Commento al Vangelo del 22 ottobre 2017 – Mons. Alberto Albertazzi

Gesù riafferma il primato di Dio

Dopo esserci disincagliati dalla raffica di parabole delle scorse domeniche, ci si imbatte in tranelli tesi a Gesù per intrappolarlo. Ma lui se la cava sempre elegantemente. Il primo è quello del 22 ottobre; il secondo, per la sua strampalatezza, è pietosamente omesso dalla liturgia; il terzo lo sentiremo prossimamente.

Questa domenica tocca ai farisei farsi avanti, con una disputata questione: «È lecito, o no, dare il tributo a Cesare?». È forse la più famosa domanda che Gesù abbia ricevuto, divenuta illustre per la nota brillantezza della risposta. Si deve sapere che l’impero romano esigeva un denaro da ogni suddito in età fra i 12/14 anni e i 65 anni. Il trabocchetto della domanda è evidente. Se Gesù avesse risposto che è lecito si sarebbe schierato filoromano, aumentando l’antipatia farisaica verso di sé. Va ricordato però che Egli pagava le tasse, utilizzando come bancomat la bocca di un pesce (cfr Mt 17,24-27). Se avesse risposto: «Non è lecito», i farisei avrebbero avuto un ulteriore capo di accusa contro di lui, da far valere davanti a Pilato. Fatto sta che Gesù, scenograficamente, chiede una moneta, quasi non ne avesse mai viste, e domanda: «Questa immagine e l’iscrizione di chi sono?». Ottenuta la scontata risposta, scocca la grande, proverbiale, sentenza: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». A Gesù, probabilmente, Cesare e i suoi diritti interessavano poco. Per lui la circostanza è preziosa per riaffermare il primato di Dio. Abbiamo il teorema di quello che mi piace chiamare il “qualunquismo politico” del Nuovo Testamento, rincarato da Paolo, non senza qualche sfumatura di ottimismo, in Rom 13,1-7 e da Pietro in 1 Pt 2,13-15.

Insomma a Gesù interessava troppo il regno di Dio per impaludarsi nei regni di questo mondo. Se n’è accorto Pilato quando si è sentito dire da quell’imbarazzante imputato: «Il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18,36). Ne è pure diversa la logica, come Gesù non manca di rilevare in una rampogna assestata ai discepoli, motivata dalla richiesta avanzata da una madre petulante: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra di voi però non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore e chi vuole essere primo tra voi sarà vostro schiavo» (Mt 20,25-27).

Una logica sorprendente e spiazzante, che procede impavida sino all’accettazione del sopruso, come leggiamo in Mt 5,38-41, trovando un’eco ancora più radicale in Paolo (1 Cor 6,7): «È già per voi una sconfitta avere liti tra voi! Perché non subire piuttosto ingiustizie? Perché non lasciarvi piuttosto privare di ciò che vi appartiene?». Abbiamo qui il capitolo più arduo del messaggio evangelico, che non dev’essere annacquato ma accettato nella sua eroica rudezza. In barba al ritornello quotidiano «chiedo solo giustizia», intonato da chi, in questi tempi miseri e feroci, subisce qualche misfatto. Gesù non è venuto a convalidare l’uomo e le sue tapine meningi, ma è venuto a mettere in crisi il corrente modo di pensare, squillando da subito: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,6). Beatitudine boomerang! Gli affamati e assetati di giustizia non sono i moltissimi che se la sono veduta negare dai prepotenti; ma sono quelli che sanno di non essere giusti e rimpiangono di non esserlo.

Se quanto detto fin qui è in linea col Vangelo, mi è sempre più difficile capire l’attuale deriva della Chiesa verso il sociale – da quando vescovi sessantottini occupavano i caselli autostradali – con frequenti proclami a vari livelli, scippati ai sindacalisti: dare lavoro agli italiani, dare lavoro ai giovani, cementificazione selvaggia, disastro annunciato, sia fatta giustizia, e via reclamando. Non voglio dire che questi slogan non abbiano contenuti importanti, ma sono talmente scontati e risaputi che non è il caso che ci si metta anche la Chiesa a farvi da cassa di risonanza. La quale, a mio sommesso parere, dovrebbe dare su questi temi un altro tipo di messaggio. Va bene che si solleciti chi di dovere a intervenire, ma le non poche situazioni di odierno disagio dovrebbero essere metabolizzate con le armi benefiche del Vangelo, che non promette soluzioni immediate ma invita alla paziente ed eroica sopportazione, da associarsi idealmente alla passione di Cristo, in attesa dell’equo ripristino nell’eternità. Ma la Chiesa (italiana) parla ancora di eternità?

Quanto ci ha portato lontano la moneta di Cesare!

Fonte

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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 22 ottobre 2017 anche qui.

XXIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Mt 22, 15-21
Dal Vangelo secondo  Matteo

15Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 22 – 28 Ottobre 2017
  • Tempo Ordinario XXIX
  • Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo A
  • Salterio: sett. 1

Fonte: LaSacraBibbia.net

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