Commento al Vangelo del 10 giugno 2012 – Paolo Curtaz

Corpus Domini

Es 24,3-8/Eb 9,11-15/Mc 14,12-16.22-26

La stanza

Di quanto Spirito abbiamo bisogno per potere capire che Dio è comunione?

Di quanto Spirito abbiamo bisogno per smetterla di litiga e imitare la Trinità?

Di quanto Spirito abbiamo bisogno per superare questo momento tragico, lo spettacolo che diamo al mondo di un gruppo di discepoli che si fanno la guerra, che imitano i corvi invece di invocare la colomba?

Scenda il fuoco e ci purifichi, ci sostenga, ci incoraggi.

Il mite Pietro chiede di uscire dalla Babele a partire da chi gli sta attorno e ha assorbito la logica del mondo. Anche noi siamo chiamati a convertire nostro cuore, a far diventare le nostre comunità l’anti-babele, il pallido riflesso della Trinità.

Difficile, lo so, non ditelo a me.

Dio ci dona l’esempio, facendosi pane.

E ogni comunità, ogni domenica, si stringe a lui e ripete, come il popolo dell’alleanza: quanto il Signore ha detto noi lo faremo.

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La stanza

“Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”.

Sta per essere arrestato e ucciso il Maestro.

I suoi non lo sanno, non se ne accorgono, sono troppo concentrati su loro stessi e sui loro limiti per vedere ciò che sta per succedere.

Gesù, invece, ha ormai piena consapevolezza che tutto volge al termine, che sta per compiere il dono più grande, il dono della sua stessa vita.

Servirà? Capirà, l’uomo, che Dio lo ama liberamente, senza condizioni? Saprà l’uomo, infine, arrendersi all’evidenza di un Dio donato?

Si avvicina la Pasqua: Gesù sa che non riuscirà a celebrarla con i discepoli.  Decide di anticiparla, chiede ospitalità ad uno sconosciuto, in quella stanza al primo piano, sul monte Sion che sovrasta la città, di fronte al Tempio, Gesù sta per dare l’addio ai suoi discepoli, facendo loro il regalo più grande: la sua presenza eterna.

“Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”.

Partecipi

Non sappiamo neppure il nome del tale il cui servo sceso ad attingere acqua incrocia in città i discepoli del Nazareno che lo seguono per chiedere al proprietario una stanza per celebrare la Pasqua.

Gesù, però, considera sua quella stanza.

Sua, perché vi resterà per sempre.

Sua, perché chi accoglie il Maestro, anche senza saperlo, anche senza consapevolezza, si vede trasformare la vita.

Proprio come accade nelle nostre spente assemblee domenicali.

Tiepidezze

Dio, il misericordioso, mi ha dato molte gioie nella vita. Una di queste è il potere conoscere molte comunità, sparse nei quattro angoli dell’Italia, e di pregare con loro. Ho partecipato ad assemblee di comunità vivaci, coraggiose, a veglie di preghiera intense, a messe piene di gioia e di emozione.

Raramente.

Più spesso, partecipo a delle messe fiacche, tiepide, distratte, spente, esasperanti.

Quante volte incontro degli amici che, avvicinatisi al Signore, convertiti alla e dalla Parola, faticano a nutrire la propria spiritualità in grandi città piene di chiese e povere di fede!

Quante volte, io stesso, in vacanza, ho partecipato con dolore e insofferenza a celebrazioni raffazzonate, frettolose, senza preghiera!

Gesù, però, sceglie di fare “sue” anche quelle stanze.

Non ha la puzza sotto il naso, il Signore, si adatta.

Ha voluto con sé, nel momento più faticoso della sua vita, i suoi dodici poveri apostoli.

Poveri e fragili come noi, instabili e lunatici come noi.

“Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”.

Conversioni

Partecipiamo con costanza e forza alle nostre celebrazioni, anche se sbiadite.

Se possibile, mettiamoci in gioco per cambiarle, per renderle più gioiose, accoglienti, oranti.

Addobbiamola, la stanza alta, rendiamola accogliente al meglio delle nostre forze e delle nostre possibilità.

Ma se ciò non è possibile, pazienza. Se si adatta Gesù, noi non ci adatteremo?

Viviamo tempi difficili, tempi in cui la fede è messa a dura prova.

Penso al dolore di tanti sacerdoti che si ritrovano a donare la loro intera vita per annunciare il vangelo e si ritrovano a fare i funzionari davanti a comunità pagane nei fatti, se non nelle abitudini!

Oggi celebriamo il Mistero della presenza reale, concreta, attuale, salvifica di Cristo nell’Eucarestia: il Rabbì si rende accessibile, incontrabile, si fa pane del cammino, diventa cibo per l’uomo stremato.

Rabbrividisco di fronte alla poca fede mia e delle nostre comunità.

Poca fede

Il problema è semplice: la nostra fede è poca, ridotta al lumicino.

E allora la Messa è peso, fatica, incomprensione.

Ma se crediamo che il Maestro è presente, al di là della povertà del luogo e delle persone, tutto cambia.

L’Eucarestia diventa il centro della settimana, la Parola celebrata ritornerà in mente durante il lavoro e lo studio.

Da quel pane donato, ripartiamo.

Perché la “sua” stanza torni ad essere addobbata. 

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