Commento al Vangelo del 16 Giugno 2019 – Padre Giancarlo Paris

Il commento al Vangelo di domenica 16 Giugno 2019 – a cura di p. Giancarlo Paris.

Il dono dello Spirito Santo (la festa della Pentecoste) ha concluso il tempo liturgico della Pasqua. Prima di riprendere il tempo chiamato “ordinario”, nel quale continueremo ad accompagnare Gesù con il racconto scritto da S. Luca, la liturgia ci propone di meditare e pregare su due aspetti centrali del mistero cristiano: la S. Trinità e l’Eucarestia (il corpo di Cristo), che la storia di Gesù ci ha consegnato e fatto conoscere.

Appunto, è una storia concreta quella di cui ci parla la Bibbia: storia di un popolo, di persone concrete, vissute nel tempo e nello spazio, che hanno scoperto nella loro vita la presenza di Dio. Questa scoperta non è stata frutto di ricerche filosofiche, ma è avvenuta quando si sono visti strappare dalla morte e ricevere in modo del tutto gratuito una nuova possibilità di vita. E’ la storia del popolo di Israele, che sfocia nella vita di Gesù. Questa storia ogni anno noi cristiani raccontiamo: essa non appartiene al passato ma è la fonte della nostra sempre nuova vita, illuminata dalla fede.

Giunti per così dire al “termine” del racconto di Gesù (dalla sua nascita alla… risurrezione, fino al dono dello Spirito Santo), possiamo fare un “fermo immagine” e percepire che quel Dio che è intervenuto in questa storia ha un volto, ha per così dire un “nome”, che non è unico: è Padre (con il quale Gesù sempre parlava e che di cui ha parlato molto ai discepoli), è Figlio (come la voce dal cielo chiama Gesù più volte nel Vangelo) ed è Spirito Santo (che Gesù promette come dono suo e del Padre dopo il suo ritorno al Padre).

In nessuna pagina della Bibbia troviamo la spiegazione teorica della Trinità, ma in moltissime pagine possiamo percepire l’azione di Dio come Padre, Figlio e Spirito. Chi ha scritto i libri biblici ha compreso molto bene che a Dio non interessa spiegare chi è, ma invitare l’umanità ad accogliere la sua proposta di alleanza, di amore.

Lo vediamo chiaramente nelle brevi parole che Gesù nel vangelo di questa domenica rivolge ai discepoli durante l’ultima cena: sente il desiderio di dire ancora molte cose ai discepoli, cioè di approfondire la comunione con loro. Ma sente che non è possibile, che hanno bisogno di tempo per scoprire il significato di ciò che Egli ha insegnato loro con la vita e le parole. Questa missione Gesù la affida allo Spirito Santo: Egli guiderà i discepoli alla verità intera, annuncerà di nuovo, piano piano lungo la storia, il dono che Gesù ha portato sulla terra. Gesù sa che questo dono, tutto quello che lui porta ai suoi, gli viene dal Padre, non è una sua invenzione o un suo prodotto. La comunione profonda tra Gesù, Dio Padre e lo Spirito è quella “verità” dentro la quale lo Spirito porta il credente. Non è prima di tutto qualcosa da “sapere”, ma una esperienza da vivere, da scoprire piano piano.

Nel Nuovo Testamento chi più di ogni altro ha meditato e parlato di questa “esperienza” dello Spirito Santo è s. Paolo: di ciò abbiamo un piccolo saggio nella seconda lettura. S. Paolo usa una immagine ben concreta: l’amore di Dio “è stato riversato” nei nostri cuori. L’amore di Dio è lo Spirito Santo, colui che unisce il Figlio al Padre e che mediante Gesù il Padre infonde nella profonda intimità di ogni persona. Questo dono immenso e inimmaginabile è il fondamento sul quale si appoggia tutta la vita cristiana, è la grazia fondamentale che cambia radicalmente la nostra vita e ci apre la strada per vivere come Gesù, per vivere nella stessa comunione di amore che unisce Gesù al Padre, che ci dà la forza per affrontare le “tribolazioni” che vengono dall’essere fedeli a Gesù.

I cristiani, contemplando questo mistero di amore che sta al cuore di Dio, ne hanno letto i segni premonitori anche nell’Antico Testamento. Un esempio lo abbiamo nel passaggio del libro dei Proverbi che ascoltiamo nella prima lettura, nella quale la Sapienza di presenta come colei che, generata da Dio, sta accanto a Lui mentre crea il mondo e lo diletta con la sua presenza. Questo testo mostra che Dio non era solo al momento della creazione: la sapienza nella tradizione cristiana è stata interpretata come la presenza del Figlio, ad immagine del quale è stato creato il mondo.

Il “nome triplice” di Dio ci rivela che in Lui c’è relazione, desiderio di fare alleanza, amore. La storia della salvezza è tutta un invito a rispondere a questa alleanza. Con il segno della croce, che facciamo all’inizio e fine di ogni giornata e di ogni momento di preghiera, noi pronunciamo il nome di Dio Trinità. Riconosciamo così che il nostro corpo (tutta la nostra vita) è segnato da Dio e rinnoviamo il desiderio di rispondere alla sua alleanza. Per essere capaci di questo chiediamo la grazia di seguire ogni giorno di più il cammino indicato dalla croce: l’offerta di noi stessi per amore, perché altri abbiano vita.

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