Commento al Vangelo del 22 Settembre 2019 – Figlie della Chiesa

La parabola dell’amministratore disonesto colpisce violentemente il lettore perché offre un giudizio del tutto diverso da quello che noi avremmo pronunciato: “il padrone lodò quell’amministratore disonesto”. Ma proprio questa sorpresa è ciò che Gesù vuole ottenere: c’è un “effetto-parabola” che si raggiunge attraverso il superamento di abitudini mentali, di giudizi scontati; solo così può balenare alla nostra mente una visione nuova delle cose, un’ottica inattesa e imprevista. Chiaramente si tratta di capire bene per non attribuire a Gesù un elogio della disonestà che è ben lontano dalle sue intenzioni.

Nella prima lettura il profeta Amos condanna l’avidità e la disonestà degli Israeliti che attendono con ansia la fine dei giorni di festa per poter riprendere a commerciare; e progettano di commerciare con il massimo di guadagno, senza lasciarsi prendere da scrupoli di nessun genere: pesi e bilance false, “venderemo anche lo scarto del grano”. Infine, al colmo del ladrocinio, si rivelano usurai e strozzini, acquistando le persone che, divenute insolventi anche per poco (un paio di sandali), non potevano pagare che dando se stesse in cambio.

v.1: La parabola dell’amministratore scaltro ha sempre suscitato perplessità nei lettori, così i commentatori – nello sforzo di attenuarne il disagio – attirano l’attenzione sull’ambiente palestinese e sui suoi costumi. I grandi proprietari terrieri, per lo più stranieri, avevano alle dipendenza degli amministratori locali, ai quali lasciavano grande libertà e piena responsabilità: loro compito era di realizzare per il padrone il profitto pattuito, ma una volta assicurato questo profitto avevano anche la possibilità – maggiorando il prezzo – di realizzare profitti personali. Ciò era consentito. Si può dunque pensare che l’amministratore – nell’intento di procurarsi amici che lo avrebbero aiutato nel momento difficile – abbia semplicemente rinunciato alla sua parte di profitto. È una ipotesi acuta, che però la lettura della parabola non sembra favorire. 

v.4: In questa domenica Luca aggiunge una sfumatura particolare, derivante dalla sua attualizzazione della parabola: se, nell’intendimento di Gesù, il futuro (escatologico) si decide adesso con l’adesione a lui e al Regno da lui annunciato, Luca si mantiene fedele a questo schema al quale aggiunge una concretizzazione; il futuro del cristiano (coincidente con l’aldilà) è preparato dalla sua disponibilità presente a rinunciare ai propri beni. Questa è una modalità per dare concretezza all’urgenza e radicalità del Regno nel presente e preparare il futuro celeste.

Gli amici che sono in grado di accoglierci nelle dimore eterne sono i poveri: amici di Dio che devono divenire amici nostri. Ma forse è meglio pensare che gli amici rappresentano Dio stesso: egli ci accoglierà nella sua dimora.

v.8: Gesù vuole invece che ci lasciamo impressionare dalla prontezza e dalla furbizia con cui l’amministratore cercò, senza un attimo di esitazione, di mettere al sicuro il suo avvenire. L’avverbio fronimos, che definisce la furbizia del fattore, dice molte cose positive: la lucidità nell’avvertire la gravità della situazione, la prontezza nel cercare la soluzione, il coraggio di prendere subito una decisione. Questo avverbio ha infatti un chiaro significato sapienziale. Coloro che appartengono alla luce non dovrebbero, per i loro scopi e secondo la logica che è loro propria, avere la stessa prontezza, la stessa decisione, la stessa radicalità? Gesù vorrebbe che i discepoli, a proposito del Regno, avessero la stessa risolutezza che l’amministratore ebbe per sé. L’accortezza per il Regno – che è la lezione della parabola – non è più un semplice atteggiamento formale, ma assume un contenuto preciso.

v.9: Luca chiama “disonesta” la ricchezza: non si riferisce a qualche ricchezza in particolare ma alla ricchezza in genere. Perché disonesta? Disonesta perché spesso è frutto di ingiustizia e perché, più spesso ancora, diventa strumento di ingiustizia e di oppressione. La ricchezza può definirsi disonesta non solo perché molte volte ingiusta nella sua origine e nell’uso che se ne fa, ma anche perché ingannevole nel suo profondo. La ricchezza promette e non mantiene, invita l’uomo a porre in essa la propria fiducia ma poi lo delude.  Questo è anche il senso della parola “mammona”, che significa molto più della semplice ricchezza: è l’accumulo dei beni nei quali si pone la propria fiducia. Luca aveva probabilmente un conto aperto con la ricchezza; ne vedeva tutta la pericolosità per un’esistenza cristiana matura. Il problema di come trasformare la ricchezza in opportunità di bene era per lui centrale. Ebbene – dice la parabola di oggi – la ricchezza può servire per procurarsi amici nel regno di Dio, per garantirsi delle raccomandazioni. Come? Facendo del bene; usando il denaro per andare incontro alle necessità dei poveri. Stranamente nel regno di Dio non contano le raccomandazioni dei grandi e hanno invece immenso valore le raccomandazioni dei piccoli.

v.12: Nelle espressioni dei vv. 10-12 sono presenti delle contrapposizioni tra il “poco” o cosa di poco conto, con il “molto” o cosa di gran conto; tra la ricchezza “iniqua” e quella “vera” che indica i beni veri, quelli autentici; tra la ricchezza “altrui”, cioè esteriore all’uomo (come la ricchezza appunto) e la “vostra” cioè ciò che vi può appartenere, il regno di Dio. Le ricchezze terrene, dunque, anche se sono molte, sono sempre cosa di poco conto: a contare molto sono le ricchezze eterne. Inoltre le ricchezze terrene, anche se procurate onestamente, finché non arrivano ai loro legittimi destinatari, i poveri, sono inique. Le ricchezze terrene sono da ritenersi degli altri, cioè dei poveri; la ricchezza nostra è e sarà quella eterna.

v.13: L’italiano “ricchezza” traduce l’aramaico “mamona” (ebraico: mamon) che forse deriva dalla radice “aman” che significa “credere, confidare, amare”; anche se l’etimologia non è certa, non si può negare un legame con il sentimento di fiducia che il denaro ispira. La rude contrapposizione espressa secondo lo stile semitico esplicita una radicale alternativa esistenziale: si affida ala propria vita a Dio o a Ricchezza (qui personificata come una divinità). Ciò è rafforzato da un sottile gioco etimologico: ‘mammona’ infatti può significare nutrimento o provvidenza, ma anche ciò che è stabile e solido, avendo la stessa radice del termine ebraico che in italiano traduciamo con fede(le). In modo impercettibile ma inesorabile la ricchezza tende ad ergersi quale assoluto in concorrenza a Dio. Il credente deve decidersi se mutuare la propria solidità esistenziale dal servizio-appartenenza a Dio o a Mammona.

Appendice

“Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia”. Questa beatitudine di Gesù è l’eco di altre due del Salmista: ‘Beato chi si prende cura del misero, perché il Signore lo salverà. Beato chi prova compassione e non nega il suo aiuto”. Appropriatevi, con la violenza dell’amore, di queste beatitudini. La vostra dedizione ai poveri non conosca requie. Non dite: “Torna domani e ti darò quanto chiedi”. Non lasciate passare tempo tra lo slancio del cuore e il gesto. L’amore non tollera indugi. La sollecitudine raddoppi il valore del vostro dono. Dividete il pane con l’affamato, ospitate il senzatetto, e fatelo volentieri. la vostra misericordia sia illuminata dalla gioia. Un dono fatto a malincuore o per forza perde bellezza e merito. Niente facce arcigne coi poveri, ma gioiosa munificenza. Se rompete le catene dell’avarizia, se vi scuotete di dosso il giogo della diffidenza, se smettete di esitare e di mormorare, avrete una magnifica ricompensa: dice infatti Isaia che “la vostra luce eromperà come l’alba e verrà sollecita la vostra guarigione”. (…) Il Signore dell’universo non vuole sacrifici, bensì misericordia, non migliaia di agnelli sgozzati, bensì amore. Presentiamogli il nostro amore sulle mani dei poveri, soccorrendo i poveri. Il giorno in cui lasceremo questo mondo, essi ci accoglieranno nelle tende eterne e là vedremo faccia a faccia Cristo stesso (Gregorio Nazianzeno in Servire i poveri gioiosamente pp. 104-5).

(La comunità cristiana delle origini ha incontrato) la tentazione di servire due padroni, Dio e il denaro, rompendo la totalità dell’appartenenza a Dio, che è un tratto caratteristico del povero del Signore. Nella sua variante più rozza questa tentazione consiste nel crearsi un cuore diviso: incapace di donarsi totalmente al Signore, di fidarsi unicamente di lui, l’uomo cerca la propria sicurezza nel possesso, illudendosi di servire Dio perché gli offre qualcosa delle sue ricchezze. Nella sua variante più sottile invece consiste nella illusione di accumulare il denaro non per se stesso, ma per la gloria di Dio. Ingenua illusione: anche se non cercato per se stesso il denaro riesce sempre infatti a trasformarsi in padrone. In ogni caso non è questo lo stile del povero del Signore, che conta, appunto, unicamente sul Signore (B. Maggioni, La pazienza del contadino pp. 161-2).

Per essere liberi dalla potenza di Satana, amministratore dei beni, del potere e del successo di questo mondo di cui è il Principe (Lc 4.6-7), occorre essere poveri. Chi vuol seguire e vuole amare il Signore deve odiare e disprezzare l’altro signore: Mammona. Non c’è possibilità di compromesso, perché le ricchezze seducono e rendono maledetti. (…) Non basta neanche abbandonare i beni a casa, ai familiari: ciò rappresenterebbe una riserva di speranza, un non tagliare i ponti e un assicurarsi possibili aiuti in caso di ritorno e di abiura della sequela. Gesù è radicale: occorre chiedere ciò che si possiede o spetta di diritto e venderlo, per non portarselo dietro, distribuendo il ricavato ai poveri (E. Bianchi, Il radicalismo cristiano pp. 106-7).

Tutte le realtà che costituiscono l’ordine temporale, cioè i beni della vita, della famiglia, la cultura, l’economia, le arti, e le professioni, le istituzioni della comunità politica, le relazioni internazionali e così via, come pure il loro evolversi e progredire, non soltanto sono mezzi con cui l’uomo può raggiungere il suo fine ultimo, ma hanno un “valore” proprio, riposto in esse da Dio,  sia considerate in se stesse, sia considerate come parti di tutto l’ordine temporale: E Dio vide tutte le cose che aveva fatto, ed erano assai buone (Gen 1.31). Questa loro bontà naturale riceve una speciale dignità dal rapporto che esse hanno con la persona umana a servizio della quale sono state create. Infine piacque a Dio unificare in Gesù Cristo tute le cose, naturali e soprannaturali affinché egli abbia il primato su tutte le cose (Col 1.18). Questa destinazione, tuttavia, non solo non priva l’ordine temporale della sua autonomia, dei suoi propri fini, delle sue proprie leggi, dei suoi propri mezzi, della sua importanza per il bene dell’uomo, ma anzi lo perfeziona nella sua consistenza e nella propria eccellenza e nello stesso tempo lo adegua alla vocazione totale dell’uomo sulla terra (Vat. II, Apostolicam Actuositatem 7).

La santità non si identifica con la stupidità; c’è anzi una scaltrezza che il santo ha imparato bene e che giustifica tante sue scelte impegnative. I figli di questo mondo infatti verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Queste parole esprimono un lamento di Gesù e contengono un suo desiderio: possibile che il Regno di Dio non valga un impegno deciso e radicale? Possibile che l’uomo sappia escogitare le vie più nascoste quando si tratta di far soldi o ottenere successo e che sia invece così imbranato, così fiacco, quando si tratta di conquistare il Regno di Dio? (Sirboni-Monari, Lampada per i miei passi-C p. 266).

***

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi Gesù ci porta a riflettere su due stili di vita contrapposti: quello mondano e quello del Vangelo. Lo spirito del mondo non è lo spirito di Gesù. E lo fa mediante il racconto della parabola dell’amministratore infedele e corrotto, che viene lodato da Gesù nonostante la sua disonestà (cfr Lc 16,1-13). Bisogna precisare subito che questo amministratore non viene presentato come modello da seguire, ma come esempio di scaltrezza. Quest’uomo è accusato di cattiva gestione degli affari del suo padrone e, prima di essere allontanato, cerca astutamente di accattivarsi la benevolenza dei debitori, condonando loro parte del debito per assicurarsi così un futuro. Commentando questo comportamento, Gesù osserva: «I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (v. 8).

A tale astuzia mondana noi siamo chiamati a rispondere con l’astuzia cristiana, che è un dono dello Spirito Santo. Si tratta di allontanarsi dallo spirito e dai valori del mondo, che tanto piacciono al demonio, per vivere secondo il Vangelo. E la mondanità, come si manifesta? La mondanità si manifesta con atteggiamenti di corruzione, di inganno, di sopraffazione, e costituisce la strada più sbagliata, la strada del peccato, perché una ti porta all’altra! È come una catena, anche se – è vero – è la strada più comoda da percorrere, generalmente. Invece lo spirito del Vangelo richiede uno stile di vita serio – serio ma gioioso, pieno di gioia! -, serio e impegnativo, improntato all’onestà, alla correttezza, al rispetto degli altri e della loro dignità, al senso del dovere. E questa è l’astuzia cristiana!

Il percorso della vita necessariamente comporta una scelta tra due strade: tra onestà e disonestà, tra fedeltà e infedeltà, tra egoismo e altruismo, tra bene e male. Non si può oscillare tra l’una e l’altra, perché si muovono su logiche diverse e contrastanti. Il profeta Elia diceva al popolo di Israele che andava su queste due strade: “Voi zoppicate con i due piedi!” (cfr 1 Re 18,21). È bella l’immagine. È importante decidere quale direzione prendere e poi, una volta scelta quella giusta, camminare con slancio e determinazione, affidandosi alla grazia del Signore e al sostegno del suo Spirito. Forte e categorica è la conclusione del brano evangelico: «Nessun servo può servire a due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro» (Lc 16,13).

Con questo insegnamento, Gesù oggi ci esorta a fare una scelta chiara tra Lui e lo spirito del mondo, tra la logica della corruzione, della sopraffazione e dell’avidità e quella della rettitudine, della mitezza e della condivisione. Qualcuno si comporta con la corruzione come con le droghe: pensa di poterla usare e smettere quando vuole. Si comincia da poco: una mancia di qua, una tangente di là… E tra questa e quella lentamente si perde la propria libertà. Anche la corruzione produce assuefazione, e genera povertà, sfruttamento, sofferenza. E quante vittime ci sono oggi nel mondo! Quante vittime di questa diffusa corruzione. Quando invece cerchiamo di seguire la logica evangelica dell’integrità, della limpidezza nelle intenzioni e nei comportamenti, della fraternità, noi diventiamo artigiani di giustizia e apriamo orizzonti di speranza per l’umanità. Nella gratuità e nella donazione di noi stessi ai fratelli, serviamo il padrone giusto: Dio.

La Vergine Maria ci aiuti a scegliere in ogni occasione e ad ogni costo la strada giusta, trovando anche il coraggio di andare controcorrente, pur di seguire Gesù e il suo Vangelo. (Papa Francesco, Angelus del 18 settembre 2016)

Fonte: Figlie della Chiesa

Letture della
XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Prima Lettura

Contro coloro che comprano con denaro gli indigenti.

Dal libro del profeta Amos
Am 8,4-7

 
Il Signore mi disse:
 
«Ascoltate questo,
voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo l’efa e aumentando il siclo
e usando bilance false,
per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano”».
 
Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe:
«Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».

Parola di Dio

Salmo Responsoriale

Dal Sal 112 (113)

R. Benedetto il Signore che rialza il povero.

Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
da ora e per sempre. R.
 
Su tutte le genti eccelso è il Signore,
più alta dei cieli è la sua gloria.
Chi è come il Signore, nostro Dio,
che siede nell’alto
e si china a guardare
sui cieli e sulla terra? R.
 
Solleva dalla polvere il debole,
dall’immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i prìncipi,
tra i prìncipi del suo popolo. R.

Seconda Lettura

Si facciano preghiere per tutti gli uomini a Dio il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
1 Tm 2,1-8

 
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
 
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
 
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.

Parola di Dio

Vangelo

Non potete servire Dio e la ricchezza.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 16, 1-13
 
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
 
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
 
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
 
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
 
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
 
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
 
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
 
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Parola del Signore

Oppure forma breve: Lc 16,10-13

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