Commento al Vangelo del 19 marzo 2017 – dal Sussidio Quaresima 2017 CEI

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Es 17,3-7 Dacci acqua da bere!
Sal 94 Ascoltate oggi la voce del Signore: non indurite il vostro cuore.
Rm 5,1-2.5-8 L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato.
Canto al Vangelo (Gv 4,42.15) Signore, tu sei veramente il salvatore del mondo; dammi dell’acqua viva perché io non abbia più sete.
Gv 4,5-42 Sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna.[/box]
 

Gv 4, 5-42, Bruno Ceccobelli, Lezionario domenicale e festivo Anno A, Fondazione di religione Santi Francesco di Assisi e Caterina da Siena, Roma, 2007

Sete
Dopo un’ascesa sul monte della Trasfigurazione, il cammino di Quaresima impone un nuovo confronto con lo scenario del deserto. L’esperienza di Israele che, durante l’esodo verso la terra promessa, patisce l’arsura e la sete, anticipa quella del Signore Gesù, assetato e «affaticato per il viaggio» (Gv 4,6), nella sua ricerca dell’uomo in esilio dalla verità di se stesso. Siamo così messi a confronto con il potente simbolo della «sete», che nella storia biblica torna sempre ad accompagnare l’esperienza del popolo di Israele nel suo incessante cammino verso la libertà.
 
Prova e ribellione
Il racconto di Massa e Meriba assume un significato molto importante, all’interno di questo esodo dalla schiavitù che la Quaresima assume come paradigma di conversione e di ritorno a Dio. Il nome stesso del luogo indica un momento di «prova» e di «contestazione», che Israele si trova a vivere nel cuore del deserto dove è stato condotto dal braccio potente del Signore. Il popolo di Israele, nel deserto, soffrendo «per la mancanza di acqua» si mette a mormorare contro Mosè. Gli attori di questa contesa sono due. Da una parte il popolo, che invoca disperatamente acqua da bere a colui che ha saputo già aprire in due le acque del mare, facendolo diventare una via di salvezza. Dall’altra c’è Dio, il quale, pur avendo offerto numerosi segni di fedeltà al popolo scelto e strappato dalla schiavitù d’Egitto, viene continuamente messo alla prova nella sua capacità di provvedere al viaggio fino alla terra promessa. In questo contesto di vita minacciata, esplode la domanda che diventa il grido universale dell’uomo in cammino verso una vita piena: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?» (Es 17,7).
 
Sofferenza e Provvidenza
Per quanto la domanda sia legittima, il testo specifica che la situazione di penuria sperimentata da Israele nel deserto è in parte oggettiva, e in parte amplificata dalla sua incapacità di custodire un’immagina grata e giusta del Dio salvatore. In quel luogo dove Dio è messo alla prova, si dice che il popolo soffriva la sete «per mancanza d’acqua», ma anche per un oblio di memoria. La mormorazione che divampa tra le tende di Israele è tutta rivolta contro Mosè e contro l’evento di salvezza dell’Esodo: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?» (Es 17,3). Davanti a questa cecità del cuore, il Signore decide di accostarsi ancora una volta al popolo per offrire un segno della sua provvidenza: «Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà» (Es 17,5-6). La roccia nella Scrittura è metafora della fedeltà di Dio alle sue parole e alle sue scelte, un punto di riferimento solido su cui l’uomo può sempre fare affidamento. In realtà, il racconto è un po’ sibillino, dal momento che non chiarisce bene se Dio intervenga per rafforzare la fede del popolo, oppure per venire incontro alla paura di Mosè, esasperato dalle continue critiche nei suoi confronti: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!» (Es 17,4).
 
«Dammi da bere!»
L’incontro tra Gesù e la donna samaritana muove i passi da una messa alla prova delle intenzioni con cui due persone così lontane, per cultura e sensibilità religiosa, si trovano a entrare progressivamente in una relazione intima. Dopo essere stata raggiunta dalla voce di Gesù, la donna cerca subito di verificare cosa muove realmente la sua richiesta d’aiuto: «Coma mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?» (Gv 4,9). Mentre la donna cerca di prendere tempo, Gesù non rinuncia a mettere alla prova la sete che la spinge a venire al pozzo in un orario così insolito: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4,10). All’udire il riferimento a un’acqua capace di estinguere non solo la sete del corpo, ma quella più profonda dell’anima, la donna è totalmente affascinata, al punto da esplicitare il suo ritrovato desiderio di vita: «Signore, dammi quest’acqua!» (Gv 4,15). In questo dialogo tra Gesù e la donna appare evidente il richiamo alla storia di Israele, dove un popolo convocato dalla parola di Dio è chiamato a diventare segno di benedizione per tutti i popoli attingendo alla fedeltà dell’alleanza, senza cadere nella tentazione di scavarsi cisterne screpolate, dove non può essere conservata quell’acqua che non è dono d’amore dell’Altissimo.
 
Da dove?
La domanda che nasce spontaneamente nel cuore della donna diventa il punto nodale dell’intera liturgia di questa domenica: «Da dove prendi dunque quest’acqua viva?» (Gv 4,11). Molto spesso nel quarto vangelo sorge l’interrogativo sull’origine di Gesù e della vita nuova offerta agli uomini attraverso la relazione con lui. Solo attraverso la fede si può capire come l’evento di Incarnazione del Verbo abbia aperto una reale opportunità di rinascita «dall’alto» per ogni uomo e ogni donna disposti a confessare la propria sete. Interrogata sulle sue relazioni affettive, numerose ma incompiute, la donna giunge a riconoscere che la sua terra non può ancora dirsi sposata: «Io non ho marito» (Gv 4,17). Questo riconoscimento diventa la strada maestra per accedere alla rivelazione del luogo da cui è possibile imparare ad attingere acqua viva per una vita radicalmente nuova, dove non si ha più sete in eterno perché si è consolati nel fondamentale bisogno di amore. Il Signore Gesù non esita a indicare alla donna questo luogo: «Sono io, che parlo con te» (Gv 4,26).
 
Per mezzo dello Spirito
L’esperienza della samaritana e il cammino del popolo nel deserto diventano figure di un’esperienza che, in virtù del battesimo, ogni cristiano può vivere nella sua personale storia e nelle profondità del proprio cuore, «perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). San Paolo pone una certa enfasi in questa affermazione, dichiarando che non si tratta solo di un’intima speranza, ma di una rocciosa certezza perché «mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). Dal dono dello Spirito ogni cristiano può giungere a quella fede che ha reso la samaritana testimone di un volto incontrato e di una vita ritrovata, non per sentito dire, non perché così hanno detto altri, ma «perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo» (Gv 4,42).

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