Commento al Vangelo del 17 febbraio 2019 – Comunità Kairos

Dopo il battesimo e le tentazioni, ripieno dello Spirito santo, Gesù dà inizio al suo ministero pubblico, proclamando il Regno di Dio in parole e opere. L’attività in Galilea è inaugurata dal discorso alla sinagoga di Nazareth (Lc 4, 14-30, vangelo delle domeniche precedenti) che ha valore programmatico: Gesù, compimento della Parola di Dio, è la buona notizia per i poveri, in lui gli oppressi trovano liberazione.

Domenica scorsa abbiamo visto la chiamata dei primi discepoli (Lc 5, 1-11), cui seguirà la costituzione del gruppo dei dodici apostoli, narrata ai versetti immediatamente precedenti il nostro brano. Si tratta, come leggeremo poi a Pentecoste, dei primi annunciatori del vangelo, il primo nucleo della chiesa, chiamata a fare e testimoniare la parola di Cristo. Per questo Gesù si rivolge a loro alzando lo sguardo: ecco il regno di Dio, ecco che nasce una comunità presieduta dall’amore misericordioso.

Le beatitudini esprimono dunque il senso del discepolato, che non può restare astratta dottrina ma deve essere esperienza di vita. Il discorso della pianura compendia l’insegnamento etico di Gesù: nelle trame della vita quotidiana, col carico di sofferenza e ingiustizia che porta, il discepolo sulle orme del maestro, rivela il senso della vita e della storia e, facendosi strumento dello Spirito santo, porta la salvezza agli altri. “Questo mette in evidenza il carattere cristologico delle beatitudini: esse sono la trasposizione della croce e della resurrezione nell’esistenza dei discepoli” (J. Ratzinger).

Le beatitudini e gli insegnamenti sapienziali del VI capitolo (che continueremo a meditare per le prossime due domeniche, chiudendo così il ciclo del tempo ordinario) hanno fondamentalmente lo stesso linguaggio della croce, per questo sono considerati il cuore del vangelo e mostrano quanto paradossale e scandaloso sia il messaggio di Gesù, quanto differenti possano essere le vie di Dio rispetto a quelle degli uomini.

Al centro del messaggio vi sono i poveri. L’evangelista Luca dice “pitocchi”, coloro che non hanno nulla, che vivono mendicando e dunque dipendono dagli altri. Viene posta in evidenza la relazione, il legame che corre tra ognuno di noi, la responsabilità di ciascuno verso il prossimo. “Ogni relazione vera è povera, non domina, ma tutto riceve e tutto dà”. La povertà ci riporta alla nostra condizione creaturale, riconosce il nostro bisogno essenziale e rende il limite luogo di comunione. In questo modo è rifondata la comunità, essa rinasce su leggi nuove che riconoscono l’altro come fratello, verso il quale non può che mostrarsi fiducia e accoglienza.

I poveri proclamati da Gesù dunque non sono solo una categoria sociale, ma tutti coloro che sono in una condizione di “mancanza della pienezza della vita” (L. Manicardi). In questo modo è ricompresa tutta l’umanità ed è mostrata misericordia verso chi si trova nel bisogno, compassione e predilezione per gli “scarti” che il sistema lascia ai margini della società.

Contemporaneamente possiamo rilevare la denuncia verso i poteri dominanti, l’ingiusto arricchimento, la banalità della felicità comunemente intesa. A queste categorie di persone Gesù non rivolge alcuna condanna, ma li avverte che corrono verso il baratro. Gesù non dice infatti “guai” ma “ahimè” esprimendo dolore per costoro e, invitandoli a prenderne atto, li chiama alla conversione.

Perché non vi sono vie intermedie: siamo portati a scegliere tra la vita e la morte.

Allora nessuna rassegnazione o passiva sopportazione del dolore. È invece un appello alla cura delle ferite di chi ci sta accanto, alla fattiva solidarietà verso chi è nel bisogno, alla quotidiana perseveranza nel bene. Siamo chiamati, non come singoli, ma come comunità ad andare incontro al Signore che viene e porta su di sé tutti i nostri affanni. Dio sempre è presenza, consolazione e gioia nel bisogno. Gioia imperfetta in questo mondo imperfetto; gioia che attende il compimento e richiede la nostra collaborazione; promessa di una gioia ineffabilmente più grande che verrà quando ciò che ora viviamo nel frammento finalmente vivremo in pienezza. Ecco il senso del riferimento ai profeti. L’uomo delle beatitudini vive l’oggi con sguardo, parola e comprensione profetica, perché sa riconoscere in chi e dove Dio si rivela, sa annunciare in chi e dove Dio si rende presenza salvifica che anticipa la gioia. Ecco il regno di Dio, i discepoli di Cristo lo inverano già. È questa la buona notizia.

Monica

Fonte: Comunità Kairos (Palermo)

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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

SESTA SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 17 Febbraio 2019 anche qui.

Lc 6, 17. 20-26 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti». C: Parola del Signore. A: Lode a Te o Cristo.

Fonte: La Sacra Bibbia

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