» è da capirsi nel senso di compiuti nell’esercizio dell’amore verso i nostri simili; amore che abbraccia tutti e non esclude alcuno. Questo versetto però non implica che il credente possa raggiungere la perfezione già in questa vita. Chi l’intendesse così, contraddirebbe al contenuto intero del discorso, il quale infatti viene a dire che la somiglianza con Dio nella purità interna, nell’amore e nella santità, deve esser il continuo scopo del cristiano, in tutte le circostanze della sua vita. Ma quanto lungi noi siamo dall’esser giunti a tale somiglianza, ce lo mostra Paolo in Filippesi 3,12; e ben lo sente ogni cristiano che faccia strenui sforzi per arrivarci! Paolo adopera sempre la parola per denotare una pietà avanzata e matura, distinguendola da quello che significa l’infanzia in Cristo. Manifestamente nostro Signore qui parla non già dei gradi di eccellenza, ma dell’indole della eccellenza, la quale doveva distinguere i suoi discepoli: “come è perfetto il Padre vostro celeste”.

Nostro Signore pone il Padre celeste innanzi a noi come il modello che dobbiamo imitare, specialmente nel nostro amore, che si deve estendere a tutti gli uomini, anche ai nostri nemici.

 

Appendice

Non crediate che sia senza scopo la presenza dei cattivi nel mondo. Non pensate che da essi Dio non tragga niente di buono. Il cattivo vive, o perché abbia a correggersi, oppure perché chi è buono sia per mezzo suo messo alla prova. Voglia il cielo che coloro che oggi ci mettono alla prova si convertano, e anche loro siano con noi messi alla prova! Tuttavia, finché seguitano a opprimerci, non odiamoli. Non sappiamo, infatti, chi di loro persevererà sino alla fine nella sua malvagità; e il più delle volte, mentre ti sembra di odiare un nemico, odi un fratello… Dice l’Apostolo a coloro che sono già divenuti fedeli: Foste un tempo tenebre, ma ora siete luce nel Signore (Ef 5,8): tenebre in voi stessi, luce nel Signore. Ebbene, fratelli, tutti i malvagi, finché sono malvagi, mettono alla prova i buoni. Ascoltate ora brevemente e intendete! Se sei buono, nessuno ti sarà nemico, se non il malvagio. Senza dubbio, ti è ben nota quella regola di bontà, secondo la quale tu dovrai imitare la bontà del Padre tuo che fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i malvagi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,45)

Quanto a te, che cosa hai dato al tuo nemico? Tu che non sei capace neanche di sopportarlo! Se Dio ha per nemico un uomo al quale tante cose ha donato… tu, che non puoi far sorgere il sole e neppure far piovere sulla terra, non puoi riservare qualcosa per il tuo nemico, affinché anche per te, uomo di buona volontà, vi sia pace sulla terra? Ebbene, se è vero che a te, in fatto d’amore, si prescrive d’amare il nemico imitando il Padre, come potresti tu esercitare in questo comandamento, se non ci fosse alcun nemico da sopportare? Vedi, dunque, che ogni cosa ti è di giovamento. Il fatto stesso che Dio risparmia i malvagi e spinge anche te a fare altrettanto, poiché tu pure, se sei buono, lo sei in quanto da malvagio sei diventato buono! Che se Dio non perdonasse ai malvagi, nemmeno tu potresti ora presentare a lui a rendergli grazie. Lascia, dunque, che usi misericordia con gli altri colui che ne ha usata con te. (Agostino, Esposizioni sui Salmi)

 

Molti credono di essere molto lontani dal mondo, nel loro agire, perché ne sono lontani in due o tre cose, da cui si astengono. Non sono abbastanza saggi da vedere che in uno o due membra essi sono morti al mondo, ma che con tutte le altre vivono ancora nel corpo del mondo. Perciò non si accorgono più neppure delle loro passioni e, non percependole, non si preoccupano nemmeno della loro salvezza.

La parola «mondo» è quasi il nome collettivo di tutte le passioni. Quando noi vogliamo designarle a una a una, invece, usiamo il loro nome particolare. Le passioni sono una parte del meccanismo del mondo; ove esse sono spente, anche la mondanità è cessata. Tra di queste enumeriamo l’amore alla ricchezza, l’ansia di accumulare possedimenti, la crapula che riempie il corpo e da cui sorgono le passioni impure, l’ambizione che è la sorgente dell’invidia, il desiderio di potere, la superbia e la boria per la propria posizione, la brama di notorietà tra gli uomini, che è causa di inimicizie, e il timore di pericoli corporei. Ove il corso di tutte queste cessa ed esse svaniscono, in egual grado cessa la situazione mondana, e giunge a termine, come avvenne per alcuni santi, che col corpo erano morti. Vivevano nel corpo, ma non secondo la carne.

Guarda dunque in quante di queste passioni tu ancora vivi, e saprai in quali parti del mondo tu stai ancora e in quali tu sei morto. Ora sai cosa è il mondo: impara anche, da queste sue singole parti, fino a che punto sei ancora in esso implicato e fino a che punto te ne sei liberato. In altri termini: «mondo» è agire secondo il corpo, sono i pensieri carnali. L’elevazione al di sopra del mondo si manifesta per queste due note: il mutato comportamento e la diversità dei moti intimi. Dalle manifestazioni immediate del tuo spirito circa le realtà verso cui è attratto tu puoi riconoscere la vera misura del tuo costume: verso cosa la tua natura aspira involontariamente, quali manifestazioni le sfuggono continuamente e ciò da cui si sente mossa; cioè, se il tuo spirito accoglie in sé sempre e solo le impressioni dei moti incorporei, oppure se si muove tutto nella materia. (Isacco di Ninive, La vita virtuosa, 2)

 

Forse qualcuno obietta che oggi non è più il tempo in cui ci sia dato di sopportare per Cristo ciò che gli apostoli sopportarono ai loro giorni. È vero: non vi sono imperatori pagani, non vi sono tiranni persecutori; non si versa il sangue dei santi, la fede non è messa alla prova con i supplizi. Dio è contento che gli serviamo in questa nostra pace, che gli piacciamo con la sola purità immacolata delle azioni e la santità intemerata della vita. Ma per questo gli è dovuta più fede e devozione, perché esige da noi meno, pur avendoci elargito di più. Gli imperatori, dunque, sono cristiani, non c’è persecuzione alcuna, la religione non viene turbata, noi non veniamo costretti a dar prova della fede con un esame rigoroso: perciò dobbiamo piacere di più a Dio almeno con gli impegni minori. Dimostra infatti di essere pronto a imprese maggiori, se le cose lo esigeranno, colui che sa adempire i doveri minori.

Omettiamo dunque ciò che sostenne il beatissimo Paolo, ciò che, come leggiamo nei libri di religione scritti in seguito, tutti i cristiani sostennero, ascendendo così alla porta della reggia celeste per i gradini delle loro pene, servendosi dei cavalletti di supplizio e dei roghi come di scale. Vediamo se almeno in quegli ossequi di religiosa devozione che sono minori e comuni e che tutti i cristiani possono compiere nella pace più stabile e in ogni tempo, ci sforziamo realmente di rispondere ai precetti del Signore. Cristo ci proibisce di litigare. Ma chi obbedisce a questo comando? E non è un semplice comando, giungendo al punto di imporci di abbandonare ciò che è lo stesso argomento della lite pur di rinunciare alla lite stessa; dice infatti: Se qualcuno vorrà citarti in giudizio per toglierti la tunica, lasciagli anche il mantello (Mt 5,40). Ma io mi chiedo chi siano coloro che cedano agli avversari che li spogliano, anzi, chi siano coloro che non si oppongano agli avversari che li spogliano? Siamo tanto lontani dal lasciare loro la tunica e il resto che, se appena lo possiamo, cerchiamo noi di togliere la tunica e il mantello all’avversario. E obbediamo con tanta devozione ai comandi del Signore, che non ci basta di non cedere ai nostri avversari neppure il minimo dei nostri indumenti, che anzi, se appena ci è possibile e le cose lo permettono, strappiamo loro tutto! A questo comando ne va unito un altro in tutto simile: disse infatti il Signore: Se qualcuno ti percuoterà la guancia destra, tu offrigli anche l’altra (Mt 5,39). Quanti pensiamo che siano coloro che porgano almeno un poco le orecchie a questo precetto o che, se pur mostrano di eseguirlo, lo facciano di cuore? E chi vi è mai che se ha ricevuto una percossa non ne voglia rendere molte? È tanto lontano dall’offrire a chi lo percuote l’altra mascella, che crede di vincere non solo percuotendo l’avversario, ma addirittura uccidendolo.

Ciò che volete che gli uomini facciano a voi – dice il Salvatore – fatelo anche voi a loro, allo stesso modo (Mt 7,12). Noi conosciamo tanto bene la prima parte di questa sentenza che mai la tralasciamo, la seconda, la omettiamo sempre, come se non la conoscessimo affatto. Sappiamo infatti benissimo ciò che vogliamo che gli altri ci facciano, ma non sappiamo ciò che noi dobbiamo fare agli altri. E davvero non lo sapessimo! Sarebbe minore la colpa dovuta ad ignoranza, secondo il detto: Chi non conosce la volontà del suo padrone sarà punito poco. Ma chi la conosce e non la esegue, sarà punito assai (Lc 12,47). Ora la nostra colpa è maggiore per il fatto che amiamo la prima parte di questa sacra sentenza per la nostra utilità e il nostro comodo; la seconda parte la omettiamo per ingiuria a Dio. E questa parola di Dio viene inoltre rinforzata e rincarata dall’apostolo Paolo, il quale, nella sua predicazione, dice infatti: Nessuno cerchi ciò che è suo, ma ciò che è degli altri (1Cor 10,24); e ancora: I singoli pensino non a ciò che è loro, ma a ciò che è degli altri (Fil 2,4). Vedi con quanta fedeltà abbia egli eseguito il precetto di Cristo: il Salvatore ci ha comandato di pensare a noi come pensiamo agli altri, egli invece ci comanda di badare più ai comodi altrui che ai nostri. È il buon servo di un buon Signore e un magnifico imitatore di un Maestro unico: camminando sulle sue vestigia ne rese, quasi, più chiare e scolpite le orme. Ma noi cristiani facciamo ciò che ci comanda Cristo o ciò che ci comanda l’Apostolo? Né l’uno né l’altro, credo. Siamo tanto lungi tutti noi da offrire agli altri qualcosa con nostro incomodo, che badiamo sommamente ai nostri comodi, scomodando gli altri. (Salviano di Marsiglia, Il divino governo del mondo)

 

Cari fratelli e sorelle!

In questa settima domenica del Tempo Ordinario, le letture bibliche ci parlano della volontà di Dio di rendere partecipi gli uomini della sua vita: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» – si legge nel Libro del Levitico (19,1). Con queste parole, e i precetti che ne conseguono, il Signore invitava il popolo che si era scelto ad essere fedele all’alleanza con Lui camminando sulle sue vie e fondava la legislazione sociale sul comandamento «amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18). Se ascoltiamo, poi, Gesù, nel quale Dio ha assunto un corpo mortale per farsi prossimo di ogni uomo e rivelare il suo amore infinito per noi, ritroviamo quella stessa chiamata, quello stesso audace obiettivo. Dice, infatti, il Signore: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Ma chi potrebbe diventare perfetto? La nostra perfezione è vivere con umiltà come figli di Dio compiendo concretamente la sua volontà. San Cipriano scriveva che «alla paternità di Dio deve corrispondere un comportamento da figli di Dio, perché Dio sia glorificato e lodato dalla buona condotta dell’uomo» (De zelo et livore, 15: CCL 3a, 83).

In che modo possiamo imitare Gesù? Gesù stesso dice: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,44-45). Chi accoglie il Signore nella propria vita e lo ama con tutto il cuore è capace di un nuovo inizio. Riesce a compiere la volontà di Dio: realizzare una nuova forma di esistenza animata dall’amore e destinata all’eternità. L’apostolo Paolo aggiunge: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (1 Cor 3,16). Se siamo veramente consapevoli di questa realtà, e la nostra vita ne viene profondamente plasmata, allora la nostra testimonianza diventa chiara, eloquente ed efficace. Un autore medievale ha scritto: «Quando l’intero essere dell’uomo si è, per così dire, mescolato all’amore di Dio, allora lo splendore della sua anima si riflette anche nell’aspetto esteriore» (Giovanni Climaco, Scala Paradisi, XXX: PG 88, 1157 B), nella totalità della vita. «Grande cosa è l’amore – leggiamo nel libro dell’Imitazione di Cristo –, un bene che rende leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile. L’amore aspira a salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché di terreno. Nasce da Dio e soltanto in Dio può trovare riposo» (III, V, 3). (Benedetto XVI, Angelus 20 febbraio 2011)

 

Fonte: Figlie della Chiesa


Letture della Domenica
VII Domenica del Tempo Ordinario – ANNO A
Colore liturgico: VERDE

Prima Lettura

Ama il tuo prossimo come te stesso.Dal libro del Levìtico

Lv 19,1-2.17-18

Il Signore parlò a Mosè e disse:

«Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo.

Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui.

Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”».

Parola di Dio 

Salmo Responsoriale

Dal Sal 102 (103)

R. Il Signore è buono e grande nell’amore.

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici. R.

Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia. R.

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe. R.

Quanto dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe.
Come è tenero un padre verso i figli,
così il Signore è tenero verso quelli che lo temono. R.

Seconda Lettura

Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
1 Cor 3,16-23

Fratelli, non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.

Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: «Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia». E ancora: «Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani».

Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio. 

Parola di Dio 

Vangelo

Amate i vostri nemici.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 5, 38-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.

Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Parola del Signore 

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