Commento al Vangelo del 20 Gennaio 2019 – Monastero Matris Domini

La festa dell’Epifania, cioè della manifestazione di Gesù Cristo, secondo la tradizione comporta tre manifestazioni importanti di Gesù. La prima è alla visita dei Magi, la seconda è al battesimo nel Giordano, la terza è il miracolo dell’acqua cambiata in vino alle nozze di Cana. Nell’anno C abbiamo la fortuna di esaminare tutte e tre le epifanie in sequenza nelle prime feste dell’anno solare. Questa domenica vediamo dunque il miracolo del vino alle nozze di Cana.

Si tratta di un brano un po’ particolare. Il miracolo dell’acqua mutata in vino viene presentato come un segno che manifesta la grandezza di Gesù e la sua natura divina. Il segno richiede di non soffermarsi su di sé ma di andare subito oltre, al significato che il segno stesso veicola. Questo si vede bene nel racconto delle nozze di Cana. I particolari che incorniciano il gesto di Gesù sfuggono, siamo a nozze, ma non si parla della sposa e solo fuggevolmente dello sposo. Non si sa perché sia venuto a mancare il vino, i personaggi principali di fatto dovrebbero essere i meno importanti (i servi e il maestro di tavola). Questo ha portato gli studiosi a leggere il brano in senso simbolico. Un miracolo avvenuto all’inizio del ministero di Gesù diventa così il prototipo dei segni, la chiave di lettura dell’incarnazione e della predicazione e dell’attività di Gesù durante la sua vita terrena.

Lectio

1Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù.

La festa di nozze è un tema caro alla letteratura biblica, soprattutto in Osea e nel Cantico dei Cantici. Anche Gesù ha spesso presentato il regno dei cieli come un banchetto di nozze. Le nozze sono la festa umana per eccellenza, che dice l’amore dell’uomo e della donna destinati a divenire uno in conformità con l’immagine divina (cf. Gn 2,24). Le nozze sono il simbolo dell’alleanza di Dio con il popolo.

Questa festa ha una collocazione precisa nello spazio e nel tempo. Avviene in Galilea, la terra prediletta da Gesù (Galilea delle genti), avviene il terzo giorno. Potrebbe essere inserita nella settimana inaugurale di cui si parla nel prologo narrativo di Giovanni. Però più facilmente questa indicazione vuole dare solennità all’episodio: la grande manifestazione di Dio sul monte Sinai è avvenuta il terzo giorno (cf. Dt 7,13; 11,14).

A questa festa di nozze c’era la madre di Gesù. Sembra quasi che sia lei la padrona di casa.

Non si parla degli sposi. La lettura simbolica ci suggerisce che i due sposi siano Israele e Dio. Israele è simbolizzata dalla madre di Gesù. Non le viene dato un nome, la si chiama madre di Gesù. Viene chiamata anche donna. Con questo termine Giovanni ci riporta alla Sion ideale, la Sion messianica, che raccoglie attorno a sé i suoi figli alla fine dei tempi.

2 Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.

Gesù invece è stato invitato alle nozze, con i suoi discepoli. Vi è un certo distacco tra Gesù e gli  altri invitati.

3 Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”.

Il vino accompagnava normalmente un banchetto di nozze ed era offerto con abbondanza. Insieme al grano e all’olio, il vino è uno dei tre prodotti essenziali per la vita dell’uomo, un dono di Dio creato per la gioia degli uomini, come segno di prosperità. Proprio per questo il vino scorrerà abbondante nelle nozze escatologiche (cf. Am 9,13; Is 25,6).

In questo banchetto di Cana, a un certo punto viene a mancare il vino. Maria lo fa presente  a Gesù. Molti commentatori hanno cercato di trovare i motivi di questa sua affermazione. Difficile rispondere se non si continua sul piano dell’interpretazione simbolica. Maria è Israele che confessa la sua situazione di miseria in attesa del compimento delle nozze escatologiche promesse da Dio mediante gli annunci dei profeti, e che esprime la sua disponibilità a fare ciò che egli richiede.

4 E Gesù le rispose: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”.

La risposta di Gesù letteralmente si traduce: Che cosa c’è tra me e te? Si tratta di una formula semitica che non ha equivalente nelle lingue europee. Viene usata nel linguaggio diplomatico e mette in questione il legame che esiste tra due alleati, per indicare una rottura o per attirare l’attenzione su un punto di divergenza. Nel dialogo tra Gesù e sua madre un’espressione del genere sembra del tutto fuori luogo. Gesù lascia intendere che se si decide ad agire non lo farà per un intervento umano, fosse pure di sua madre, e soprattutto che la sua azione oltrepasserà il livello delle circostanze concrete. Secondo il racconto, Maria ha chiesto a Gesù di rimediare a una situazione imbarazzante. Gesù invece sa che dovrà agire su di un piano ben superiore, secondo la missione ricevuta dal Padre. Egli darà compimento all’attesa di Israele, superando ogni interpretazione riduttiva della salvezza che Dio ha promesso al suo popolo. La frase di Gesù quindi si può rendere con un “La mia preoccupazione non è forse la tua?”.

Ancora dobbiamo esaminare il modo con cui Gesù chiama la madre: “Donna”. A un primo livello, negativo, Gesù mostra che egli si pone su un piano diverso da quello di sua madre secondo la carne, l’Israele del passato. Questo si vede anche nei sinottici, quando egli prende le distanze da sua madre e dalla sua famiglia (cf. Mc 3,33 e par.; Lc 11,27ss). Gesù però dice qualcosa di più e in senso positivo. Nella madre egli vede ormai la Donna, cioè Sion, che attende e spera il tempo della salvezza definitiva. E in effetti con questa denominazione egli invita a una nuova presa di  coscienza: apre in modo solenne all’affermazione che segue.

Egli dice che la sua ora non è ancora arrivata. Alcuni studiosi suggeriscono di leggere questa affermazione in forma interrogativa “Non è forse ancora arrivata la mia ora?”. Gesù invita la  madre a riconoscere che è giunta l’ora di intervenire secondo il disegno di Dio.

Qual è dunque quest’ora? Il termine proviene dai testi apocalittici e indica il momento in cui si compirà definitivamente il disegno di Dio, ineluttabile, proprio come il “giorno del Signore”. Quest’uso si trova spesso nei Sinottici e anche in Giovanni. L’ora per eccellenza è quella che si compie al momento della glorificazione di Gesù sulla croce. Tutto tende a quell’ora, perciò già all’inizio della sua vita pubblica quest’ora è già presente in tutto ciò che Gesù dice e fa, è già una manifestazione definitiva della salvezza di Dio offerta agli uomini.

5 Sua madre disse ai servitori: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”.

Maria non risponde direttamente a Gesù. Invitata a rendersi conto che per lui è giunta l’ora di agire secondo la volontà del Padre, cessa di parlare come madre secondo la carne e comunica ai servi la sua totale fiducia, senza sapere cosa farà il figlio. E’ questo l’atteggiamento di Israele che nelle sue prove ripete senza posa che è disposto a fare la volontà del suo Signore.

L’espressione riprende ciò che il faraone disse al popolo in tempo di carestia: “Andate da Giuseppe e qualunque cosa vi dica, fatela!” (Gn 41,55). Vi è un’analogia tra Giuseppe e Gesù. Il primo dona il pane, Gesù del vino, così che Gesù da compimento alla figura di Giuseppe, di cui il faraone diceva “Potremo trovare un uomo come costui in cui vi sia lo spirito di Dio?” (Gn 41,38).

6 Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri.

Gesù non utilizza le anfore di terracotta del vino ormai vuote, bensì quelle di pietra che erano destinate a un uso del tutto diverso, cioè alla purificazione rituale, necessaria ad ogni ebreo prima di mettersi a tavola. Questo conferma il carattere simbolico del racconto, tanto più che il numero delle anfore (sei, cioè sette meno uno) implica un’idea di imperfezione. Il sistema di purificazione degli Ebrei, in sé imperfetto, perché non portava a una vera comunione con Dio, viene reso perfetto dall’intervento di Gesù. Ancora: le giare erano molto capienti, questo suggerisce l’abbondanza del vino che viene fornito da Gesù. Infine erano di pietra, quindi di un materiale vecchio e durevole. Mentre altrove Gesù dice “vino nuovo in otri nuovi”, qui riconosce il valore delle anfore in cui per uno scopo religioso è stata raccolta l’acqua della creazione. Quest’acqua prima è divenuta acqua di purificazione, ora mediante la parola di Gesù può diventare vino. L’alleanza con Noè dopo il diluvio, che significa la presenza di Dio in tutta la creazione, è stata raccolta da Israele, e attraverso Israele Gesù la riprende per portarla alla perfezione nell’Alleanza definitiva.

7 E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le anfore”; e le riempirono fino all’orlo.

I servi sono il simbolo di Israele, desideroso di obbedire all’inviato di Dio; esprimono il desiderio attivo dei credenti dell’antica Alleanza. Tutto quello che devono fare lo fanno: riempire di acqua fino all’orlo le giare della purificazione.

E’ interessante notare che durante la realizzazione del miracolo non si parla mai di vino . L’acqua viene attinta dalla fontana o da un pozzo poco distante dalla festa. E’ l’acqua della creazione, l’alleanza di Dio che si rinnova e si trasforma nella Nuova Alleanza.

8 Disse loro di nuovo: “Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto”. Ed essi gliene portarono.

La presenza della parola ora, in un contesto in cui non ce n’è alcun bisogno, indica che il tempo delle nozze escatologiche è ormai giunto. Comincia un’epoca nuova che, pur nella sua novità, è in armonia con la Promessa. In Giovanni, l’azione simbolica di Gesù mostra che con la presenza di Gesù l’Alleanza di Dio con gli uomini raggiunge il suo compimento. E’ il momento inaugurale di una realtà che si prolunga tutta la vita della Chiesa, nella quale si potrà attingere e gustare di giorno in giorno il frutto dell’acqua e della parola. Questo “adesso” si apre su una presenza che non cesserà più.

9 Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo

Solo ora si dice che l’acqua è diventata vino. Il maestro di tavola ha la funzione di testimoniare, a sua insaputa, questa trasformazione e anche di attirare l’attenzione verso colui da cui dipendono le nozze, lo sposo.

Lo sposo occupa di fatto una posizione strana; non è facile assegnargli un posto tra gli attori. Spontaneamente si immagina che lo sposo rappresenti Cristo in persona. Ma questa attribuzione non risulta possibile qui: Gesù fa parte degli invitati a nozze, si trova in una posizione distinta di fronte ai partecipanti allo sposalizio, come sua madre o i servi. Lo sposo è Dio, come spesso viene chiamato nella Bibbia.

10 e gli disse: “Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora”.

L’esclamazione del maestro di tavola sgorga dunque spontanea: “tu hai conservato il vino buono fino a questo momento”: egli proclama che Dio, dopo avere atteso a lungo, ha esaudito il desiderio profondo di Israele.

A Cana, in attesa che si realizzi il regno del Padre, Gesù dona un vino migliore, che dà compimento al primo vino, servito all’inizio del banchetto. Vi è continuità fra i due vini, entrambi vini di nozze. L’alleanza raggiunge in figura il suo compimento grazie all’azione di Gesù.

11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Il miracolo del vino però è visto solo dai discepoli di Gesù che lo hanno accompagnato. Essi costituiscono la prima comunità della nuova Alleanza.

Meditatio

  • Mi capita mai di sentirmi “senza vino”, senza motivi di gioia vera?
  • Cosa sono le mie anfore per la purificazione, i mezzi che pongo in atto per avvicinarmi a Dio, ma che non danno risultati duraturi?
  • Cosa mi dice di fare il Signore perché la mia vita sia piena e gioiosa come una festa di nozze?

Preghiamo

O Dio, che nell’ora della croce hai chiamato l’umanità a unirsi in Cristo, sposo e Signore, fa’ che in questo convito domenicale la santa Chiesa sperimenti la forza trasformante del suo amore, e pregusti nella speranza la gioia delle nozze eterne. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

A cura delle Monache dell’Ordine dei Predicatori (domenicane) del Monastero Matris Domini

ALTRO COMMENTO

“Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino»”.

Tutti ci cercano per quello che abbiamo, ma chi ti vuole davvero bene non tiene da conto di ciò che hai, ma di ciò che ti manca. L’amore vero è prendere a cuore la mancanza dell’altro, perchè in quella mancanza si gioca il meglio e il peggio della vita. Sono infatti le nostre mancanze la causa prima dei nostri peccati, ma sono altresì proprio le mancanze i punti di svolta dei grandi santi. Ritrovare il vino che manca non serve a riempire un vuoto, ma a cambiarne la sostanza.

Gesù non crea il vino dal nulla, ma cambia l’acqua in vino, cioè prende ciò che c’è e a partire da questo opera un cambiamento radicale. Quello che fino a ieri ti faceva peccare può cominciare ad essere il punto di forza della tua santità. Assurdo! Ma questo è il miracolo: il Signore è l’unico che può prendere sul serio la mia mancanza e trasformarla in santificazione.

Da cosa ce ne accorgiamo? Dal fatto che cominciamo a sentire un’inspiegabile letizia che non trova altra ragione se non nella Grazia di Dio.

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