Commento al Vangelo del 14 Aprile 2019 – don Giovanni Berti – Gioba

Croce: grido di vita più forte

Il processo a Gesù narrato dall’Evangelista Luca è davvero drammatico. Gesù a Gerusalemme, teatro degli eventi finali e vertice della storia, viene letteralmente sballottato da un tribunale all’altro: il Sinedrio, poi Pilato, che lo manda da Erode e poi di nuovo da Pilato. È seguito e trasportato da una folla di religiosi e dal popolo. Tutti hanno già emesso la loro sentenza che pretendono sia eseguita con il consenso delle autorità religiose e civili. Gesù all’inizio dice qualcosa, ma poi, come evidenzia l’evangelista nel suo racconto, le sue parole si riducono al nulla. La ricerca della verità e l’ascolto sono annullate del grido, dalle falsità, dalle paure trasformate in violenza. Pilato alla fine non sembra prendere una vera e propria decisione su Gesù, ma semplicemente lascia fare alla folla impaurito e quindi complice della violenza cieca.

Gesù non ha nulla da dire in tutto questo? Sembra trasformato in un pupazzetto inerte nelle mani dei più forti, di chi grida più forte così da coprire la voce della verità.

La croce sul calvario quindi cosa significa? È il segno della vittoria di chi provoca e produce violenza? La croce è il segno che purtroppo i deboli sono destinati sempre a perdere e i violenti sempre a vincere?

La croce è la prova che non c’è niente da fare difronte alla violenza e alla cattiveria che trasformano anche i più buoni, come in questo caso la folla che pochi giorni prima gridava “Osanna Osanna” e ora grida “crocifiggi crocifiggi”?  E le parole di Gesù che dominano in tutto il Vangelo come potenti, liberatorie, capaci di convertire, di scaldare i cuori, di resuscitare i morti, ora non sono capaci di bucare il clamore e le grida dei violenti?

Sento davvero che questa scena così drammaticamente descritta dal vangelo sia in sintonia con quello che accade attorno a noi. Le voci dei poveri sono sempre più inascoltate. Le grida dei mercati finanziari che stritolano i paesi poveri, le grida di battaglia delle guerre che si scatenano, le grida anche tra di noi di chi semina odio e razzismo, tutto questo sembra soffocare la voce di Gesù e sembra annullare la potenza della sua Parola. Anche nella comunità cristiana le grida delle critiche reciproche, degli scandali che emergono, soffocano la parola di verità di Gesù, una parola che sembra davvero inascoltata anche da chi la dovrebbe diffondere nel mondo. E anche nelle nostre famiglie le grida dei litigi, delle critiche senza amore insieme alla sordità reciproca, alla fine mettono a tacere le parole di Gesù, ridotto a quadretto solitario sopra la porta di casa e nulla più. E così anche nel nostro mondo, nella società dove viviamo, nella Chiesa e nelle nostre famiglie, Gesù finisce in croce, cacciato fuori dalla città santa di Gerusalemme e condannato al silenzio. La croce anche a guardarla oggi sempre davvero solo il simbolo che Dio è morto, che il suo Figlio è stato messo a tacere perché scomodo.

Ma la croce è salvezza, e la potenza di Dio trasforma il patibolo di Gesù non in stazione di arrivo della sua storia, ma come stazione di ripartenza per una nuova vita. Il Calvario non è un binario morto, ma un binario che fa accelerare la storia di Gesù e della sua parola verso il cielo. Con la croce, proprio al termine di quella serie di processi che hanno condannato lui ma anche coloro che lo condannano, Gesù dimostra che la morte è vita nell’amore. Guardando la croce il cristiano sa che non è persa la speranza perché dalla croce è nata una nuova vita ancora più potente nell’amore. Le grida dei violenti non hanno smorzato la voce potente di Gesù, che proprio sulla croce e poi nel sepolcro dicono al mondo e a me, che la vita è più forte, che il bene è più potente, che se ci credo posso davvero trovare vita anche sul Calvario.
La croce che per noi cristiani è simbolo fortissimo della nostra fede, è segno dei nostri fallimenti e dei nostri peccati, ma allo stesso tempo è un forte messaggio che in essi non c’è l’ultima parola e che la speranza non è mai spenta.

In quei processi violenti narrati da Luca, ci sono anche io, lo riconosco. Sicuramente anche io con le mie incoerenze di fede ho gridato più il nome di Barabba e non il nome di Gesù. Ma alla fine come Gesù sulla croce muore per tutti, per il Sinedrio, per Pilato, per Erode, per Barabba, per il popolo e anche per Giuda, così muore anche per me, con un amore che è grido di vita, grido di risurrezione.

don Giovanni Berti – Sito web

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