Commento al Vangelo del 18 marzo 2018 – P. Marko Ivan Rupnik – Congregazione per il Clero

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V Domenica di Quaresima – Anno B

Per capire bene il vangelo di oggi occorre inquadrarlo in ciò che viene immediatamente prima, ovvero la resurrezione di Lazzaro e il trionfale ingresso a Gerusalemme. Siamo nello spartiacque delle due grandi parti del vangelo di Giovanni, i segni e la gloria. Il culmine è Marta che confessa la vera fede in Cristo: lei in un uomo, nel Maestro, scopre il Figlio di Dio. È la vera contemplazione, vedere in una realtà più profonda.

Proprio di questo adesso si tratta. Il passaggio dell’ingresso a Gerusalemme può dar facilmente adito a un fraintendimento totale dell’opera di Cristo come mera realizzazione delle attese messianiche che dà soddisfazione a quanti aspettavano il restauro del regno di Davide. Questo però sarebbe un glorificare inteso in senso puramente umano, cioè il dare peso ad una persona fermandosi alla superficie, limitandosi a vedere quello che si vuole vedere e che ci si aspetta di vedere.

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In questo scenario si profilano i greci, probabilmente quelli stessi di cui si parla negli Atti degli Apostoli (cf ad esempio At 17) cioè greci che si sono avvicinati alla fede e alla religione ebraica ma che non sono circoncisi e che perciò vivono la religione di Abramo, cioè dell’Alleanza, dall’esterno. Sono loro, venuti per la Pasqua, che vedendo il trionfo di Cristo a Gerusalemme si avvicinano e vogliono vedere.

Il verbo usato è orao (Gv 12, 21) e non blépo che si limiterebbe a un semplice vedere, guardare, constatare le cose. Qui si vuole proprio sottolineare l’andare oltre, il cercare qualcosa di più dietro alla superficie immediatamente percepibile. È un verbo usato in alcuni passaggi interessanti nei vangeli, ad esempio: “Cosa siete andati a vedere nel deserto?” (cf Mt 11,7; Lc 7,24), “Molti volevano vedere ciò che voi vedete, e non l’hanno visto” (cf Lc 10,24), “Quale segno ci dai che noi possiamo vedere” (cf  Gv 6, 30). E il più significativo in Gv 20,8 “Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette”.

Questi greci, proseliti che – come si vede negli Atti degli Apostoli – non si lasciano fermare da ciò che dicono gli ebrei su Cristo, essendo liberi dalla legge e dalla tradizione vogliono andare oltre ed è questo oltre che chiedono di vedere. Perciò poi Cristo arriva a parlare della glorificazione che avverrà sulla croce quando compirà il disegno del Padre e sarà nel Padre. Perché la persona si manifesta quando fa vedere quale è la sua vera vita, cioè quale è nelle sue relazioni. E ciò che accade tra una persona e Dio non è percepibile all’occhio superficiale.

Questo oltre è propriamente la trasfigurazione sul monte, è il vedere al di là di ciò che percepiamo sotto l’aspetto fisico, psicologico o sociale. Se la sua vera vita è bios, che in Giovanni è la vita del corpo, allora la persona è ciò che noi vediamo nel corpo, e finisce quando il corpo finisce.

Se la vita è psiché – usato qui per dire: “Chi ama la propria vita” (Gv 12,25) – cioè questa voglia di vivere la vita biologica, la vita del mondo, tutto si riduce al nostro desiderio di riuscire a vivere bene in questo mondo ed è destinato a non sopravvivere lasciando deluso chi ha puntato su questo.

Ma la vita vera, la vita dell’eterno è zoè, la vita come relazione filiale con il Padre, la comunione del Figlio con il Padre.

A Filippo che va a dirgli che ci sono dei greci che vogliono vederlo, Gesù dà una risposta che a prima vista non corrisponde alla domanda, ma in realtà apre l’unica strada della conoscenza, la via pasquale. Per conoscere non esiste altra via che l’amore e l’amore si vive solo in modo pasquale. Non si può amare se non sacrificando se stessi. Non si può amare risparmiando se stessi. La persona non è solo il corpo, non è soggetta al corpo ma si esprime nel corpo. La persona ha la capacità di offrire il corpo. Glorificare in Giovanni vuol dire che la vita di uno rivela il peso, la realtà dell’altro, la sostanza, ciò che conta dell’altro. Il Figlio dell’uomo sarà glorificato sulla croce. Gesù Cristo sarà dunque conosciuto a partire dalla sua resurrezione. Non solo. Saranno i battezzati, i risorti che faranno conoscere Cristo. Cristo ancora oggi porta frutti, germogli della sua morte perché l’amore dura in eterno e quando si è consumati nell’amore agli occhi del mondo si muore ma difatti l’amore fa risuscitare e sono tanti che escono dalle acque battesimali, donne e uomini nuovi, il corpo di Cristo risorto. Qui dietro si nasconde una grande verità sulla missione della Chiesa, su ciò che è l’evangelizzazione e ciò che vuol dire far conoscere Cristo. Le pagine della storia della Chiesa sono il miglior commento di questa parola del Signore. Ogni volta che si è scelta una strada di annuncio di successo si è rimasti sterili e quando gli atti della Chiesa sono ricalcati sulla vita di Cristo, sulla sua pasqua, la Chiesa è stata coronata di fecondità.

E se è vero che quando si semina si è tristi, lo si fa piangendo perché si butta il seme per terra (cf Sal 126,5) e questo lo sanno tanto meglio gli ebrei che seminavano dappertutto e non solo sul terreno preparato (cf Mt 13, 1-23; Mc 4, 1-20; Lc 10,25-37), è altrettanto vero che quando si raccoglie il frutto si gioisce. Quando cerchi di stringere la vita nelle mani e gestirla ti accorgi che un tarlo inevitabilmente la conduce alla morte (cf Is 66,24). Se ti liberi della tua vita e sposti l’epicentro da te stesso mettendo al primo posto un altro – e questa è la persona – questo amore salva la tua vita dalla morte. La manifestazione dell’uomo secondo Dio è il dono di sé, il chicco di grano. Offrire la propria vita, diventare dono totale è la gloria dell’uomo. Se avvolgo il mio corpo nell’amore accogliendo un volto che mi chiama, il volto di Dio nel volto del fratello, il mio corpo si distruggerà ma la mia persona vivrà e anche questo corpo tornerà alla vita, a un livello nuovo, superiore, diverso. Come è diverso il germoglio dal chicco di grano. O la persona è una vita che è solo questa voglia di vivere oppure è accoglienza di una vita che ci viene donata in un altro modo. Ma se io per amore perdo questa vita, la offro, poi la ritrovo in tutta la sua pienezza.

La vita secondo natura inchioda il nostro io a vivere secondo la natura, a salvare se stesso. Chi cerca di salvare bios con psiché, con la forza di sé, perderà la propria vita. La vita che il Figlio ci partecipa ha il contenuto della zoè di Dio. Ciò che ci viene donato è la vita che si identifica con l’offerta di sé per amore.

P. Marko Ivan Rupnik – Fonte

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
della Quinta Domenica di Quaresima – Anno B

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 18 Marzo 2018 anche qui.

Gv 12, 20-23
Dal Vangelo secondo Giovanni
20Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. 21Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 22Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 18 – 24 Marzo 2018
  • Tempo di Quaresima V
  • Colore Viola
  • Lezionario: Ciclo B
  • Anno: II
  • Salterio: sett. 1

Fonte: LaSacraBibbia.net

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