Commento al Vangelo del 17 aprile 2016 – Paolo Curtaz

Il commento al Vangelo di domenica 17 aprile 2016 (il brano del Vangelo è a fine articolo) – della Quarta Domenica di Pasqua, a cura di Paolo Curtaz.

Un pastore forte

Come ogni quarta domenica del tempo Pasquale leggiamo il decimo capitolo del vangelo di Giovanni, dedicato alla figura del buon Pastore.

Figura usuale e conosciuta in un paese come la Palestina, dove era abituale vedere numerosi greggi al pascolo; figura spesso usata nella Bibbia per indicare il rapporto fra Dio, il pastore, e il popolo di Israele, il gregge.

Una domenica che abitualmente viene anche dedicata alla preghiera per i “pastori” della Chiesa, tradizionalmente identificati con il sacerdoti e i vescovi.

Tanti stimoli, insomma, per accogliere ancora in mezzo a noi il risorto che si manifesta in molti modi nella nostra vita e in questo tempo complesso.

Ma per capire nel dettaglio quanto il Signore ci vuole suggerire occorre avere la pazienza di non fermarci agli stereotipi e di lasciare che la Parola riecheggi e fiorisca in noi.

Cominciando col rappresentare meglio il pastore presente in Giovanni.

Ben diverso da quello di Luca, sinceramente.

[ads2]Un pastore guerriero

Tutti abbiamo in mente la splendida immagine del pastore che lascia le novantanove pecore nell’ovile per andare a cercare la pecora che si è persa e, dopo averla trovata, se la carica sulle spalle e la conduce con le altre (Lc 15,4-8). Immagine straordinaria, una delle icone utilizzate in questo splendido anno giubilare dedicato alla misericordia.

Bene, ora resettate quella immagine.

Perché il pastore di Giovanni è fatto di un’altra pasta.

Non è il buon pastore, è il pastore autentico.

È un vero e proprio combattente che difende le pecore dall’assalto dei lupi e dall’ignavia dei mercenari. Molto simile all’eroico adolescente Davide che non aveva paura di cacciare con la sua fionda il leone e l’orso che assalivano il gregge (1Sam 17,34-35).

Una sottolineatura che completa quella di Luca. Gesù è il misericordioso, il compassionevole, rivela il volto tenerissimo di Dio, certo. Ma è anche determinato, disposto a morire per le proprie pecore, come abbiamo avuto modo di celebrare nei giorni della Pasqua di resurrezione.

La fede è per i forti, non per i deboli. È colma di tenerezza, ma anche di pacifica convinzione e determinazione.

Così si presenta il Signore: come un alleato, l’uomo forte che ci difende dalla disperazione.

E annuncia solennemente come far parte del suo gregge.

Ascoltare la voce

Per far parte del suo gregge occorre anzitutto ascoltare la sua voce con costanza, conoscere e farsi conoscere dal Signore, seguirlo.

In questo tempo pasquale la liturgia pone al centro della nostra riflessione ancora l’accoglienza della Parola, quella Parola capace di scuotere i cuori dei rattristati discepoli di Emmaus, quella Parola che, accolta con l’intelligenza dello Spirito, aiuta a leggere gli eventi della Storia nella logica di Dio.

Parola che va accolta, conosciuta, pregata, vissuta.

Perché quella Parola ci permette di leggere la nostra vita e gli eventi anche conflittuali e incomprensibili che stiamo vivendo, la violenza, il dominio del liberismo disumano, l’indifferenza, nella logica di Dio. Ma questa lettura meditata va fatta con costanza, per imparare a riconoscere la voce del Signore e va accolta con autenticità, col desiderio profondo di adeguarsi a quanto dice.

La vita eterna

Ascoltare la voce del Signore, seguirne le indicazioni, ci fa prendere coscienza della vita eterna che è in noi. La vita eterna, cioè la vita dell’Eterno. Il gregge è composto da uomini e donne che hanno scoperto la propria anima, che la custodiscono, che la coltivano.

In questi termini, Dio solo conosce da chi è composto il gregge.

Anche persone che non sentono di appartenere ad una Chiesa, o che vivono apparentemente lontano da essa, possono coltivare la propria interiorità con passione e verità, e sentire, forte e tenace, la presa del Signore.

Seguire Cristo significa, ad un certo punto, fare esperienza della radicalità espressa dal Maestro, un’affermazione piena di impegno: nessuno ci può rapire dalla sua mano.

Non gli altri con i loro giudizi. Non la violenza di tutti i terroristi del mondo. Non la delusione delle nostre vite. Nemmeno i nostri sbagli e i nostri peccati.

L’amore di Dio è più forte di ogni cosa. Nulla ci separerà da lui (Rm 8).

Per conoscere il Padre

Seguiamo Cristo, il pastore autentico, forte, ci fidiamo di Lui, ci facciamo condurre.

Da lui, non da altri. Da lui, non da altro.

Non dai nostri appetiti, non dalle mode, non dalle paure, non dai sensi di colpa, non dalla visione sbagliata di noi stessi, non dai limiti, non dalle ombre.

Da lui. E farlo ci conduce alla conoscenza piena di Dio.

Perché solo Cristo conosce Dio in pienezza.

Pecore come noi

Allora bisogna essere molto molto chiari: l’unico pastore, nella Chiesa, è Cristo.

E tutte le pecore lo seguono, anche coloro che hanno nella Chiesa dei ministeri, cioè un servizio per l’utilità comune. E al vostro prete non chiedete di essere un super-uomo, un iper-coerente, ma un discepolo, anzitutto. Perché anch’egli possa dire: “Fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo” (1Cor 11,1).

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IV Domenica del Tempo di Pasqua

Gv 10, 27-30
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 17 – 23 Aprile 2016
  • Tempo di Pasqua IV, Colore bianco
  • Lezionario: Ciclo C, Salterio: sett. 4

Fonte: LaSacraBibbia.net

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